L’importante è buttarsi e cominciare. Ma senza procedere a caso o, peggio, male informati. Se impiegherete il mese di agosto per limare gli ultimi dettagli e poi ripartire con il lancio di un vostro progetto imprenditoriale, l’intervista a Cristina Crupi, avvocata ed esperta di diritto societario, può esservi utile per capire se avete riflettuto su ogni passaggio. Autrice insieme a Mario Moroni del podcast “L’Avvocato delle Startup: la guida alle regole dell’innovazione”, disponibile su Spotify, con noi ha affrontato tematiche senz’altro tecniche, ma di importanza tutt’altro che secondaria. «Abbiamo pensato che il linguaggio audio potesse essere utile per tutti gli startupper. Questo prodotto si rivolge in particolare a loro. È una materia complessa».
Fare startup: una serie podcast per i dubbiosi
Prima di elencare alcuni aspetti fondamentali per il lancio di una startup, Crupi ha voluto partire dalla definizione stessa. «Ha maglie molto larghe: ce ne sono 14mila in Italia, è vero, ma non tutte hanno un oggetto sociale innovativo o una tecnologia. Se dovessi suggerire la strada da percorrere è sistemare la definizione stessa di startup. Poi, ovviamente, bisogna lavorare sugli incentivi fiscali. Servono investimenti internazionali, è la scommessa del decennio». Crupi è anche autrice dei libri Codice delle Startup e Codice delle PMI.
Lo Startup Act del 2012 è stato un pacchetto fondamentale per l’emergere e il riconoscimento dell’ecosistema, ma ora occorre un radicale aggiornamento. «Lo scopo del legislatore del 2012 è stato raggiunto. Ora dobbiamo dare più spinta, altrimenti le startup non crescono. Purtroppo non siamo un Paese amico delle imprese: troppa burocrazia. Una causa commerciale dura 1200 giorni contro i 300 della Francia».
Ma partiamo con i suggerimenti. Che modello di società dovrebbe preferire una persona che sta per lanciare la propria startup? «Molti guardano alla srl semplificata, ma oggi non serve più. Il modello migliore, più flessibile, è quello della srl ordinaria». Un altro elemento preliminare non indifferente riguarda lo statuto. «Suggerisco di scriverne uno corretto, i modelli standard online non sono idonei. Può sembrare inutile, ma si possono compiere o meno scelte che riguardano i soci, la circolazione delle quote. Si faranno o non si faranno i patti parasociali?».
VC o business angel?
E per chi già scalpita sul fronte investimenti? «Cerco sempre di orientare gli imprenditori nel trovare investimenti. Tanti si concentrando sul crowdfunding, ma ci sono altre forme di finanziamento. Suggerisco di conoscere a fondo il SAFE (acronimo di Simple Agreement for Future Equity, ndr)». Lanciato da Y Combinator, il più famoso acceleratore al mondo, è stato ripreso in tutto il mondo perché è un contratto di investimento che dà diritto a chi mette i soldi di ricevere quote in un secondo momento.
«Il SAFE ad esempio è uno strumento molto utile in fase pre-seed». Le differenze stanno poi in chi investe. «Il fondo di venture capital si muove in maniera strutturata, presenta un term sheet, in cui delinea le operazioni. Consiglio sempre di non farsi prendere dallo stress di firmarlo subito. Si possono negoziare alcune delle clausole interne». Alternative? «Il business angel si muove su altri canali. Il contratto di investimento è molto impegnativo, viene definito un contratto alieno. E poi bisogna guardare anche agli investimenti europei, dove si trovano molte risorse a fondo perduto».
Lato assunzioni Crupi ci ha poi spiegato come trattenere i talenti. «C’è il contratto work for equity, un piano di incentivazione che stabilisce benefit al raggiungimento di determinati obiettivi. Le stock option infine sono poco utilizzate, ma visto che le sfruttano le Big Tech per non far scappare le risorse strategiche, consiglierei di ragionarci».