Nella scuola Rocketship in California la didattica è stata ribaltata: l’insegnate coordina, il computer insegna
Immaginate per un attimo di entrare in una classe e trovare i bambini davanti a dei personal computer che “insegnano” attraverso giochi e test online. Nessuno che alza la mano per chiedere al maestro. Nessuno che scrive su un quaderno. E l’insegnante che anziché spiegare “controlla” e coordina l’attività. Non siamo di fronte ad un film di fantascienza ma in una scuola americana, la Rocketship di San Jose in California. A raccontare questa rivoluzione copernicana della didattica che potrebbe sbarcare anche in Italia, se avessimo tutte le scuole connesse, è un’inchiesta di “The Economist”.
La lezione non la fa più il maestro ma un software che ha lo scopo di potenziare l’interesse alla lettura coinvolgendo i bambini in attività ludiche online: si tratta di un sistema di “gamification” che attraverso il raggiungimento di livelli e l’assegnazione di premi (uova d’oro) permette di motivare il bambino. Un ribaltamento della tradizionale didattica che fino ad oggi vedeva da una parte il docente in cattedra e dall’altra gli alunni che imparano.
Alla Rocketship, l’insegnamento di tipo classico è affiancato da almeno un’ora al giorno di istruzione online “personalizzata” in matematica e italiano. Risultato? Gli allievi, le cui famiglie hanno redditi più bassi di quelli delle scuole private, vantano voti migliori dei loro coetanei delle zone più ricche dell’area. L’e-ducation sta contagiando ormai diverse scuole degli Stati Uniti: a Mooresville, nel North Carolina, il responsabile dell’istituto scolastico ha introdotto dal 2009 l’istruzione personalizzata sui laptop per tutti gli allievi dai 10 anni in su.
Nei primi tre anni dell’esperimento il rendimento dei ragazzi in matematica, scienze e lettura è cresciuto dal 73% all’88%. Ma quali sono gli aspetti negativi e positivi di questa operazione? Forse sarebbe meglio parlare di cambiamenti piuttosto che giudicare tale sistema. La prima modifica rilevante per chi “insegna” con questo metodo è che i docenti di queste scuole ricevono uno stipendio del 20% superiore alla media, ma devono gestire classi numerose, da 40 a 100 alunni. Ben presto potremmo trovarci perciò con un drastico calo di insegnanti.
La seconda “rivoluzione” è nella didattica: si passa da un insegnamento di tipo verticale ad uno orizzontale modellato sulle esigenze dei singoli. Il “software maestro” può, a seconda dei diversi gradi di apprendimento, essere personalizzato per ogni bambino. Per assurdo non ci troveremo più, in futuro, insegnanti costretti a tralasciare i primi della classe per seguire chi fa più fatica ad apprendere. Non solo. Lo studente potrebbe scegliere di apprendere a casa, di studiare attraverso il software in momenti diversi da quelli scolastici.
Nei prossimi anni potremmo trovarci tra le mani un’impostazione totalmente diversa da quella attuale. Basta pensare che Rupert Murdoch, il tycoon di origine australiana, sta scommettendo sempre più su Amplify, la divisione di News Corp dedicata proprio alla “digital education”. Diretta da Joel Klein, ex supervisore di vari istituti scolastici a New York, nei suoi uffici in un vecchio magazzino della metropoli statunitense ci sono aule, dove studenti e insegnanti utilizzano insieme le tecnologie più innovative ma anche spazi dove ex docenti collaborano con ingegneri informatici, grafici, psicologi e designer di giochi per sviluppare nuovi contenuti formativi.
In Italia, visti i problemi legati alla connessione delle aule, è difficile pensare ad una rivoluzione di questo genere. A lungo resteranno i maestri in cattedra ma è chiaro che, a ruota degli Stati Uniti, saremo probabilmente “costretti” ad adeguarci. O forse la nostra didattica tradizionale, basata sul rapporto de visu vincerà?