Come rispondereste alla domanda che ha posto il giornalista Steven Pool: «Se dovessi scegliere un neurochirurgo per rovistare dentro il tuo cranio, preferiresti uno che è anche un eccellente falegname e costruttore, o uno che ha ammesso con rammarico che il suo hobby di una vita ha prodotto fin troppo spesso lavori di smantellamento mal fatti e tetti che perdono?
Henry Marsh è uno studente dell’Università di Oxford. Studia politica, filosofia ed economia. È convinto del suo percorso di studio, non perché lo fosse davvero ma «avevo seguito la via che sembrava chiaramente tracciata per me dalla mia famiglia e dalla mia formazione».
Ma qualche anno dopo, un amore non corrisposto e il rifiuto di proseguire il percorso voluto dal padre, lo portano ad abbandonare gli studi e ad accettare un lavoro come ausiliario ospedaliero in un ospedale a nord dell’Inghilterra. La medicina non è però una sua passione, anzi la trova una cosa a tratti noiosa. Dopo 6 mesi «a guardare i chirurghi al lavoro ne sono rimasto affascinato», ricorda. Solo 8 anni dopo capirà che quella era la sua vera vocazione.
Torna a casa, termina i suoi studi, ma quell’esperienza lo segna profondamente. Siamo nel 1973. Presenta domanda a tutte le scuole londinesi di medicina. Viene respinto da tutte, eccetto dal Royal Free Hospital School of Medicine, l’unico ospedale ad ammettere studenti privi di preparazione scientifica. Mentre lavorava come junior house officer ha la sua epifania. Dopo aver osservato un chirurgo operare il cervello di un paziente durante un intervento che definisce «elegante, delicato, pericoloso e denso di significato», annunciò alla moglie che avrebbe fatto il neurochirurgo.
«Né lei né io, allora, potevamo immaginare che la mia ossessione per la neurochirurgia, le infinite giornate di lavoro e la presunzione che avrebbe generato in me avrebbero portato alla fine del nostro matrimonio, 25 anni dopo».
E proprio realizzando quel sogno che Marsh scoprirà che la medicina non è mai noiosa, che è molto gratificante ma che ha un prezzo, a volte, molto alto: «Se l’intervento riesce il chirurgo è un eroe, se non riesce è un infame». Insieme alla responsabilità proverà la paura dell’insuccesso. E i pazienti diventeranno una fonte di ansia e di stress, oltre che di occasionale orgoglio in caso di guarigione. E capirà che è «inevitabile fare errori e imparare a vivere con delle conseguenze a volte terribili, specialmente se il paziente a perdere la vita è un bambino».
Chirurgia del lato sbagliato
Si chiama Sindrome di Gertsmann la malattia neurologica che causa, tra le altre cose, il disorientamento destra-sinistra. Marsh si convince che il paziente che sta per operare soffrisse di questa sindrome. Il signor Smith infatti era fermamente convinto che l’operazione al cervello dovesse svolgersi sul lato destro della sua testa, quello dolorante. Per cui segnalò all’infermiera l’errore contenuto nella cartella clinica che parlava di intervento al lato sinistro.
Marsh, con pazienza, tentò di chiarire la situazione. Il lato che causava i sintomi più evidenti, era sì il destro, ma la lesione tumorale si trovava nel lato opposto. Un concetto complesso, difficile da assimilare per chi non è addetto ai lavori dichiara il dottore. Il paziente annuì, cercando di seguire il ragionamento del medico. Eppure aveva sempre pensato che fosse la parte destra ad avere problemi. Scherzando, Marsh gli propose di operarlo sul lato destro, se fosse stato davvero ciò che desiderava. Smith rise. Marsh gli fece intendere che forse avrebbe dovuto lasciare all’esperto la decisione su quale fosse il lato giusto. E così fu. L’ operazione sarebbe avvenuta sul lato sinistro.
Se quella volta era il paziente affetto da una sindrome che gli faceva confondere la destra con la sinistra, qualche anno dopo sarà Marsh a compiere un errore di valutazione dello stesso tipo. Nel praticare una incisione mediana nel collo del paziente, Marsh perforò il nervo sul lato sbagliato della colonna vertebrale. Terminato l’intervento si recò nella stanza del paziente appena operato e ammise con franchezza il suo errore. Il medico aveva confuso il lato sinistro con quello destro. «Un’aggiunta all’elenco dei miei fallimenti», si disse. «Non sono i successi che ricordo», scrive Marsh, «ma i fallimenti».
