In un ecosistema dell’innovazione che spesso pulsa con segnali troppo deboli, un forte impatto arriva dalla doppia exit che Nana Bianca celebra con Booncy e Salesoar, sotto il segno dell’intelligenza artificiale. Un botto che riaccende la voglia di crederci e lavorare per far succedere le cose belle. Booncy, la startup di performance marketing dell’ecosistema di Nana Bianca è stata infatti acquisita da WeBravo, azienda attiva nel settore del digital couponing e dell’affiliate marketing. Il management di Booncy, che già in precedenza aveva acquisito il controllo di Salesoar, ha ceduto l’intero capitale sociale. Un’operazione che produrrà oltre 50 milioni di euro di fatturato, nel 2024.
Il business è una questione di pazienza: bisogna avere cura, chinarsi a guardare molto bene al microscopio le intuizioni delle startup finché non si trova una luce molto piccola, che promette di diventare molto grande. Questo succede nello Startup Studio di Nana Bianca: far brillare il talento, alimentare i progetti promettenti, supportarli senza urgenza, crederci insieme. Il ritmo della tecnologia scandisce il tempo della creatività. Perché lentamente è il modo più veloce per arrivare dove si vuole.
Ne abbiamo parlato con Paolo Barberis, founder di Nana Bianca e ancora prima di quella bella storia italiana di successo che è stata Dada; investitore da una vita, impegnato nel panorama digitale italiano. Barberis sarà speaker a SIOS24 Florence, il 2 ottobre.
Barberis, quali sono le condizioni alla base di questa doppia exit, sotto il segno dell’AI?
Esperienza e pazienza, unitamente alla compatibilità professionale e umana con il team di Booncy. Io e i miei collaboratori facciamo questo mestiere da moltissimi anni; una lunga attività che ci ha consentito di creare un’importante rete di relazioni, competenze, strumenti, valutando e supportando tantissimi progetti. Successi, ma anche qualche errore dai quali abbiamo imparato a individuare e supportare i team più talentuosi, determinati e disponibili a imparare.
Il risultato di un pensiero lungo, che non si concilia con le exit più fulminee…
In Nana Bianca non si predilige il blitz dell’operazione straordinaria. Quella è una strada legittima, agganciata alle contingenze e ai trend del momento, ma non è la nostra. Non siamo né Venture Capital, né Private Equity; preferiamo lavorare su progetti di crescita progressiva che possono durare anche alcuni anni, supportando con pazienza le startup e prendendoci tutto il tempo necessario per contribuire a strutturare i team, valorizzando nel tempo gli investimenti.
Una vocazione artigianale e innovativa quella di Nana Bianca?
Direi che è la vocazione di imprenditori che amano vedere crescere progetti solidi, credibili, senza l’urgenza di mettere pressioni alle startup che supportiamo. Intendiamoci: se capitasse l’Unicorno le porte sono aperte per lavorare insieme, ma non facciamo impresa unicamente con questo obiettivo. Quando all’interno del nostro Startup Studio mettiamo talento, tecnologie e valori umani, i risultati arrivano.
A proposito di pensiero lungo, quando è iniziata l’operazione coronata con la doppia exit?
Questa exit in realtà ha messo radici quasi dieci anni fa. I soci fondatori di Booncy hanno iniziato il proprio percorso grazie e insieme al team che ha fondato Viralize, società leader nella produzione di video advertising basata su intelligenza artificiale cresciuta proprio in Nana Bianca. Questa è stata la prima connessione dalla quale poi sono seguiti i successivi sviluppi con Booncy e Salesoar, sempre seguiti insieme al team Di VIralize, fino all’attuale exit realizzata con WeBravo. All’interno dello Startup Studio di Nanna Bianca abbiamo unito i puntini, ci siamo posti domande decidendo di continuare a investire in questo progetto. E i risultati hanno premiato noi e i nostri compagni di questo bellissimo viaggio.
Oltre al talento, qual è la componente irrinunciabile per un progetto?
Le imprese destinate al successo hanno un forte cuore tecnologico. I team sono composti quasi sempre da ingegneri e imprenditori con competenze tecniche e digitali. Settori trainanti come il digital marketing e il performance marketing fanno leva su machine learning e Intelligenza Artificiale che rappresentano il motore principale dell’innovazione. Ma al cuore tecnologico si deve aggiungere la compatibilità tra le persone, la voglia di imparare velocemente, l’umiltà per accettare gli insegnamenti.
Gli investimenti nell’ecosistema dell’innovazione nel 2024 non sono incoraggianti. Qual è la sua interpretazione?
Siamo in uno scenario indubbiamente complesso. Dopo due anni di iniezioni robuste di capitali, negli ultimi mesi siamo entrati in una fase anticiclica. C’è chi spinge maggiormente sui capitali di rischio, e chi predilige attività di investimento in private equity. Siamo tutti chiamati a decidere se attribuire più rilevanza all’EBITDA positiva o invece insistere sui Kpi di crescita dei prodotti e dei servizi. In generale siamo in una fase di attesa, molto prudente, nella quale la propensione a rischiare è tendenzialmente bassa. Ognuno deve tenere duro e seguire le proprie linee guida.
Si parla moltissimo di AI, un argomento mainstream. Stiamo trascurando qualcosa?
Non dobbiamo perdere di vista la stella polare che qualsiasi innovazione a larga diffusione, dovrebbe seguire: risolvere problemi nella quotidianità, liberando tempo da dedicare alla qualità delle nostre vite. Sviluppare un’applicazione verticale “AI first” è difficile, servono team tecnicamente preparatissimi, tantissimi soldi e la competitività è forte. Si può fare, ma è una partita riservata a poche persone. La prospettiva, invece, cambia quando si inserisce l’Intelligenza Artificiale all’interno di servizi a larga diffusione, che necessitano di essere digitalizzati. Pensiamo, ad esempio, alla sanità o alle complessità delle grandi aree metropolitane. Perciò non vanno trascurati i problemi più ricorrenti e basici che offrono grandi opportunità di sviluppo dell’AI.