«Quando lavoravo a Londra ricordo continui eventi e occasioni in cui ci si incontrava. Appuntamenti come SIOS24 Summer sono per definizione utili: l’innovazione si nutre di contaminazione. I giovani devono incontrare i fondi, le corporate devono esserci. Anche se si opera in settori sideralmente lontani, bisogna vedersi. Da queste situazioni possono nascere nuove idee». Massimo Carnelos, Capo dell’Ufficio Innovazione tecnologica e Startup del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, sarà tra gli speaker che saliranno sul palco di SIOS24 Summer il 20 giugno a Roma, negli spazi del Gazometro di via Ostiense (qui l’agenda). In questa intervista gli abbiamo chiesto, alla luce della sua esperienza internazionale, come politica e istituzioni si stanno occupando della crescita dell’ecosistema.
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Massimo Carnelos: una strategia globale
Quando si parla di startup solitamente vengono in mente il Ministero delle Imprese e del Made in Italy o il Ministero dell’Economia come dicasteri di riferimento. La materia, in realtà, è trasversale come ci ha spiegato Massimo Carnelos. «Al Ministero degli Esteri elaboriamo la strategia per la crescita dell’innovazione italiana: promuoviamo l’affermazione delle nostre tecnologie sui mercati internazionali».
Si tratta di un lavoro di presenza e di continui rapporti con vari hub in giro per il mondo, per mostrare le competenze che il Paese ha maturato. «Questo significa anche far crescere i nostri operatori, aprire possibilità di partnership e collaborazione con gli Stati più avanzati di noi, conquistare quote di mercato. Promuovendo sempre l’Italia come luogo in cui esistono oggettivi vantaggi comparati nel fare innovazione».
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Tra il 2018 e la fine del 2022 Massimo Carnelos ha ricoperto il ruolo di Capo dell’Ufficio economico dell’Ambasciata d’Italia a Londra ed è stato membro del Consiglio direttivo della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Dal suo ingresso in diplomazia nel 2021 ha lavorato al Desk Medio Oriente e nell’Ufficio per la cooperazione scientifica e tecnologica internazionale. È stato Vice Ambasciatore in Nuova Zelanda, Cipro e Iraq.
Perché conviene fare innovazione in Italia?
Dall’estero è tornato in Italia per proporne i migliori talenti a livello globale. Si parlava di vantaggi oggettivi rispetto al processo di innovazione in Italia. Quali sarebbero? «Partirei dalle spiccate qualità e competenze di operatori e ricercatori. Abbiamo un’eccellente ricerca di base, sia negli atenei sia nei centri pubblici di ricerca. Eccelliamo a livello globale per numero di paper e di citazioni, nei settori tecnologici più avanzati, dal biotech all’AI».
Massimo Carnelos ha poi citato un altro aspetto di competitività. «C’è un costo del lavoro inferiore rispetto ad altri parti del mondo. Un ricercatore in ambito life science degli Stati Uniti può costare fino al 50% in più di un suo collega italiano. Ma il divario di competenze a volte non esiste neppure». Resistono ancora d’altra parte i limiti soprattutto nella leva del tech transfer.
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«Scontiamo la difficoltà rispetto ad altri ecosistemi a trasformare questa ricerca di base in ricerca applicata e da lì in aziende e valore economico – ci ha spiegato Massimo Carnelos -. È un ritardo che, in realtà, contraddistingue tutta Europa rispetto agli USA. C’è una prospettiva di miglioramento non banale: il governo nel 2023 ha abolito il privilegio del professore, così è l’ateneo che può valorizzare la commercializzazione di una ricerca».
In vista di SIOS24 Summer abbiamo chiesto a Massimo Carnelos qual è il focus del suo lavoro alla Farnesina. «Mi occupo delle tecnologie emergenti avanzate, come quantum e biotech. Su quest’ultimo abbiamo un tavolo di lavoro sull’internazionalizzazione creato dal ministro Antonio Tajani per fornire indirizzi strategici al policy maker. Ci occupiamo di queste soluzioni sempre in una prospettiva economica e commerciale». C’è poi tutto il fronte startup. «Sono le aziende che entrano in settori ad elevato rischio». Il che comporta un elevato tasso di mortalità, ma anche molte opportunità di sviluppare prodotti da lanciare sui mercati globali.
Si parte dal mondo
«Ai founder dico sempre: bisogna cominciare con il mondo. La startup non può ridurre le proprie ambizioni. L’estero dovrebbe essere nel DNA di un’impresa dal giorno zero». Rimangono ancora difetti legati a una sorta di provincialismo e alla tendenza al nanismo industriale, caratteristico di molte imprese del nostro Paese. Negli anni a Londra Massimo Carnelos ha avuto modo di capire che cosa serve a un ecosistema per funzionare.
«Nel Regno Unito c’è il triangolo Londra, Cambridge e Oxford. Si trova una densità elevata di università e di esperti, oltre a un’ampia possibilità di finanza e del venture capital. Le istituzioni hanno fatto sì che si creassero le condizioni favorevoli, con politiche industriali, fiscali e di finanziamento che favoriscono la crescita».
Cosa manca al Venture Capital italiano?
Nei giorni scorsi il comparto startup ha accolto con ottimismo le parole del Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, il quale ha auspicato un maggiore attivismo da parte di fondi istituzionali – fondi pensioni e assicurazioni – nel mondo del venture capital. «Con Parigi il divario è abissale pur in presenza di PIL grossomodo simili. Ha fatto bene il governo italiano a suo tempo a creare le condizioni per far nascere CDP Venture Capital come operatore. Ma non si giustifica il fatto che i nostri investitori istituzionali mettano poco o nulla nei nostri gestori di VC. A volte preferiscono investire su venture stranieri».
C’entrano la scarsa propensione al rischio, ma anche una scarsa conoscenza di fondo sulla ricchezza di prodotti e tecnologie che da oltre dieci anni emerge dall’ecosistema. «Come Paese siamo entrati nel mondo venture da poco, non ci sono ancora state quelle exit importanti che renderebbero gli istituzionali più interessati. La soluzione che abbiamo proposto è una forma di garanzia SACE che vada coprire parte dell’investimento».