Emilia Garito ha lanciato il fondo Deep Ocean Capital, con oltre 40 milioni in dotazione. Guida anche Quantum Leap, società di consulenza che aiuta a favorire il tech transfer. La nuova puntata alla scoperta dei protagonisti dell’ecosistema VC
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Certe esperienze segnano. «A 27 anni lavoravo per quella che oggi è Leonardo. Mi occupavo come project manager dell’efficienza dei sistemi di sorveglianza terrestre e aerea. Pochi mesi dopo aver ottenuto quell’incarico c’è stato l’11 settembre. Bisognava alzare il livello di difesa, i radar dovevano performare al meglio e io avevo la responsabilità di gestire 30 persone». Emilia Garito, originaria di Catanzaro, è la protagonista della nuova puntata del nostro percorso alla scoperta dei protagonisti dell’ecosistema venture capital italiano. Studi umanistici al liceo, ha poi preso la strada di ingegneria informatica, laureandosi alla Sapienza di Roma alla fine degli anni 90. Oggi è Chairman e Founder del fondo Deep Ocean Capital oltre che Ceo di Quantum Leap, società di consulenza parte del Gruppo Engineering, lanciata nel 2012 per favorire il tech transfer.
Un VC multidisciplinare
«Vedo molta coerenza in questa mia doppia anima – ci ha spiegato Garito -. Alcuni potrebbero pensare che debba scegliere se fare consulenza o se invece concentrarmi sul lavoro di venture capitalist. Credo però che nell’ambito deeptech, ossia là dove si creano le industrie del futuro, ci sia necessità di competenze tecniche». Da esperta di software, con un passato nell’Aeronautica Militare dove si è occupata di Difesa, ha le idee chiare sulla necessaria multidisciplinarietà nel mondo VC. «Il fondo che abbiamo lanciato è sempre più collegato agli ambiti della ricerca e dell’industria». In questa vita a metà tra azienda e VC, Emilia Garito ha il bagaglio di una professionista che ha lavorato in settori e ambienti a prevalenza maschile. Su StartupItalia da sempre vogliamo raccontare le storie di donne che abbattono gli stereotipi e una certa cultura che descrive (sbagliando, ovviamente) determinate materie come non idonee alle ragazze. La sua testimonianza è interessante. «L’esperienza in Leonardo è stata fondamentale: un ambiente dove essere donna o uomo non faceva alcuna differenza. Lì mi sono occupata di progetti per l’Aeronautica Militare, ho lavorato anche sul fronte NATO».
Dopo quel percorso, durato dieci anni, Emilia Garito ha deciso di concentrarsi su altri progetti, tornando a quel mondo della ricerca e dello sviluppo che da sempre la appassionava. È così che ha preso forma Quantum Leap, progetto che cerca di colmare gap nel percorso di trasferimento tecnologico. «Abbiamo lavorato con il CNR e il settore della ricerca scientifica: ben presto ci siamo resi conto che la catena del tech transfer ha molti problemi. Così abbiamo creato ponti tra industria e ricerca». In altre occasioni con i venture capitalist che abbiamo intervistato è emerso il tema del livello eccellente della ricerca in Italia, dove però quest’ultima fa ancora fatica a uscire dai laboratori per affrontare il mercato e farsi azienda. «La ricerca scientifica talvolta prende direzioni che non arriveranno mai sul mercato perché perfino la ricerca applicata non è sempre pensata per essere venduta. Non si guarda alla concorrenza, alla strategia di valorizzazione, ai competitor». Per questo è nata Quantum Leap, per supportare aziende, centri di ricerca e innovatori nel processo di valutazione e valorizzazione della proprietà intellettuale.
Il nodo brevetti
La questione dei brevetti è centrale per lo sviluppo in ambito deeptech e in Europa c’è un nodo che complica tutto. Nel vecchio continente la brevettabilità di algoritmi di intelligenza artificiale è prevista soltanto se questi sono collegati alla risoluzione di un problema tecnico e, quindi, all’interazione con una macchina. Negli USA, al contrario, la brevettazione non è condizionata alla presenza di un “effetto tecnico”. «Questo implica la non brevettabilità a livello europeo di algoritmi di intelligenza artificiale, se questi non sono collegati alla risoluzione di un problema tecnico e, quindi, all’interazione con una macchina. Questa disomogeneità è alla base della perdita di competitività dell’Europa in ambito di tecnologie di AI e blockchain. La conseguenza di ciò è, naturalmente, una crescente difficoltà nel poter raggiungere la sovranità tecnologica europea».
Va detto che la ricerca in generale – non soltanto in Italia – sembra aver perso la spinta innovativa come evidenziato in questo editoriale di Gianmario Verona. Pochi anni fa all’attività di consulenza di Garito se ne è affiancata un’altra, che le ha consentito di spendersi nel settore VC. Così nel 2023 ha lanciato Deep Blue Ventures, il fondo con sede a Roma che punta a investire in startup, spin-off e realtà attive in ambito aerospaziale con particolare focus sulle tecnologie dell’intelligenza artificiale applicate ai settori della sanità e della sostenibilità.
Un periodo complesso
Il fondo ha debuttato con una dotazione da 40,8 milioni di euro, ma come ci ha spiegato Garito si punta a un target da 70 milioni. «Ci interessano le realtà che abbiano almeno un TRL 6, dunque ci posizioniamo in seguito al proof of concept». Entro la fine del 2023 il fondo dovrebbe chiudere le sue prime quattro operazioni in realtà perlopiù italiane. «Il limite principale al successo dei fondi deeptech e di technology transfer sino ad ora è stato il difficile processo di trasformazione della ricerca in iniziative imprenditoriali e il controllo limitato o nullo su di esso». E questo perché, come ha compreso con Quantum Leap, «il corto circuito si crea all’interno dell’incomunicabilità tra centri di ricerca, imprese, istituzioni politiche e finanziarie che spesso operano separatamente e per differenti obiettivi all’interno della filiera dell’innovazione». Con l’inevitabile conseguenza che «le migliori innovazioni italiane faticano a scalare i mercati e, in alcuni casi, neanche vi approdano». Il primo closing è stato sottoscritto dal Fondo europeo per gli investimenti (FEI), parte del Gruppo BEI, e da CDP Venture Capital SGR.
Abbiamo chiesto a Emilia Garito anche un commento sui numeri che StartupItalia ha presentato pochi mesi fa sui round del primo semestre 2023 (trovate i dati a questo link). «Dobbiamo aspettare il prossimo anno per capire come il mercato del VC, e degli investimenti in generale in startup, si stia strutturando: credo che i numeri saliranno presto, ma questo dipenderà anche dalla velocità con cui la nostra ricerca scientifica riuscirà a produrre un deal flow investibile in maniera rapida e competitiva. Il corretto utilizzo dei fondi PNRR della misura 4, dalla ricerca all’impresa, sarà fondamentale in quanto strumento di creazione del deal flow del futuro industriale italiano».