Chi si laurea e chi studia poi si ritrova ad essere un “nuovo povero”, nel tentativo di perseguire una carriera lavorativa spesso impossibile
Quella dei 25-30enni di oggi, in America, la chiamano la “boomerang generation”. La ragione è semplice. Dopo aver studiato, fatto esperienze, stage, internship e quant’altro, questi post-adolescenti che all’epoca di Dante sarebbero stati nel mezzo del cammin della loro vita, oggi non si trovano nemmeno all’inizio di questo fantomatico percorso e rimangono spesso disoccupati . Anzi, vengono ributtati indietro e sono costretti a vivere con i genitori e a farsi mantenere. Come dei ragazzini, anche se ragazzini non sono. Come dei liceali, anche se magari hanno in tasca lauree, master, perfino dottorati.
Non succede solo in USA, chiaro. È un problema diffuso in tutto il mondo occidentale, Italia inclusa. Anche sei noi, giovani trentenni italici, non siamo poi in fin dei conti “studiosi” quanto il resto dei nostri coetanei: il numero dei laureati nella nostra nazione è il più basso d’Europa (fonte Eurostat) e anche quello dei dottori di ricerca non è poi così alto (fonte OCSE).
Come però ben dimostrano sia i dati sulla disoccupazione che le azioni a favore del terziario avanzato dell’ACTA, il vero problema – sia all’estero che soprattutto qui in patria – è doppio ed è un altro. Chi si laurea e chi studia poi si ritrova ad essere un “nuovo povero”, nel tentativo di perseguire una carriera lavorativa spesso impossibile da realizzare e da allineare alle proprie ambizioni, e in quello altrettanto arduo di sopravvivere alla sempre fulgida burocrazia italiana.
Negli Stati Uniti però, a trovare una qualche soluzione pratica e concreta di sbocco lavorativo per chi ha studiato tanto (a prescindere da quante in effetti siano queste persone) almeno, ci provano. Un bell’esempio è il progetto Versatile PhD, nato per spiegare a chi ancora aveva o avrebbe l’ambizione di tentare una carriera accademica (forse una delle strade più difficili da percorrere, ovunque in occidente) che rinunciare a provarci non vuol dire avere, come unica altra opzione, quella di finire a lavorare in un bar. Anche se si ha un dottorato in materie umanistiche.
Tutto sta nella capacità di capire le potenzialità di noi stessi (idea molto americana) e del nostro percorso formativo, e applicarsi per sfruttare entrambe le cose verso percorsi alternativi
Oltre l’università e verso il mondo del lavoro vero. Versatile PhD ora è un portale web e ha una bella community digitale, che connette dottori di ricerca di tutti i tipi tra gli USA e il Canada. Ma in realtà il progetto, fondato da un consorzio di università tra cui Yale e Harvard, esiste nella sua versione non web già dal 1999.
Oggi il portale (accessibile nella sua interezza solo previa registrazione) contiene consigli di carriera associati a esempi e storie di successo, una bacheca di offerte di lavoro per chi possiede un PhD, uno spazio di dialogo e scambio privato e sicuro (“nothing shows up in Google”, giurano).
Piacerebbe e servirebbe anche qui, uno strumento del genere. Un po’ più concreto rispetto ai servizi offerti dal sistema universitario italiano, che come pressochè uniche attività di mentoring post-universitario include i sondaggi e i curricula da compilare su Almalaurea e gli stage di 2-3 mesi
Perché non è detto (anche se non è del tutto sbagliato) che se si è italiani l’unico tipo di impresa che si possa mettere su è una pizzeria, come disse Briatore. E non è detto che studiare (anche tanto, anche facendo un dottorato) sia inutile, anzi
È assolutamente vero però che la teoria, da sola, non porta da nessuna parte. Per andare avanti serve spirito imprenditoriale e da self-made-man. Insomma, un po’ di buon vecchio pragmatismo spicciolo americano.
Articolo precedentemente pubblicato su CheFuturo di
FRANCESCA MASOERO