Arrivare prima di altri e fare la differenza. In fondo è questa la ricetta vincente di innovatrici e innovatori che battono sentieri inesplorati per spingersi oltre, realizzando vere e proprio Vite Straordinarie. Certo, ci vogliono competenze evolute, visione allargata, dedizione estrema, coraggio da vendere e una squadra che poi riesca a tirare la volata. Ma le storie che state per leggere e ascoltare su StartupItalia in questo mese di agosto racchiudono tutto questo e molto di più. Parte la nuova stagione di “Vite Straordinarie – Ritratti fuori dal comune”. Ogni lunedì, mercoledì e venerdì di agosto sul nostro magazine e sulle principali app di streaming troverete una nuova puntata della serie. Un racconto che declina le intuizioni geniali, i successi e gli errori compiuti nel percorso, le visioni e i consigli per abitare al meglio questo mondo dell’innovazione con coraggio. Un longform scritto dalla redazione di StartupItalia con le firme di Alessandro Di Stefano, Chiara Buratti e Carlo Terzano. Ogni ritratto è accompagnato dalle illustrazioni di Giulio Pompei. E poi c’è un podcast da ascoltare con la voce del direttore Giampaolo Colletti, che ha supervisionato il progetto. Leggi l’incipit della nuova puntata e ascoltala su Spotify. Per saperne di più leggi il post di lancio.
“Abbiamo implementato più o meno la stessa strategia per 10 anni, ogni anno facendo un po’ meglio dell’anno prima, però penso si possa dire che avere incontrato alcune persone è stato cruciale, e non mi riferisco solo ai miei cofondatori, che hanno avuto un ruolo chiave, ma anche a tanti altri colleghi e persone fantastiche che hanno lasciato e continuano a lasciare un segno indelebile su Bending Spoons”.
Millequattrocento chilometri. O se preferite sedici ore di viaggio in macchina e poco più di due in aereo. E’ questa la distanza che lega Copenaghen a Milano. Ed è anche quella che tiene insieme un sogno dalla sua realizzazione. E ancora: seimilaquattrocentocinquantasei chilometri. Quasi dieci ore in volo. E’ un’altra distanza, in questo caso tra New York e Milano. Dall’Italia al mondo intero. Perché la storia che stiamo per raccontare ha che fare davvero con i vari continenti e con acquisizioni di ogni sorta ad opera di quattro ingegneri italiani in passato expat in terra danese. Ecco, questa è la storia di Bending Spoons. Ed è una delle più incredibili che possano capitare a una startup. Tutto nasce dalla passione certamente. Ma anche dalla capacità di crederci fortemente (e ci torneremo tra poco parlando proprio del nome). Ma qui in ballo c’è anche un certo fiuto per cogliere i fenomeni, scommetterci su e alla fine vincere. Perchè questa tech startup partita dallo sviluppo e dalla commercializzazione di app per smartphone oggi è un unicorno da oltre due miliardi e mezzo di valore. Tutto parte da menti ingegneristiche e quindi matematiche. Ma si va oltre la logica.
Luca Ferrari nasce nel 1985 nel veronese. I suoi genitori sono una coppia di parrucchieri di Settimo, frazione di Pescantina, diciassetemila anime in terra veneta. Siamo nella Valpolicella, a circa 12 chilometri da Verona, in quello spicchio di terra plasmato dalla pianura pedemontana che esporta vini d’eccellenza nel mondo. Luca studia e viaggia, viaggia e studia. E non si ferma mai. Col tempo consegue due lauree magistrali, entrambe con lode. La prima in Ingegneria elettronica all’Università di Padova. La seconda in Ingegneria delle telecomunicazioni alla Technical University di Copenaghen. Ecco che torna in ballo la capitale danese. Luca inizia presto a lavorare per quel colosso della consulenza che è McKinsey. E’ di base a Copenaghen, ma spesso in trasferta tra Londra e Stoccolma. Segue soprattutto clienti del largo consumo e delle telecomunicazioni. Si occupa di sviluppo e riorganizzazione tecnologica. E pensa, Luca. Pensa e ripensa. Poi da appassionato di imprenditorialità, lascia il certo per l’incerto. Vuole fare impresa a tempo pieno con gli amici di sempre. E proprio il tempo gli darà ragione. Dicevamo il nome. Bending Spoons significa gergalmente “piegare i cucchiai”. E’ una citazione che ci riporta a quella pellicola legendaria di Matrix. Il nome della società l’ha proposto Matteo Danieli, uno dei soci fondatori, ispirandosi proprio al film. Tutto parte da Neo, il cui nome in fondo richiama un doppio anagramma: “one” e “eon”. Quando Neo si avvicina per scoprire il segreto, il giovane gli dice che per piegare il cucchiaio deve piegare solo la sua mente. Ma in Matrix il cucchiaio