«Ho lavorato con Sam Houser (co-fondatore di Rockstar Games, ndr), un visionario, e mi ricordo ancora una sua frase. Stavamo lavorando a Grand Theft Auto: Vice City e disse: “Noi non seguiamo i trend, noi li settiamo”. Ecco, lo puoi fare se sei Rockstar Games. Ma credo sia possibile anche se non sei nessuno. Noi corriamo senz’altro meno rischi». Christian Cantamessa, co-founder della software house Day 4 Night, ci parla da Los Angeles, mentre sull’altra parte dello schermo è collegato Davide Soliani, l’altro co-founder della startup gaming, che vive in Italia.
In questa puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo”, pubblichiamo la loro prima intervista a pochi mesi dal lancio dell’azienda. Non si sono per nulla sbottonati sul primo videogioco in cantiere (faccina triste), ma la loro resta una testimonianza importante di veterani del settore che ripartono da zero dopo aver maturato un’esperienza di livello in alcune delle più importanti aziende dell’industria.
Da dove nasce l’idea di fondare Day 4 Night?
CC: Più che una grande strategia, ha pesato l’interesse creativo di lavorare con un amico. Abbiamo cominciato insieme in Ubisoft, a inizio carriera. Conosco Davide da 25 anni. Dopo che ci siamo allontanati, mettendo un oceano in mezzo a noi, è emerso il desiderio di lavorare insieme. Io sono in California dal 2005, ho vissuto prima a San Diego e ora a Los Angeles. Poco più di un anno fa, era il mio compleanno, ci siamo scritti e gli ho chiesto come stavano andando le cose. Da lì è partito tutto.
DS: Aggiungo che quando abbiamo iniziato in Ubisoft eravamo rivali. Lavoravamo su progetti diversi per fare delle figate. E nel nostro piccolo ci siamo riusciti. Poi abbiamo collaborato. Avevamo già parecchie idee e desideri. Il nostro arco di lavoro assieme si è concluso in Ubisoft Milano perché poi lui si è spostato in Scozia. Ma abbiamo sempre coltivato l’idea di tornare a lavorare fianco a fianco.
Perché avete chiamato così la vostra startup, Day 4 Night?
CC: Il nome è una reference al mondo dell’immaginazione: è un termine cinematografico che si usa per indicare una scena filmata di giorno ma che sembra invece girata di notte. Il set dressing è un collegamento al potere dell’immaginazione.
DS: C’è poi un altro aspetto: essendo io a Milano e lui a Los Angeles si lavora a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non possiamo essere sempre comodi col fuso orario.
Dopo aver lavorato in alcune delle software house tripla A più importanti al mondo, ora affrontate il mercato da soli. Come ci si sente?
CC: Sia per me sia per Davide questa è la nostra prima startup. Non ci vediamo come imprenditori, a dire il vero. Siamo partiti come non ti dicono di fare nelle business school: avevamo un sogno nel cassetto. E così ci siamo detti: e se proviamo a farlo?
DS: Funzioniamo di pancia, è un bisogno creativo, perché se non lo facciamo non stiamo bene. È la nostra vita che gira intorno a questo. Con questo videogioco vogliamo dire qualcosa, è un messaggio forte. Non possiamo dire altro a riguardo. La software house è il mezzo, ci serviva un terreno su cui costruire.
Come è stato il passaggio dal lavorare in multinazionali a operare con la propria startup?
CC: Il cambio di velocità si sente. Siamo passati da grosse realtà a un team di circa 20 persone. Dopo quasi 30 anni che lavoro nel settore questo è un progetto molto indie, una cosa che i colossi non avrebbero fatto. Come hanno detto i nostri investor è qualcosa di diverso e originale.
DS: Entrambi avevamo ottime posizioni. Non è stato facile lasciare simili ruoli. Ma quando abbiamo iniziato a creare l’azienda mi sono emozionato a ogni piccolo step. La prima riunione, la prima discussione sul prototipo. Sono cose che ci si guadagna. Da quando ho iniziato questa avventura ho provato un grande senso di libertà creativa. Non tornerei più indietro.
Affrontate un mercato pieno di player: come ci si sente dall’ottica indie?
CC: Ho lavorato con Sam Houser (co-fondatore di Rockstar Games, ndr), un visionario, e mi ricordo ancora una sua frase. Stavamo lavorando a Grand Theft Auto: Vice City e disse: “Noi non seguiamo i trend, noi li settiamo”. Ecco, lo puoi fare se sei Rockstar Games. Ma credo sia possibile anche se sei nessuno. Noi corriamo senz’altro meno rischi.
DS: Le prime persone che devono esser contente come giocatori siamo io e Christian. Non siamo facili da accontentare. Il videogioco che stiamo facendo trasmette un messaggio importantissimo, a cui noi teniamo molto. Interesserà a una serie di persone.
Come funziona il lavoro di una software house che opera con team da da remoto?
CC: A breve sarò in Italia e non dico che inizierò a fare il pendolare tra Los Angeles e Milano, ma farò visite frequenti. Il remote working funziona.
DS: Quando ero in Ubisoft per Mario + Rabbids: Sparks of Hope lavoravo con cinque studi diversi nel mondo. Il rischio è che le nuove leve fatichino a creare legami. Ma tutte le persone del nostro team sono veterani e amici. Ci stiamo organizzando per vederci, per svagarci e condividere idee.
Non ci risponderete, ma lo chiediamo lo stesso: quando uscirete col primo videogioco?
CS – DS: Out when ready