La banca biellese fa open innovation dal 1997. Oggi ha un acceleratore verticale, dove bancari e startup lavorano fianco a fianco in team: un modello che Doris Messina definisce di “innovazione discontinua”
Ha 130 anni, il Gruppo Banca Sella, portati benissimo. La banca, dal 1886, ha scelto di mantenere salde le radici col proprio territorio, Biella, e al tempo stesso aprirsi dai piedi delle Alpi al mondo. Prima di altri. Era il 1997, e ancora non si parlava di startup ma di informatica e l’R&D sembrava una cosa da smanettoni sbarbatelli. Sella fa una scelta che oggi potremmo definire di “vision”: apre, in India, Synergy, una sua società di sviluppo informatico, con un mandato preciso: la banca vuole staccarsi dal mainframe e realizzare un sistema informativo autonomo. In tre anni la piattaforma è pronta. 2000, da lì in avanti il gruppo biellese inizierà ad aprire i propri processi innovativi, con politiche di ricerca e sviluppo sempre più “liquide”, dialogando con le piccole medie imprese (che ancora non erano “innovative”, pur innovando). Stavano facendo open innovation, ma forse non lo sapevano.
Cambiamenti che oggi Doris Messina, responsabile Innovazione del Gruppo, definisce «strategici, che fanno davvero la differenza». E’ da quel momento che, 15 anni fa, Sella inizierà un percorso che presto da banca la porterà a diventare «una piattaforma bancaria, accessibile dall’esterno e personalizzabile». Con ironia, ricorda la manager, «qualcuno ci ha definiti una della più grandi software house in Italia». Tech Company, diremmo oggi.
Ma cos’è l’open innovation per Banca Sella? E’ una politica strategica di R&D, sicuramente, di costruzione di una rete b2b dinamica e virtuosa, anche, ma soprattutto un luogo. Mille metri quadrati ai piedi delle Alpi, un open space di archeologia industriale che il Gruppo guidato da Pietro Sella ha voluto stabilire idealmente in uno storico presidio di innovazione biellese, il Lanificio Sella. Dal tessile alle startup, alla ricerca con le università. Si chiama SellaLab, è stato inaugurato nel 2013 ed è uno dei primi esperimenti di acceleratore d’impresa “verticale”, in quanto dedicato quasi interamente al fintech, ovvero all’innovazione dei servizi finanziari.
Lì startup e manager, ingegneri e designer, avvocati e consulenti, lavorano in team. Scambiandosi skills e know-how.
Non solo. Organizzano hackaton, ospitano un FabLab, promuovono eventi di formazione aperti a tutti (oltre 60, solo nel 2015). Dicono che da loro siano transitate circa 400 tra startup e idee d’impresa, delle quali 30 sono diventate dei veri e propri business sostenuti e accelerati dal Gruppo.
Doris Messina, siete avanti nell’innovazione da almeno vent’anni. Qual è, allora, il valore aggiunto delle startup?
«Noi abbiamo l’innovazione nel nostro Dna, anche prima di essere banca. Tendiamo sempre ad avere un osservatorio attento a quello che succede fuori».
Con “quello che succede fuori” si riferisce a un evento in particolare?
«L’ultima crisi credo che abbia determinato un’accelerazione. E poi, a livello internazionale, la crescita intensa del fintech».
L’innovazione “discontinua”
Col fintech chi ci perde e chi ci guadagna, startup o banche?
«Lato banca abbiamo l’esperienza, skilss di un certo tipo, dall’altro le startup portano valore aggiunto. Mettere insieme questi due fattori crea innovazione discontinua. Spesso, infatti, capita che le startup che arrivano siano molto innovative ma mancano moltissimo di tutte quelle competenze bancarie che sono fondamentali. Esperienza da una parte, freschezza e grinta dall’altra».
Serviva davvero un acceleratore verticale?
«È un modello di RnD completamente diverso rispetto al passato e anche un polo di attrazione per chi vuole fare innovazione nel fintech, sia in termini generali che specialistici».
Come fate andare d’accordo startupper e bancari?
«Facciamo gruppi misti, di modo che le competenze scambiate siano molto ampie, legale, compliance, It, business. Così si costruiscono team molto solidi. Una cosa che facciamo anche come banca: al nostro interno, ad esempio, l’It è sempre stato vicino al business, ma mai così vicino come SellaLab».
Una provocazione: perché fare un posto del genere a Biella e non, per dire, a Milano?
«Abbiamo scelto di rimanere a Biella quando abbiamo costruito la nostra nuova sede, prima di tutto per il territorio. Milano è molto grande ma anche molto pervasiva, essere a Biella, comunque in un contesto molto protetto, ci consente di rimanere più indenni da tante mode, tentazioni».
Mode?
«Ci sono state nel tempo scelte di prodotti più aggressivi, speculativi, dai quali vogliamo tenerci lontani».
Modelli di innovazione aperta
Che differenza c’è tra un modello di RnD liquido, b2b tradizionale e uno di open innovation?
«La vera differenza la insegna la blockchain, è un’innovazione distribuita perché non è fatta da un solo soggetto che ha in mano tutta la situazione, sistema informativo, skills, eccetera. È molto più paritetica, innovazione distribuita, appunto. Open non solo in termini di innovazione in senso lato, ma open in senso delle persone, dei locali, dell’accesso alle informazioni, all’accesso al sistema informativo. Perché consente una personalizzazione molto importante».
Perché è importante?
«In futuro, ad esempio, con le nuove normative i pagamenti possano essere scatenati da diversi soggetti che non sono le banche, si sposteranno, insomma il focus dei prodotti bancari».
E voi siete pronti?
«Abbiamo totale autonomia nella gestione del sistema informativo, e questa è la differenza importante rispetto al mercato. E’ chiaro, anche altre banche hanno il proprio, ma per noi questo rappresenta un valore aggiunto. La nostra cultura tecnologica è legata all’innovazione e la somma tra autonomia totale nel sistema informativo e cultura dell’apertura verso l’innovazione, le startup, le pmi innovative, le università e i centri di ricerca oggi possono fare la differenza».
Avete anche promosso una call per startup fintech…
«Abbiamo selezionato i progetti finalisti, e poi con una seconda selezione ne sceglieremo altri 4 da portare in finale…»
E chi vince?
«6 mesi di mentorship, la possibilità di accedere, successivamente, a finanziamenti con il nostro fondo venture o con la nostra rete di nostri investitori, e un mese nel più importante acceleratore fintech d’Europa, il Level39».
Anche voi le mandate a Londra (come i Fintech Awards di CheBanca, ndr), e se poi le startup che formate decideranno di fermarsi lì?
«Se abbiamo l’equity anche meglio», sorride.
Aldo V. Pecora
@aldopecora