La startup romana ha chiuso l’operazione con SAP, leader del settore software. «In Y Combinator abbiamo trovato network, apertura agli investimenti e nuovo mindset. E soprattutto una botta di modestia»
Sulla carta sembrerebbero tanti gli elementi che sconsigliano a un imprenditore di partire adesso con una nuova idea di business. Inflazione, stretta sugli investimenti, crisi geopolitica in Europa. Ma per chi sta già ballando, qual è il consiglio per non cadere? Abbiamo intervistato Simone Di Somma, Ceo e Co-Founder di Askdata, startup romana fondata nel 2014 che ha da poco concluso l’exit. SAP, società tedesca attiva nel mondo software e business analytics, l’ha acquisita per una cifra che le parti hanno deciso di mantenere riservata. Nel futuro prossimo verrà poi annunciato e spiegato il processo di integrazione della realtà all’interno della corporate. Nel frattempo ci siamo fatti raccontare il percorso di Askdata, un’azienda innovativa partita con un investimento di Tim Ventures e poi selezionata all’interno di Pi Campus e Y Combinator, l’acceleratore di startup più famoso al mondo con sede a San Francisco. In questi anni l’azienda ha raccolto in tutto un milione di euro.
SI: Ci racconti la storia di Askdata?
Simone Di Somma: «L’idea è nata per rendere democratico l’accesso ai dati. Solitamente nelle aziende l’accesso ai dati è difficile. Se, ad esempio, un venditore deve prendere una decisione sui migliori clienti o su quali stanno comprando meno, ha difficoltà a utilizzare strumenti classici come dashboard e report. Questo perché non ha le competenze da analista dati. Ecco: Askadata fa diventare un venditore un business analyst. Una volta installato il nostro software gli si può chiedere quanto di un determinato prodotto è stato venduto. Grazie all’intelligenza artificiale, il sistema intercetta il linguaggio naturale e fa tutte le query esattamente come un motore di ricerca».
SI: Che tipo di elementi servono a una startup per raggiungere l’exit?
Simone Di Somma: «Serve anzitutto il problema. Prima di Askdata, io e Giuseppe Ancona (Co-Founder, ndr) lavoravamo in un’azienda del settore tabacco. Ci rendevamo conto che i venditori avevano difficoltà ad analizzare i dati. Così ci siamo detti: se i venditori di una grande società hanno questo problema, forse vale anche per molti altri. L’individuazione del problema è il primo step. Ci siamo innamorati del problema. Poi viene il come lo si risolve. Per una startup l’exit non deve significare mettersi in vendita. Bisogna costruire qualcosa di bello per valorizzarsi».
SI: Avete lavorato a San Francisco dentro Y Combiantor. Cosa avete assorbito di più dall’ecosistema americano?
Simone Di Somma: «Tra il 2019 e il marzo 2020 ho lavorato due settimane a Roma e due a San Francisco. Facevo avanti e indietro ed la presenza fisica è stata fondamentale per la crescita del progetto. SAP l’abbiamo conosciuta così. Non è facile entrare in Y Combinator, forse è più semplice entrare ad Harvard. Offre opportunità incredibili: ho conosciuto il creatore di Gmail e conosciuto i rappresentanti di Cruise (società di cui vi abbiamo appena parlato, attiva nella mobilità a guida autonoma, ndr). Y Combinator ti dà network, apertura agli investimenti e nuovo mindset. E soprattutto una botta di modestia. Contestuale a quel percorso abbiamo lavorato anche in Pi Campus a Roma. Oltre alla parte economica, si basa su un network di innovazione incredibile. Insieme alle Università romane sta dando una grande spinta sull’intelligenza artificiale. Nel 2014, quando siamo partiti, non c’era niente. E ora ogni anno migliora il talent pool».
Startups usually take a while (often a year or two) to figure out exactly what their business is. The biggest preventable cause of failure is spending too much money, by hiring too many people, during this period.
— Paul Graham (@paulg) July 24, 2022
SI: Si legge e si parla di inverno dei capitali nel mondo startup. Questo nonostante gli investimenti in Venture Capital siano aumentati in Italia. Come vedi questo momento per chi sta iniziando a fare impresa?
Simone Di Somma: «Sul round seed sono ottimista, perché parliamo di aziende che dovranno affrontare la parte growth tra qualche anno, quando magari arriveranno tempi migliori. Sul chi è invece nella fase growth bisogna stringere la cinghia e aspettare. Il messaggio in Y Combinator è quello. Ma attenzione: durante la crisi del 2008 molte aziende di successo sono state fondate».
SI: Gli ultimi anni ci hanno insegnato che dovremo abituarci ai cigni neri, agli imprevisti che sconvolgono i piani.
Simone Di Somma: «Ma niente panico. Se dovessi lanciare un progetto crypto ora magari aspetterei. Pure sul B2B andrei cauto perché per i prossimi mesi i budget delle aziende saranno ristretti. Paul Graham (Co-Founder di Y Combinator, ndr) ha detto una cosa importante: ogni startup ha bisogno di un paio d’anni per capire cosa fare. L’importante è non fallire proprio in quei due anni. Vorrei concludere dicendo una cosa: al di là di quel che si possa pensare, credo che in Italia ci siano le condizioni per la nascita di un grande player tech».