non esiste: è solo un codice o un programma che dice al cervello di Neo che sta guardando un cucchiaio. Invece la mente di Neo esiste eccome. Ecco, quel “non c’è un cucchiaio” insegna a Neo a lasciar andare la logica. La logica implica che tutte le cose sono note e devono seguire determinati parametri e schemi, eppure la natura è tutt’altro che logica. Ecco, in questo contesto “non c’è un cucchiaio” è un mezzo per Neo per lasciar andare le sue presunzioni logiche su ciò che costituisce la realtà. Quel giovane per lui è fonte d’ispirazione. Ha coltivato la potenzialità della propria mente con impegno e disciplina, riuscendo a fare qualcosa che in genere si ritiene impossibile, ossia piegare un cucchiaio senza toccarlo. «In Bending Spoons crediamo nel potere della mente e lavoriamo per usarla sempre meglio, a servizio di obiettivi ambiziosi», ha ricordato Luca Ferrari. Ama leggere, Luca. In un’intervista a Forbes ha dichiarato che arriva a finire fino a quaranta, persino cinquanta libri all’anno. E badate bene: non solo di tecnologia. Ci sono libri di storia, di fisica, di economia, persino di psicologia. Tanti anni fa ha abbracciato la scelta del veganesimo con la sua compagna. Vuole evitare di infliggere crudeltà agli animali. E poi c’è la questione climatica: l’industria di prodotti di origine animale è uno dei maggiori contributori con le emissioni di gas. La sua giornata tipo? La sveglia suona alle 7, le chiacchiere con la compagna e le passeggiate coi cani, l’allenamento, la colazione, l’audiolibro. E poi si inizia a macinare. E quante ne hanno macinato, Luca con la squadra di Bending Spoons. «Vogliamo costruire una delle aziende più importanti della nostra generazione, a livello mondiale. Poco dopo aver fondato Bending Spoons in Danimarca, abbiamo realizzato che, qualora Bending Spoons fosse diventata un successo, averla costruita con radici in un paese come l’Italia che ha così tanto potenziale inespresso avrebbe avuto un impatto maggiore che farlo dalla Danimarca, che ha un’economia più florida. Servono campioni imprenditoriali locali», ha detto sempre a Forbes.
Per lui la tecnologia è un mezzo e non un fine. E poi bisogna provarci sempre. La prova? La loro prima startup non è stata un successo. Si chiamava Evertale e consisteva un diario che si scriveva da solo. In fondo l’intelligenza artificiale raccoglieva dati dallo smartphone e poi raccontava le giornate dell’utente. Ma quell’esperienza è servita per accendere un’altra società, quella che poi nel 2022 arriva a chiudere un round da 340 milioni di dollari. Eccola Bending Spoons, fondata a Copenaghen nel 2013 e poi subito spostata in Italia per un motivo ben preciso. «Il sogno era fin da subito di impattare con un’azienda leggendaria. Le chance di farcela erano poche. Dunque fallire in Danimarca o altrove non importava. Avere successo però in un paese come l’Italia, con così tanto potenziale inespresso, avrebbe generato un impatto. Parliamo di una decina di anni fa, quando l’innovazione nel digitale stava a zero», ha detto Luca. In quasi dieci anni di attività Bending Spoons ha sviluppato app proprietarie, scaricate in tutto il mondo sia per iOS sia per Android. «Nel 2013 il mercato delle app era in forte crescita: già allora le persone usavano lo smartphone durante tutto l’arco della giornata. In più non avere enormi risorse non costituiva un blocco assoluto. Ci siamo sempre sentiti un’azienda internazionale. E personalmente ci sentiamo cittadini del mondo. Certo, temiamo di fallire, di deludere chi ci vuole bene e i collaboratori che magari hanno rinunciato a lavorare in aziende più sicure. Ma la paura non deve mai guidarci». Anche questo ha detto Luca Ferrari, intervistato proprio da noi di StartupItalia.
Ma torniamo alla Danimarca. Perchè tutto parte da lì. Da quattro giovani ingegneri italiani: Francesco Patarnello, di Padova, Matteo Danieli di Vicenza, Luca Querella di Torino, dal polacco Tomasz Greber e ovviamente da Luca Ferrari di Verona. In undici anni questa impresa ha compiuto imprese eccezionali, chiudendo decine di acquisizioni. Le ultime negli Stati Uniti, una rarità per una startup italiana. E pensare che da giovane Luca non aveva idea di cosa volesse dire essere un imprenditore. «In campagna non si parlava di queste cose, però sognavo di costruire qualcosa di grande», ha detto più volte. E ce l’ha fatta, facendo squadra, facendo rete. Questa è la storia di Luca Ferrari, una delle nostre Vite Straordinarie. E questo è il suo ritratto fuori dal comune.