Dal vertical farming alla lotta contro lo spreco alimentare: Forward Fooding ha selezionato 500 giovani realtà che si stanno particolarmente distinguendo a livello mondiale per lo sviluppo di soluzioni innovative e sostenibili per l’ambiente
L’ecosistema dell’AgriFoodTech è più vivo che mai. Non sarebbe un’esagerazione definire il 2021 il suo anno d’oro. Secondo i dati di FoodTech Data Navigator, durante lo scorso anno sono stati investiti oltre 50 miliardi di dollari in startup e scaleup che si occupano proprio di innovazione agroalimentare. La cosa non dovrebbe più stupire ormai: quante volte ripetiamo che di fronte a sfide epocali, come l’adattamento ai cambiamenti climatici, la tecnologia è uno dei nostri alleati più preziosi?
Orientarsi in questo mondo vastissimo non è certo impresa facile. Una valida bussola è rappresentata dall’ultimo rapporto FoodTech 500, pubblicato da Forward Fooding. Anche per l’anno 2021 è stata infatti stilata la classifica delle 500 startup AgriFoodTech più interessanti al mondo. Scopo dell’iniziativa (che si ispira alla celebre classifica Fortune 500) è quello di aumentare la consapevolezza sulle potenzialità di un settore in rapida evoluzione, dare visibilità ai migliori talenti e quindi permettere di instaurare collaborazioni e partnership.
Il compito dei selezionatori è stato piuttosto arduo. Sono infatti arrivate oltre 2.250 candidature da 85 Paesi. La posizione nella graduatoria di ciascuna realtà è stata poi determinata processando i dati sulla base di 3 criteri: business size, digital footprint e sustainability. Tra i 500 finalisti ci sono anche 7 aziende unicorno, aziende cioè che hanno raggiunto una valutazione di mercato superiore al miliardo di dollari. Ma andiamo a scoprire chi ha conquistato le prime dieci posizioni della FoodTech500.
La top 10
Dare un’occhiata alle 10 migliori startup secondo Forward Fooding significa avere di fronte una panoramica delle principali direttrici lungo le quali si sta muovendo il ramo più innovativo dell’industria agroalimentare. Non è un caso che in vetta troviamo Infarm, azienda berlinese fondata nel 2013 che sta costruendo una rete globale di vertical farms urbane per coltivare e distribuire prodotti freschi direttamente nelle città.
La medaglia d’argento è andata a Plenty, realtà statunitense nata nel 2014 votata anch’essa allo sviluppo dell’indoor farming. Sul gradino più basso del podio si posiziona invece la francese Ynsect, che utilizza le proteine degli insetti per produrre nutrienti destinati ad animali domestici, pesci d’allevamento, piante e anche esseri umani. Si classifica al quarto posto Benson Hill, startup americana che si propone di sfruttare la naturale diversità genetica delle piante per sviluppare nuove sementi, in maniera più sostenibile ed economicamente vantaggiosa.
Uno dei trend più in voga è poi quello legato alla lotta contro lo spreco alimentare. La californiana Imperfect Foods (quinto posto) e la danese Too Good to Go (nono posto) affrontano il problema in due modi diversi: la prima offrendo un servizio di delivery della frutta e verdura “brutta ma buona”, l’altra mettendo in connessione clienti ed esercizi commerciali con eccedenze alimentari invendute.
Un altro filone che sta sempre più prendendo piede, anche in Italia, è quello del meal kit, ovvero la consegna a domicilio di ingredienti e prodotti semilavorati necessari per preparare un pasto fatto in casa: il leader mondiale è Hello Fresh (settimo posto), società tedesca quotata alla borsa di Francoforte, che ha chiuso il 2020 con 3,7 miliardi di euro di fatturato. Un modello di business che è stato ripreso anche dall’italiana Quomi, che però ritroviamo al 117esimo posto della classifica.
Completano la top 10 le due startup made in Usa Bowery Farming (sesto posto), che si occupa di vertical farming, e Pivot Bio (ottavo posto), che ha messo a punto dei fertilizzanti a base di batteri azotofissatori in sostituzione dei più inquinanti fertilizzanti sintetici, e infine Notco (decimo posto), azienda unicorno cilena specializzata nella produzione di alternative plant-based ai prodotti di origine animale, inclusi uova e latticini.
E l’Italia?
Il nostro Paese presenta uno scenario con luci e ombre. Quest’anno nella classifica di FoodTech 500 sono entrate 24 startup (poco meno del 5% del totale). Il food delivery si conferma una delle attività che raccoglie più fondi, con realtà come Soplaya, Orapesce e Deliveristo (che entrano in Foodtech500 rispettivamente alla 233esima, 245esima e 246esima posizione).
In generale, l’analisi di Forward Fooding mette in evidenza come l’AgriFoodTech italiano faccia ancora fatica ad attrarre capitali. Basta considerare che nel periodo 2011-2021 sono stati investiti complessivamente 259,4 milioni di euro. Un dato che ci pone al decimo posto in Europa e che è di gran lunga inferiore a quello di Paesi come la Spagna (1,2 miliardi di euro), la Francia (1,3 miliardi) e la Germania (1,9 milioni). Per non parlare del Regno Unito, che raggiunge i 3,5 miliardi di euro di fondi raccolti negli ultimi 10 anni.
Nonostante questo ritardo, l’Italia si attesta al quarto posto nella classifica dei Paesi europei per numero di startup attive (217, dietro sempre a Regno Unito, Francia e Spagna). Ed è comunque molto positivo il fatto che negli ultimi anni siano arrivati in Italia acceleratori e incubatori dedicati specificamente all’ambito AgriFoodTech, come Talent Garden, Plug and Play e The Food Tech Accelerator. Segno di un ecosistema ancora da costruire, ma avviato sulla buona strada e soprattutto con enormi margini di crescita.