Ecco il decalogo dei più frequenti sbagli commessi dai founder, che spesso rappresentano la causa principale di una raccolta che non va a buon fine
“Avere un buon prodotto o servizio è solo metà del lavoro. Riuscire a comunicarlo nella maniera giusta è l’altra metà. Eppure, questa parte è spesso trascurata dalle startup che si approcciano all’equity crowdfunding”. Le parole di Salvatore Viola, esperto di comunicazione e cofondatore di Dynamo, agenzia di marketing e digital PR, sono di grande rilevanza per qualsiasi imprenditore si stia approcciando a una raccolta fondi per la sua azienda. Dynamo, che a oggi ha contribuito a raccogliere oltre 6,5 milioni di euro, si occupa di crowdfunding dal 2016 ed è stata tra le prime realtà in Italia a farlo. L’agenzia lavora con Seed Money, acceleratore privato italiano composto da più di 180 soci, dei quali oltre 50 investitori seriali.
Il decalogo degli errori nel crowdfunding
L’esperienza accumulata negli anni, associata allo studio e alla realizzazione di campagne di comunicazione orientate proprio al crowdfunding, sono gli ingredienti che hanno permesso a Dynamo di individuare una serie di errori frequenti, commessi dai founder in fase di equity crowdfunding. Sviste che, spesso, rischiano di essere la causa principale di una raccolta che non va a buon fine.
Leggi anche:
30 attrici e drammaturghe fondano un’associazione per le donne che lavorano nello spettacolo: Amleta
1. Non prepararsi in tempo
Il crowdfunding inizia molto prima dell’apertura al pubblico della campagna sul portale. Motivo per cui è essenziale sfruttare i mesi precedenti per stringere accordi, trovare investitori e pianificare la propria strategia di comunicazione. Risulta difatti molto importante far emergere queste componenti durante il round vero e proprio.
2. Fidarsi delle parole
Esistono diversi casi di founder convinti di chiudere una campagna poiché amici, parenti e conoscenti hanno promesso loro di investire nella raccolta. In base alla propria esperienza, Dynamo sostiene che soltanto una piccola quantità di queste promesse viene poi mantenuta. Con il rischio di ritrovarsi a fare i conti con un round che non decolla e a dover affrontare una partenza senza investimenti.
3. Trascurare i social
In questo caso, social significa principalmente LinkedIn. Infatti, prima di decidere se puntare o meno in una startup, diversi investitori sono soliti guardare sulla piattaforma da chi è composto il team. Curare il proprio profilo LinkedIn, inserendo o eliminando le esperienze lavorative, in base a quello che più contribuisce a dare valore all’attuale ruolo, è un aspetto centrale.
4. Sbagliare il focus
Nonostante le tante attività su cui una startup può essere impegnata, è fondamentale riuscire a individuare il vero punto di forza, in grado di fare breccia nell’attenzione delle persone. Ecco perché, quando si fa comunicazione, bisogna fare delle scelte precise e decidere su cosa puntare. È sconsigliato dire tutto e in una sola volta. Il potenziale investitore potrebbe risultarne annoiato o non convinto di effettuare un finanziamento.
Leggi anche:
Proteggere le reti aziendali in tempi di smart working, i 3 consigli di Veeam
5. Non contestualizzare
È inevitabile che alcuni argomenti attirino l’attenzione del pubblico più di altri. Si tratta quindi di riuscire a creare un legame fra prodotto o servizio e attualità, in modo da rendere più appetibile la notizia. In questo ambito, i “ganci” per contestualizzare una notizia sono innumerevoli. Serve comunque intelligenza e grande spirito di osservazione, ma quando ci riesce il risultato è formidabile.
6. Non rispettare i giornalisti
Chi scrive pone i propri lettori al primo posto ed è disposto a pubblicare qualcosa soltanto se è consapevole di poterli interessare. Inviare comunicati autocelebrativi e vuoti significa non rispettare il lavoro del giornalista ed è la strada più rapida per indirizzare le proprie mail nel cestino. Nessun professionista si lascia infatti scappare l’occasione di pubblicare qualcosa di utile e accattivante per il proprio pubblico.
7. Perdere il contatto con la realtà
Dynamo ha riscontrato casi di founder per i quali sembra che il mondo non aspetti altro che versare denaro nelle casse delle loro startup, salvo poi accorgersi che ogni piccolo investimento è sempre frutto di un intenso lavoro di relazione e comunicazione. Oltre che di un’intelligente strategia di Adv, la quale va sempre messa in conto. Purtroppo, spesso ci si accorge troppo tardi di aver bisogno di una mano.
8. Puntare solo sui numeri
Un investitore ha sempre bisogno di capire che tipo di ritorno può avere il suo investimento. Tuttavia, sa anche che puntare su una startup è un’operazione rischiosa e con rientri a lungo termine. Eppure, spesso si sceglie di finanziare anche per sostenere un progetto: in quel caso è essenziale far emergere la componente emozionale, l’empatia che i founder riescono a generare.
Leggi anche:
Cinque cose da fare per uno smart working al passo coi tempi
9. Stupire con effetti speciali
Il video pitch che accompagna una campagna di equity crowdfunding ha due precisi obiettivi. Da un lato mostrare il volto dei founder e raccontare, dall’altro raccontare l’idea in maniera semplice e coinvolgente, al fine di invogliare potenziali investitori ad approfondire. Talvolta è sufficiente un’inquadratura fissa, una persona che parla e dei testi che scorrono. Ciononostante, molti fondatori di startup sono convinti che sia necessaria una produzione con grandi effetti speciali. Tuttavia, non bisogna stupire il pubblico, ma coinvolgerlo con semplicità e leggerezza.
10. Sottovalutare il press kit
Gli studi di Dynamo mostrano che nove startup su dieci non hanno mai pensato di farsi scattare foto adatte da inviare a giornalisti o blogger che ne fanno richiesta. Preparare un press kit con immagini in alta definizione, loghi, foto di founder, prodotti e magari un profilo aziendale è la base della comunicazione. Spesso si perdono importanti opportunità di pubblicazione proprio perché questi materiali tardano ad arrivare.