L’uomo, dopo aver ascoltato questa terribile ammissione, reagì in modo inaspettato. Disse a Marsh che quello che era accaduto era del tutto comprensibile: era un montatore di cucine e una volta aveva messo un mobiletto al contrario. «Quello che facciamo è intrinsecamente incerto e pericoloso, anche se molto si basa sulla scienza. È assurdo parlare di danno zero in medicina, specialmente in neurochirurgia, e tuttavia non bisogna mai essere compiacenti sui cattivi risultati», afferma. È per questa ragione che, dopo un’operazione andata male, ha detto ai parenti del paziente di fargli causa perché «avevo fatto un terribile errore».
Si fa presto a dire “destra” o “sinistra”
Nonostante non si disponga di dati ufficiali di incidenza, alcune ricerche stimano che la procedura chirurgica su una parte del corpo errata si verifichi 1 volta ogni 1000-3000 procedure chirurgiche all’anno. Secondo altre stime sono 80 gli errori di lato registrati ogni anno in Italia. In altre parole, 80 pazienti che ogni anno subiscono interventi in una parte sbagliata del corpo, sul lato sbagliato, o addirittura ad essere sbagliato è il paziente. Ma i dati possono mentire dal momento che la cultura della segnalazione dell’errore non è ancora sviluppata nel nostro Paese. E infatti dal 2005 al 2012 sono stati comunicati al ministero appena 26 errori di lato.
Uno studio condotto dal neurologo John McKinley del Royal Victoria Hospital di Belfast e intitolato Scusatemi. Intendevo il lato sinistro del paziente: l’impatto della distrazione sulla distinzione tra destra e sinistra evidenzia che sono più frequenti di quanto si pensi gli sbagli fatti da medici non in grado di discriminare tra destra e sinistra.
Ma non ne sono affetti solo i medici. Uno studio dell’Università olandese di Leiden dimostra che una persona ogni 6, nel mondo, non è in grado di distinguere tra destra e sinistra. Lo studio spiega cheadifferenza di quanto si pensi, distinguere destra-sinistra è un’operazione neurologica molto complessa a causa della simmetria ovvero «il fatto che destra e sinistra si corrispondono e, quando uno si gira, le due parti si invertono».
Si stima che l’8,8% degli uomini confondono spesso tra destra e sinistra, la percentuale sale al 17,5% nelle donne perché hanno una maggiore simmetria cerebrale rispetto agli uomini; percentuale che aumenta ulteriormente nel caso dei mancini, delle persone con alto quoziente intellettivo o in caso di dislessia. Interessante notare come le donne si percepiscono meno brave degli uomini. Ritengono infatti che le loro prestazioni siano inferiori a quelle degli uomini quando devono distinguere la sinistra dalla destra.
«Il processo di distinzione tra destra e sinistra coinvolge memoria, linguaggio, capacità di processare la dimensione visiva e spaziale» afferma il neuropsicologo Ineke van der Ham. Questa complessità spiega la difficoltà che può manifestarsi anche in persone abilissime nel distinguere destra e sinistra.
Secondo il Prof. Andrew Gumbs, Direttore dell’Advanced Minimally Invasive Surgery Excellence Center presso l’American Hospital di Tblisi l’errore è una possibilità che può accadere al miglior chirurgo e nei più eccellenti degli ospedali. Al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, leader mondiale nella medicina oncologica,
un chirurgo ha operato l’occhio sbagliato e un altro il lato sbagliato, quello destro, del cervello di una paziente di 59 anni. L’errore è forse dovuto al fatto che prima di operare, il medico aveva letto la cartella di un altro paziente della stessa età ma di sesso maschile che avrebbe dovuto subire l’operazione proprio sul lato destro.
Non è chiaro perché, per alcune persone, sia più difficile distinguere lato destro da quello sinistro ma alcuni ricercatori ritengono che l’apprendimento, negli anni dell’infanzia, sia molto importante. Ci sono però dei fattori che aumentano la possibilità di fare errori. Uno dei motivi per i quali confondiamo la destra e la sinistra è infatti la distrazione. Uno studio che ha coinvolto 234 studenti di medicina ha dimostrato che la distrazione rende più difficile distinguere la destra dalla sinistra e aumenta significativamente le probabilità di fare errori. Gli studenti sono stati sottoposti a tipici rumori ambientali di un reparto medico e sono stati interrotti con domande cliniche. «L’effetto distrazione è stato maggiore per gli studenti più anziani e per le donne».
