A StartupItalia un italiano dell’altro mondo come Federico Stefani: “Sono andato a scuola negli USA, ho fatto un master tra Giappone e Bruxelles. Non pensavo né volevo tornare in Italia. Poi, nel 2018 in poche ore 42 milioni di alberi sono stati abbattuti da una tempesta. Ora la nostra startup deve diventare una community europea: si può creare senza sprecare”
Nonostante siano passati due anni, a Federico Stefani brillano ancora gli occhi a parlare di Vaia, la tempesta che nell’ottobre 2018 spazzando le valli del Trentino riuscì ad abbattere, in una sola notte, 42 milioni di alberi, sferzati da un vento che nelle gole delle Dolomiti non si era mai visto, capace di soffiare a oltre 200 chilometri l’ora.
Vaia, da tempesta a startup
“Sono nato e cresciuto in quei boschi: ho imparato ad amarli”, racconta a StartupItalia l’ideatore di Vaia, la startup che Federico ha creato subito dopo l’uragano, dandole lo stesso nome di quell’evento meteo così estremo. “Perché ci si può arrabbiare, si può borbottare, ma io sono per un approccio propositivo: quando ti succede qualcosa di brutto devi capire come volgerlo al meglio, cosa fare per trarne un vantaggio”.
“Il primo Vaia Cube è stato intagliato pochi mesi prima della tempesta da mio nonno a 92 anni: è stato l’ultimo regalo che mi ha fatto”
Allora l’emergenza era salvare il legno degli alberi rovinati al suolo: “Le autorità volevano ripulire velocemente i boschi, ma quel legno plurisecolare costituiva un patrimonio, non poteva essere mandato al macero, occorreva recuperarlo: bisogna essere riconoscenti di ciò che abbiamo e portare rispetto per una materia prima che impiega cento anni solo per crescere”.
Leggi anche: Nord Est, gli alberi abbattuti dalla tempesta diventano l’edificio in legno più alto d’Italia
Per salvare il legno delle sue terre, il founder di Vaia decide di tornare a casa: “Ho studiato nel Centro America, un master mi ha portato prima in Giappone e poi a Bruxelles: mai avrei pensato di rientrare in Trentino, almeno fino a Vaia”.
L’idea è quella di usare i tronchi abbattuti dalla bufera per costruire un oggetto che fosse contemporaneamente d’arredo, di design e, a suo modo, hi-tech. Nasce così Vaia Cube, un amplificatore per smartphone. La sua spontanea caratteristica di amplificazione viene data dall’abete rosso, famoso per essere usato dai liutai per costruire strumenti a corda.
Leggi anche: Gli alberi abbattuti da Vaia nel Triveneto diventano taglieri solidali
“Il primo Vaia Cube è stato intagliato pochi mesi prima della tempesta da mio nonno a 92 anni”, ricorda il Ceo di Vaia commuovendosi. “È stato il suo ultimo regalo… mi aveva stupito come del ‘semplice legno’ potesse diventare un accessorio utile all’oggetto più tecnologico a disposizione di ciascuno di noi: lo smartphone. Perciò quando ho coinvolto Paolo e Giuseppe nella mia idea imprenditoriale avevo già capito come avremmo utilizzato quel legname”.
Dopo due anni, il legno del Trentino da salvare dal macero non è ancora finito e Vaia Cube continua a essere un’ottima idea regalo sostenibile e capace di aiutare un territorio che, come la sua popolazione, è ferito ma mai domo. La startup anzi ora realizza pure Vaia Focus, un amplificatore, questa volta visivo, sempre per smartphone, in grado di ingrandire lo schermo dello smartphone, senza l’ausilio di nessun supporto digitale grazie alla lente ottica di Fresnel: una tecnologia totalmente analogica, antica di 200 anni. La startup trentina recupera inoltre il telo geotessile usato sul ghiacciaio Presena da un’altra vecchia conoscenza di StartupItalia, Glac-Up e, una volta dismesso, lo trasforma nel panno protettivo del Vaia Focus.
Leggi anche: Vaia, la tempesta che colpì il Trentino diventa un documentario
Ma in realtà l’ambizione è maggiore. “Vogliamo trasformare Vaia in una community che si confronti, che si diverta, ma che sia unita dal medesimo progetto: creare una filiera di valore con la convinzione che ciascuno di noi, nel suo campo, può portare il proprio contributo, testimoniando che sia possibile creare senza sprecare“, racconta sempre Federico.
“Vogliamo declinare tutto ciò a livello locale, a seconda delle esigenze dei territori, dialogando con le startup presenti. Per esempio: abbiamo 18 milioni di ulivi morti di Xylella: cosa possiamo farne? Noi ci stiamo già pensando…”