Una nuova puntata della rubrica “Startup tra Diritto e Rovescio” a cura di Alessandra Fiumara
Nell’articolo precedente ho affrontato il tema del valore del marchio e della sua importanza per l’impresa oltre che di una delle sue funzioni principali: distinguere un’impresa da quella di un concorrente.
E’ per questo che il marchio viene definito anche “segno distintivo” ed è anche per questo che la legge prevede che un marchio, perché possa essere valido, possegga la c.d. “capacità distintiva”.
La capacità distintiva non è spiegata dal legislatore che si limita a definire quando un marchio ne sia privo.
L’art.13 del Codice della Proprietà Industriale (meglio detto “C.P.I), infatti, stabilisce che non possono essere registrati come marchi “i segni privi di carattere distintivo e in particolare quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono”, proseguendo poi con una esemplificazione di casi quali “i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la quantità, la qualità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio”.
Ed è proprio qui che c’è uno scollamento tra il marketing e la comunicazione e la legge: sempre più spesso c’è la tendenza a scegliere un marchio che richiami in maniera più o meno velata le caratteristiche del prodotto o servizio che va a contraddistinguere, per l’intuibile esigenza di rendere immediatamente comprensibile al proprio mercato, per l’appunto, il prodotto o servizio che si intende proporre.
Come si può notare l’art. 13 C.P.I. elenca una serie di ipotesi che nel concreto sono proprio quelle su cui cade spesso la scelta di un marchio.
Sennonchè più tale richiamo è intenso e più ci sono delle conseguenze, a cui normalmente non si è preparati e che (aimè) si affrontano solo una volta che si è arrivati a valle del processo di lancio di un prodotto o di un servizio: una volta, cioè, che si deposita il marchio o peggio una volta che si è sul mercato.
Perchè un marchio si definisce debole o forte
I marchi con una scarsa capacità distintiva sono definiti dalla giurisprudenza marchi “deboli” (a differenza dei marchi c.d. “marchi forti”, intesi come i marchi che non hanno alcuna attinenza con quanto contraddistinguono), perché bastano modifiche anche minime perché debbano tollerare la presenza di altri marchi del tutto simili.
Facendo un esempio pratico, il marchio “Apple”, sarebbe certamente poco distintivo se utilizzato per un produttore o per un distributore di Mele e sarebbe perciò un marchio “debole” con la conseguenza che dovrebbe tollerare altri marchi tipo “Apples”, “little Apple” ecc, sennonchè, come ben noto a tutti il marchio “Apple” viene apposto su computer, smartphone e tablet, con cui non ha alcuna attinenza, con la conseguenza di essere un ottimo esempio, viceversa, di marchio “forte”.
E questo nella migliore delle ipotesi, perché qualora il marchio venisse ritenuto privo di capacità distintiva non si dovrebbe “semplicemente” accettare dei concorrenti molto scomodi ma il marchio sarebbe nullo!
Altre insidie da tenere presenti
Un marchio deve anche essere “diverso” dai marchi già presenti nel medesimo settore merceologico e/o nei settori merceologici affini, anche e soprattutto per i risvolti economici, ancor prima che legali che questo fatto comporta: sul breve periodo il mio consumatore tipo è probabile che riconosca “di chi è che cosa” ma sul lungo?
E’ buona prassi dunque fare la cd “ricerca di anteriorità”: prima di depositare e/o usare un marchio bisogna cioè verificare che non esistano marchi identici o simili a quello prescelto, per contraddistinguere prodotti o servizi uguali o affini.
L’ottimo sarebbe non fermarsi solo ai marchi ma estendere la ricerca anche ai “domain names” ed alle denominazioni/ragioni sociali delle società.
Sì perché per la legge, un nome a dominio, una denominazione/ragione sociale, una ditta e financo un’insegna sono equiparate ai marchi: si tratta infatti comunque di segni distintivi, in quanto, anch’essi, proprio come il marchio, distinguono un’impresa ed i suoi prodotti e servizi dalle altre che offrono i medesimi prodotti o servizi.
Grazie alla ricerca di anteriorità si potrebbe così scoprire che il marchio così faticosamente scelto è identico ad un altro non ancora rintracciabile su internet (strumento primario ma per nulla esaustivo di approvvigionamento di questo tipo di informazioni) ed evitare le conseguenze legali che questo comporta.
Commercializzare un prodotto o offrire un servizio con un marchio identico o simile a quello altrui espone infatti a serie conseguenze: ancor prima di aver guadagnato un euro (ed anzi dopo averne spesi parecchi in ricerca e sviluppo, pubblicità, comunicazione…), c’è il rischio di sequestri, ordini di ritiro dal commercio, di inibitorie, cancellazione del domain name ed ovviamente di una richiesta di risarcimento danni!
Usare un marchio identico o simile a quello altrui per contraddistinguere prodotti o servizi identici o affini è infatti un’ipotesi di contraffazione.
E questo è ancor più vero se si ha in mente di commercializzare anche all’estero, dove la sensibilità su questi temi è molto più alta e la concorrenza più accanita.
Certo, a rendere la questione piuttosto lontana dai più, vi è non solo il fatto che quanto sto scrivendo non sia di conoscenza comune ma anche la circostanza che un marchio sia depositabile da chiunque: in fondo si tratta solo di riempire un modulo ed inoltrarlo o portarlo (non in tempi di Covid) ad una Camera di Commercio.
Il fatto che un asset così importante sia depositabile solo sulla base delle scarne informazioni fornite su vari siti, rischia di far perdere la percezione del valore di ciò che si sta facendo.
Per riempire quel famoso modulo bisogna operare delle scelte tutt’altro che semplici: e non mi riferisco solo a quanto detto sopra circa la scelta del marchio ma anche, ad esempio, alla scelta delle c.d. classi merceologiche.
Le classi merceologiche sono un insieme che racchiude convenzionalmente i prodotti ed i servizi su cui idealmente si può apporre un marchio, riconosciuto a livello internazionale: potendo estendere il marchio anche all’estero era necessario che ci fosse chiarezza, non poteva esserci spazio per fraintendimenti o per disparità tra un Paese e l’altro.
Ebbene già decidere quali classi merceologiche rivendicare e capire a quali classi corrisponda il proprio prodotto non è affare da poco. Anche i professionisti del settore sbagliano, figurarsi chi fa tutt’altro nella propria vita….
Quel modulo, finisce così per essere la “coperta” del mio business: perché riscaldi occorre che sia del peso e della lunghezza adeguata. Una coperta troppo leggera o troppo corta espone comunque al freddo…..
Alla prossima puntata!!