Altri fattori come lo stress, i rumori, la confusione, gli ambienti di lavoro affollati aumentano la difficoltà di orientamento nello spazio. L’essere interrotti dal telefono, dalle notifiche, dalle richieste rende più difficile la concentrazione e più facile la distrazione. Un ulteriore fattore è la mancanza di sonno, sostiene il Prof. Gumbs. I turni di lavoro possono, in alcuni casi, superare anche le 24 ore. Una ricerca americana condotta su 21.862 medici specializzandi ha evidenziato come la diminuzione dell’orario di lavoro, riduca del 32% gli errori medici significativi e del 63% gli errori medici segnalati con conseguente morte del paziente.
In ambienti multiculturali, avverte poi il Prof. Gumbs, e quelli nei quali non si usa la propria lingua madre, la distinzione tra destra e sinistra non avviene immediatamente perché al processo cognitivo di base per identificare la direzione, si aggiunge un ulteriore passaggio: la “traduzione” mentale della richiesta dall’altra lingua alla propria o viceversa.
Se alcuni individui possono distinguere la destra dalla sinistra senza pensare. Per altri il processo non è così automatizzato. Per dirla à la Kahneman, prima di decidere devono pensare, ovvero attivare il sistema 2. E per poterlo attivare occorre tempo e un ambiente adeguato. In alternativa ci vengono d’aiuto alcune tecniche o giochi di allenamento spaziale. In sala operatoria si usa indicare con una X la parte corretta da operare. Ma come avverte Gumbs questa pratica è stata abbandonata negli Stati Uniti «perché alcuni potrebbero, come è già accaduto, interpretare la X come un no. Con la conseguenza di finire per operare la parte sbagliata». Anche le migliori strategie per evitare di sbagliare possono presentare un margine di errore.
Tutti i miei peggiori errori.
«Mentre mi avvicino alla fine della mia carriera, sento un crescente obbligo di testimoniare gli errori passati che ho commesso». E per questa ragione che Marsh ha preparato una lezione con un contenuto e un titolo che non sono certo di moda nei consessi accademici e tra i medici: All My Worst Mistakes.
Il pubblico composto da colleghi neurochirurghi ha accolto la sua lezione con «un silenzio sbalordito» e «non sono state fatte domande». In qualsiasi ambiente di lavoro l’ammissione di un errore comporterebbe biasimo tra colleghi e il timore che quella ammissione possa danneggiare la propria carriera. Con la conseguenza che gli errori vengono nascosti e causano altri errori, anche negli Stati Uniti patria del fail fast!
Negli ambienti medici americani gli errori non sono particolarmente tollerati perché come spiega il Prof. Gumbs la responsabilità ricade direttamente sul medico e non, come in Europa, sull’ospedale. È se è vero che ogni settimana negli ospedali americani si discute espressamente di ogni complicanza ed errore commesso, spesso l’approccio adottato è di critica e non di comprensione del perché. In Europa questi incontri non sono previsti o avvengono con meno frequenza, ma ci tiene a sottolineare il Prof. Gumbs «vi ho trovato più comprensione, umanità e reale volontà di apprendimento per evitare lo stesso errore in futuro». Sembra un paradosso, ma più errori si condividono meno errori si faranno. Parlare apertamente dei nostri sbagli è il primo passo per evitarli. Parlare non per giudicare ma per apprendere.
Le 3 regole d’oro
La prima regola è accettazione. I neurologi e gli psicologi ci invitano a riconoscere che chiunque può commettere questo tipo di errore e a tollerare questa possibilità. Non si tratta di un deficit, ma solo di una difficoltà che può essere superata con la regola numero 2.
La seconda regola è concentrazione. Per evitare questo tipo di errori, occorre migliorare la capacità di prestare attenzione. E occorre permettere al proprio team e ai propri collaboratori di rimanere concentrati su un task alla volta. Un team concentrato è un team più performante.
La terza regola è analisi. Gli errori non sono quasi mai attribuibili a una sola persona. Più l’ambiente lavorativo e la struttura organizzativa sono complessi più aumenta la possibilità di fare errori. Se non si può cambiare la condizione umana si possono cambiare le condizioni in cui le persone operano. Per cambiarle occorre comprendere quello che è successo analizzando gli errori e apprendendo da essi. Creando una cultura organizzativa che valorizza l’apprendimento dai fallimenti, possiamo trasformare gli errori in opportunità.