In vista dello StartupItalia Open Summit del 21 dicembre a Palazzo Mezzanotte, abbiamo chiesto al Ceo di Nana Bianca suggerimenti per gli startupper che vogliono arrivare al traguardo della quotazione
«Noto un parallelismo tra quel è successo nel 2000 e lo scenario attuale dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica: anche oggi c’è in ballo una rivoluzione industriale». Alessandro Sordi, Ceo e Co-founder di Nana Bianca, è partito da molto lontano per affrontare una questione poco trattata quando si discute di startup, come se fosse un argomento tabu: la quotazione in Borsa. Dal momento che l’evento SIOS23 è in programma il 21 dicembre a Milano proprio a Palazzo Mezzanotte, luogo simbolo di chi sogna l’IPO, abbiamo cercato di raccogliere spunti utili ai Founder che nel proprio futuro si figurano quel lieto fine (o nuovo inizio). Risultato che Sordi ha vissuto in prima persona con la quotazione di Dada nel 2000, all’alba della rivoluzione mobile. «La Borsa non è la casa soltanto dei grandi gruppi, ma anche delle startup – ha spiegato Sordi -. Google e Facebook sono diventate grandi a partire da lì».
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Dada, nata come internet company, si è quotata nel 2000. Cosa ricordi di quel passaggio?
In quel momento si viveva in un periodo di ottimismo nel costruire nuove aziende. La Borsa italiana aveva realizzato un segmento specifico, si chiamava “Nuovo mercato”, dedicato alla quotazione di aziende innovative. Permetteva parametri di riferimento non impossibili su fatturato e dimensioni, a fronte di una richiesta di grande trasparenza. Così ti potevi quotare e raccogliere capitali. Ricordo che 20 anni fa i venture capital non erano molto conosciuti e quella possibilità in Borsa fu un’illuminazione. Con Dada riuscimmo a raccogliere anche fondi internazionali da Francia, Germania e UK sotto la guida di Mediobanca.
Com’era il mercato del digitale vent’anni fa per chi faceva impresa?
All’epoca stava nascendo l’internet commerciale, i motori di ricerca e il mobile. Tutte tecnologie che avrebbero conquistato l’economia globale. Ma credo che anche oggi si stia vivendo un qualcosa del genere. AI, blockchain, IOT sono elementi che per il momento ci divertiamo ad analizzare, ma che cambieranno di nuovo l’economia. Le Big che oggi dominano il mercato sono nate vent’anni fa. Quelle che lo domineranno tra altri venti stanno nascendo ora. Poco dopo la nostra quotazione ci furono poi due fatti che provocarono un enorme cambiamento: l’attacco dell’11 settembre e lo scoppio della bolla delle dot.com in America.
Il Paese ha iniziato lì ad accumulare ritardo sull’innovazione?
In Italia la paura prese il sopravvento e quel segmento per nuove aziende innovative in Borsa venne chiuso. Per molti anni le IPO furono off limits. Mentre da noi si chiudeva a quel settore in altri contesti, come quello anglosassone, si accelerò, anche sulla regolamentazione. E infatti in quegli anni ci furono le grandi IPO di Google e Facebook.
Torniamo alla vostra quotazione: che difficoltà avete incontrato?
Abbiamo dovuto ristrutturare l’azienda per rispondere a un pubblico di azionisti. Ma non è mai stato complesso in Italia organizzarsi con un team legal e finance che curi i rapporti con gli investitori. Sono competenze che si trovano sul mercato. Non parlerei di difficoltà. Senz’altro avevamo una sfida molto chiara di fronte a noi: ogni 3 mesi dovevamo presentarci al mercato per dire a che punto fossimo. Quando ti quoti la vita aziendale non ruota più intorno al founder. Non decide più lui soltanto.
Nel 2023 l’ecosistema startup in Italia si è rafforzato. Che opportunità hanno i founder per crescere?
Nel 2000 non c’era il venture capital e tutto quel che offre il settore. Oggi a disposizione si trovano VC, private equity e startup con buoni fondamentali possono lavorare per crescere. Ricordo che c’è anche il mercato crowdfunding in grande crescita. È alla portata delle startup la quotazione sui mercati non regolamentati, come Euronext o AI. La quotazione sul mercato regolamentato richiede invece parametri ancora difficili per una startup.
Nonostante un 2023 ricco di incertezze e con maggior cautela lato finanziamenti, si può guardare al futuro con ragionevole ottimismo
Un founder ha varie scelte. In Nana Bianca oggi notiamo che ancora diverse startup faticano a fare una ricerca precisa sulle metriche di marginalità. Molti chiedono all’investitore di scommettere e basta, ma un business plan che in cinque anni è in perdita non è più fattibile. A meno che non si tratti di ricerca di laboratorio, se parliamo di servizi tecnologici l’investitore deve aver chiaro come far fruttare il proprio investimento. Quel che vorrei dire ai founder è che devono pensare ad aziende in grado di creare valore nel tempo.
La quotazione implica anche un nuovo legame tra founder e azienda. Può esserci la paura di perdere il controllo una volta in Borsa?
È un nuovo modo di essere founder. Bisogna essere consapevoli che un ciclo ha un inizio e una fine. Se le organizzazioni crescono occorre anche immaginare un turn over della governance. Il founder rimarrà sempre un elemento di riferimento per la visione. Se però si ha paura di questa eventualità, allora suggerisco di non iniziare nemmeno un percorso con un venture capital.
Ti immagini la Borsa come un luogo sempre più accessibile, anche alle PMI?
Vorrei una nuova visione che permetta alle aziende di raccogliere più capitali. Se quotate, le PMI e le startup potrebbero avere più forza e solidità di bilancio. Sarebbe fantastico se una impresa in salute potesse replicare quello che abbiamo fatto in Dada nel segmento “Nuovo mercato”. Se un 27enne ha una startup e in cinque anni punta alla Borsa, perché no? A livello di agevolazione e cultura imprenditoriale dovremmo sostenere questo modello.
SIOS23 il 21 dicembre sarà in Borsa: è un messaggio molto forte per l’ecosistema
Dopo 10 anni dalla sua fondazione StartupItalia ha l’occasione di essere l’unico interlocutore di questo segmento di innovazione e sta lanciando un messaggio: la Borsa non è la casa soltanto dei grandi gruppi, ma anche delle startup.