Doncaster, sobborgo di Melbourne, Australia. È il 27 aprile del 1983 e per la prima volta si disputa una manifestazione sportiva senza precedenti nella storia del Paese: la
Westfield Sydney to Melbourne Ultramarathon. Una sfida podistica di 875 km attraverso le Highlands meridionali australiane. All’epoca, una delle corse più impegnative al mondo. Uno dei partecipanti alla gara, il ventottenne John Connellan, descriverà la competizione con queste parole «persone che battono la testa contro un muro di mattoni e quello che resiste più a lungo vince».
Negli anni ’70, un certo numero di temerari corridori di ultramaratona si misero alla prova percorrendo da soli o in gruppo la tratta che da Sydney arrivava a Melbourne. Partiti come outsider, questi atleti spesso ridicolizzati, riuscirono nel tempo ad ottenere visibilità attirando l’attenzione anche delle agenzie pubblicitarie e del maratoneta Martin Noonan.
Noonan, detto Alby, all’epoca era il responsabile marketing e promozioni del centro commerciale Westfield Doncaster. Trasformò quello che per i più era una follia in una sfida regolamentata. Sponsor dell’evento il suo datore di lavoro, la Westfield Group. La gara partiva dal centro commerciale Westfield Shopping Centre di Parramatta e terminava in quello di Doncaster.
Ai nastri di partenza solo 11 iscritti, per lo più atleti con anni di esperienza nelle maratone, con sponsor e squadre di supporto. I favoriti erano 3. Tony Rafferty, 44 anni, ultramaratonista tra i più conosciuti in gara. Nel 1975 stabilì un record mondiale correndo per 50 ore senza soste. Nel 1978 aveva dato prova della sua resistenza completando il percorso da Melbourne a Sydney – in 8 giorni 17 ore e 15 minuti – e ritorno. Per prepararsi alla gara, Rafferty correva una maratona al giorno, 20 km al mattino e 20 km nel pomeriggio.
Altro favorito George Perdon, 59 anni. Si alzava alle 4:45 ogni giorno. Prima di iniziare il suo lavoro nel negozio di articoli sportivi, si allenava. Gli allenamenti proseguivano la sera e, quando poteva, aggiungeva un’ulteriore sessione di allenamento all’ora di pranzo. Perdon percorreva almeno 200 km a settimana. Se il tempo era davvero brutto, si allenava in garage.
Secondo Perdon: «Non c’è differenza tra correre intorno al tuo garage per un paio d’ore ed essere sulla strada dove potresti bagnarti. Uno dei problemi che affrontano i corridori in queste lunghe corse è la monotonia e la noia. Se puoi correre intorno al tuo garage, puoi correre ovunque».
Infine, grande favorito per la vittoria uno dei pionieri dell’ultramaratona al di fuori dell’Australia, il 42enne Siegfried Bauer, detentore del record mondiale di 1000 miglia. Lo sparo di partenza è fissato per le 10:30. A tagliare il traguardo saranno solo 6 atleti.
Rafferty arriverà quinto dopo 7 giorni dall’inizio della gara; Bauer terzo dopo 6 giorni e 5 ore; Perdon secondo dopo 6 giorni e 1 ora. Ad arrivare primo il meno favorito e meno conosciuto Albert Ernest Clifford Young (passerà alla storia come Cliff Young) dopo 5 giorni, 15 ore e 4 minuti.
Non giudicare mai una persona dalla… copertina
Il giorno della gara, ai blocchi di partenza, fece la sua comparsa anche un coltivatore di patate di 61 anni di nome Cliff Young. Disse di voler correre la gara. Non indossava attrezzature da corsa professionali ma pantaloni larghi antivento a cui aveva fatto dei buchi «per favorire la ventilazione» e stivali da campagna. Si era tolto la dentiera, perché «si muove quando corro». Young era vestito come se fosse pronto a portare le pecore al pascolo. Atleti e pubblico ridono. Alcuni pensano sia uno scherzo.
Young si mise ai nastri di partenza. La sua iscrizione fu accolta dall’organizzazione. Può gareggiare. Un giornalista, incuriosito, lo intervista. Gli domanda quali siano le sue aspettative. Non risponde alla domanda ma ai dubbi del pubblico e afferma convinto: «Credo di poter correre questa gara».
Young vive con sua madre che si dichiara sorpresa della scelta del figlio di iniziare a correre a 57 anni. L’età non è per lui un ostacolo e neanche l’assenza di una preparazione tradizionale. Non possedeva cavalli, trattori o auto. I suoi piedi erano l’unico mezzo di trasporto che conosceva. La sua convinzione sulla possibilità di partecipare alla gara era maturata sul campo da pascolo
«Ogni volta che arrivano i temporali, devo uscire e radunare le pecore. Abbiamo 2.000 pecore su 2.000 acri. A volte devo correre per 2 o 3 giorni per radunarle. Ma le ho sempre riprese tutte» risponde a chi si domanda da dove derivasse la convinzione di poter prendere parte a una ultramaratona. La gara era ai limiti della resistenza fisica e psicologica. Si trattava di correre per quasi 900 km, intervallando 18 ore di corsa con 6 ore di sonno e riposo.
A pochi chilometri dall’inizio del percorso, i concorrenti lo davano già per spacciato. In testa Hughes e McCrorie. Nei primi 20 chilometri corsero sotto le 3 ore. Certamente erano i favoriti del giorno.
