Per molti urbanisti è la sfida dei prossimi anni. La nuova mobilità cambierà il modo in cui viviamo la città. E i suoi confini. Ecco cosa dovremmo aspettarci
Secondo alcune fonti, entro il 2020 ne circoleranno in tutto il mondo 10 milioni. Per altre, nel 2035 costituiranno il 25% del parco automobilistico internazionale. La svolta è individuata proprio a partire da quell’anno ed entro il decennio seguente. Per il 2030, insomma, la faccenda dovrebbe essere definitivamente uscita dal mondo degli investimenti, dei prototipi, dei test e anche un po’ dei sogni per tuffarsi, almeno in parte, nella vita reale. Sempre che le legislazioni di mezzo mondo si adeguino, accompagnandone la diffusione. Stiamo ovviamente parlando delle auto a guida autonoma che tuttavia, insieme alle nostre abitudini, potrebbero darci una mano a ridisegnare le nostre città e le nostre periferie.
L’espansione della periferia
QUI Roberto Saviano raccontava, in un pezzo che apriva un numero speciale del domenicale di Repubblica, della straordinaria espansione del concetto di periferia, ormai persa ben oltre i margini della grande città: “Oggi sono definibili periferia interi paesi che si sviluppano ai margini delle città. Intere province diventano periferia dei capoluoghi, delle metropoli. Questa evoluzione postmoderna rende assai più complesso identificarle, parlarne, comprenderne le dinamiche”. Forse l’innovazione, e in particolare le auto driverless, potrebbero aiutarci a capirle meglio e a ricucirle al resto delle città. Anzi, a sanarle, perché le cuciture sanno sempre di cicatrice. A farne un posto di rivincita, di maggiori spazi e anche, perché no, di ordine. Ma senza ridimensionarle: semmai, allargando l’abbraccio.
Il “terzo spazio” che si aprirà nelle metropoli
Google, Uber, Tesla, Apple (anche se più misteriosamente) insieme ai loro partner industriali, da Volkswagen ad Audi passando per Fca col recente accordo con Mountain View. Ormai tutti i player del settore stanno puntando all’auto autonoma. Qualche tempo fa Fast Company ha chiesto allo studio di design newyorkese Pensa – già coinvolto da un nuovo approccio all’urbanistica proprio nella Grande Mela – di immaginare le strade del futuro alla luce di questi probabili sviluppi. Il gruppo ha così partorito un piano battezzato Third Space nel quale si mettono per esempio in evidenza i risparmi di spazio legati ai parcheggi o anche, in maniera più sottile e liquida, la medesima concezione degli spazi che, a ben pensare, già una Wi-Fi potente che arriva sul marciapiede ha letteralmente liquefatto. Tutto è ufficio, lavoro, svago, servizio. In una rete in cui gli ambienti si confondono, risolvendo a vicenda le proprie criticità.
Un lavoro simile ha provato a farlo anche uno studio di design britannico, Hta, col progetto Supurbia.
Con la guida autonoma diventeremo tutti pendolari
Le auto autonome potrebbero, tanto per dirne alcune, decentralizzare gli uffici e soprattutto aiutarci a reinventare concretamente gli spazi fra edifici e strade, in virtù dei loro elevatissimi standard di sicurezza. Ma non solo: le auto del futuro saranno elettriche, dunque silenziose. Ecco perché, specialmente nelle aree a elevata densità, i marciapiedi potrebbero per esempio trasformarsi, ospitando magari dei piccoli luoghi di lavoro diffusi – forse temporanei, contrastando la terribile tendenza del coworking contemporaneo a concentrarsi al centro delle città – dei punti di distribuzione di pacchi e corrispondenza oppure ospitare qualsiasi altro servizio, sottraendo il vecchio modello di fermata del mezzo pubblico dal suo status selvatico. In fondo, il concetto è che con le auto autonome diventeremo tutti pendolari. Ma in modo diverso: saranno i veicoli privati a muoversi per noi.
Popolazione, servizi, attrazioni: la driverless car spalmerà gli ingredienti urbani
In fondo anche Renzo Piano sostiene che le “periferie saranno le città del futuro”. E alla loro riqualificazione ha dedicato il progetto, anzi il gruppo di lavoro, etichettato G124. Secondo Robert McDonald, capo del programma statunitense Global Cities al Nature Conservancy, i nuovi trasporti automatizzati produrranno delle conseguenze simili a quelle delle leggi naturali: più ci muoveremo rapidamente e senza intoppi – dimensione che le driverless car ci consentirà senza problemi – più il nostro contesto urbano si allargherà.
Il concetto stesso di centro e periferia potrebbe così uscirne ribaltato, se girare per il tessuto urbano diventerà qualcosa di nettamente diverso dall’esperienza traumatica e a tratti biblica che è oggi in molte grandi metropoli del mondo. Questo condurrà a una maggiore densità e distribuzione della popolazione con una totale reinvenzione delle periferie. Che a quel punto non saranno più tali. Le auto che si guidano da sole costruiranno ponti per una loro riqualificazione quasi deterministica, legata cioè all’avanzata della tecnologia?
In altre parole, l’auto a guida autonoma – o meglio, i suoi vantaggi in termini di ricadute strategiche – potrebbe spalmare popolazione, servizi e attrattiva anche verso le zone dove attualmente si trovano solo alcuni di questi ingredienti. O solo popolazione, come nei quartieri-dormitorio, o solo servizi, come in quelli della politica o degli affari, o solo attrazioni turistiche o di altro genere. Questo anche perché salteranno alcuni dei tipici parametri di valutazione del valore dei terreni. Superando insomma quella parcellizzazione del tessuto urbano (dentro-fuori, centro-periferia, zona residenziale-zona commerciale) che ha condotto allo scenario attuale, specialmente nel contesto occidentale. Uno scenario escluso da ogni bilanciamento, dove alla luce sociale dei centri si contrappongono le lucine delle finestre.
Le auto senza conducente, insomma, promettono di allargare ancora di più le città ma garantendo maggiore inclusività. Ridisegnando nello stesso tempo alcuni elementi tipici del lavoro, del network dei trasporti, della vita urbana stessa. Viene in mente – è solo un esempio – Mcity, la città fasulla messa in piedi da diversi grandi nomi dell’automotive, Ford su tutte, per testare le proprie vetture autonome. In fondo, di che altro si tratta se non di un piccolo esempio di periferia artificiale?