Young era già in ritardo rispetto al gruppo. Non riusciva a tenere il passo. Si muoveva lentamente, non correva ma camminava o meglio si trascinava. McCrorie dichiarò alcuni anni dopo che il suo ritmo all’inizio della gara gli costò ogni possibilità di finire al primo posto. Young invece procede tranquillo, lento ma costante. Cliff Young aveva due vantaggi enormi, di cui nessuno era a conoscenza.
Al ventitreesimo chilometro Hughes era in testa. Fu a questo punto che prese una strada sbagliata e 5 corridori lo seguirono, tra questi Young. A segnalare al contadino il percorso corretto sarà George Perdon. Non è dato sapere se si pentì di quel gesto di gentilezza.
Alla fine del primo giorno, attorno alle 2 del mattino, Young cadde e si fece male alla spalla. Non provava particolare dolore ma freddo. Decise di fermarsi per riposare: non per 6 ore come da regolamento, ma per 2 soltanto.
La Cliff Young mania
All’inizio del secondo giorno di gara Cliff Young era inspiegabilmente in testa. E sebbene dolorante rifiutò un’iniezione antidolorifica alla spalla. Aveva dormito solo 2 ore ma non percepiva il bisogno di riposare. Era abituato a stare in movimento sulle sue gambe per giorni, senza dormire. E sfruttò questa capacità mettendola al centro della sua strategia di gara: continuare a correre alla sua andatura di notte mentre i rivali si appisolavano.
Ogni giorno rimaneva indietro, ma ogni notte recuperava terreno destando il fastidio degli altri atleti in gara e la curiosità dei giornalisti che iniziarono a seguirlo 24 ore su 24.
Quando raggiunse le periferie di Melbourne, la Cliff-mania aveva contagiato tutti. Nonostante piovesse, migliaia di persone costeggiavano le strade per applaudirlo. Il suo andamento era barcollante. Vedendo quella folla che lo incitava e lo spingeva verso la vittoria negli ultimi metri finali, disse: «Odierei essere un membro della famiglia reale». Passare dall’essere un contadino sconosciuto a un idolo delle folle può in effetti essere destabilizzante.
Poco dopo l’1:30 del mattino Young attraversò la linea del traguardo. Terminò la gara in 5 giorni, 15 ore e 4 minuti battendo due record. Arrivò 10 ore prima del secondo classificato e fu di quasi 2 giorni più veloce del precedente record di percorrenza tra Sydney e Melbourne.
All’arrivo del terzo classificato, Sigfried Bauer, tutta la folla era scomparsa. A chi gli fece notare la cosa, rispose che «tutti gli atleti di alto livello perdono tante gare quante ne vincono. È così che va. Se dovessi preoccuparmi dei comitati di accoglienza, avrei già smesso».
Bauer era sicuro di poter vincere la gara ma ammise il suo errore. «Per tutto il tempo ho lavorato secondo un programma pensando che alla fine Cliff sarebbe rimasto indietro. Quando ho cambiato tattica, era troppo tardi». L’incredulità o la speranza possono essere un ostacolo alla rapidità con cui si prendono le decisioni.
Young shuffle
La gara del 1983 ha aperto un nuovo capitolo nello sport australiano. Young corse per oltre 130 ore, mantenendo una media di poco più di 6 km all’ora. Sebbene il suo passo fosse lento, il fatto di non smettere di camminare lo aiutò a mantenere la testa della corsa per tutto il tempo che gli occorse per tagliare il traguardo.
Cliff infatti aveva dormito solo 12 ore negli ultimi 6 giorni. Il suo manager Mike Tonkin, intervistato dopo la gara, disse: «È stata la determinazione a garantirgli la vittoria. È tutta sua l’idea di non dormire. Pensavamo fosse pazzo, ma è davvero testardo. Mi sono detto o vincerà o crollerà».
Da quel momento la Sydney to Melbourne verrà corsa in assenza di sonno prolungato. Ed è forse per questa ragione che Cliff non arriverà primo mai più. A Young si deve anche la paternità dello stile e della tecnica da corsa che sarà adottata dagli ultrarunner di tutto il mondo: lo Young shuffle. Un passo quasi trascinato, a metà tra la camminata e la corsa.
Una storia, la sua, che ricorda quella dell’improbabile campione mondiale di hot dog Takeru Kobayashi. Mentre la maggior parte degli atleti raggiunge il successo in gioventù, Young è diventato una leggenda dopo i primi 60 anni della sua vita, sfidando ogni convenzione.
Dopo aver ricevuto un assegno di 10.000 dollari come premio per la vittoria, decise di dividere equamente la somma tra gli altri 5 corridori che alla fine riuscirono a terminare la gara. Young non ha corso per i soldi. Ha corso per dimostrare qualcosa a sé stesso e, forse, anche agli altri. Con questo gesto, e grazie alla sua resistenza e determinazione, ha lasciato un’eredità indelebile nel mondo dello sport, e non solo.
Cosa ci ha insegnato Cliff Young?
Nella nostra vita personale e professionale ci troviamo spesso a correre gare che non abbiamo scelto di disputare. E anche quando decidiamo di metterci in gioco, le condizioni non sono sempre ottimali. A volte gareggiamo in buona forma e con un passo veloce, altre volte potremmo sentirci goffi e non all’altezza delle aspettative nostre e altrui.
Potremmo sentirci o troppo giovani o troppo vecchi. La folla potrebbe sogghignare e schernirci ma dobbiamo tenere a mente che il nostro scopo non è ottenere il loro consenso. Corriamo per realizzare il nostro obiettivo. Il segreto per arrivare alla fine è iniziare, essere flessibili lungo il percorso, imparare dagli errori e continuare ad andare avanti fino al traguardo. Le imprese più grandi si ottengono un passo alla volta, anche sbagliando.