Costruiscono e lanciano palloni nella stratosfera, tra i 20 e i 30 mila metri di altitudine. Lo fanno per osservare la terra, fare sperimentazioni e scattare immagini. La notizia è che sono giovanissimi e che stanno provando là dove Google Loon ha fallito qualche anno fa.
Il sogno di spedire palloni nella stratosfera
Il COO è Claudio Piazzai, 22 anni. La startup si chiama Involve Space, è nata nel 2021 nel Comasco. Quattordici persone nel team, 25 i lanci di palloni nella stratosfera che hanno già realizzato. «Diamo a chiunque la possibilità di avvicinarsi allo spazio, sognando un futuro fatto di eque opportunità. Non solo. Il nostro pallone può essere riutilizzato. Tutti i nostri competitor lo buttano, recuperando solo la sonda. Inoltre usiamo cervello molto avanzato di intelligenza artificiale che prevedere i venti e la corrente più adatta per volare con il pallone dove è necessario». Piazzai sta studiando a Copenaghen, alla DTU (Technical University of Denmark) per la laurea magistrale è in Technology Entrepreneurship.
Passione per l’informatica da sempre, su Instagram conosce il suo socio: Jonathan Polotto. «Lui aveva un’agenzia di marketing e aveva fatto dei lanci per scopo pubblicitario. Questa cosa mi ha subito ispirato. Ci siamo conosciuti, abbiamo scoperto di avere gli stessi valori e siamo partiti, trasformando un’idea di marketing innovativo in una vera e propria startup aerospaziale».
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Polotto oggi è il Ceo. I due partono da Fino-Moranasco, a 200 metri dalla scaleup spaziale D-Orbit (ora la nuova sede è a Lipomo) che si è aggiudicata il riconoscimento di “startup dell’anno” a SIOS23 Winter. Chissà che la vicinanza non sia di buon auspicio. Crescono autofinanziandosi e partecipando a premi e competition. La loro startup fa partire palloni nella stratosfera con un primo round da 500 mila euro con CDP Venture. «Ora stiamo chiudendo un seed da 2 milioni di euro con fondi tedeschi e italiani»
Come funziona? «Riempiamo il pallone con gas più leggeri dell’aria che tendenzialmente sono elio o idrogeno. Noi utilizziamo soprattutto idrogeno. Voliamo in stratosfera, tra i 20 e i 30 mila metri di altitudine, un’area tra l’orbita e la zona aerea. Una zona non utilizzata perché ci sono pochissimi veicoli in grado di volare a quelle altitudini e fornire servizi. Sopra quest’area ci sono i satelliti, sotto c’è la zona aerea»
«Ci stiamo concentrando sempre più sull’osservazione terrestre, ma siamo in grado di offrire quasi tutti i servizi che un satellite può offrire a un prezzo più basso». Tra i pionieri di questa tecnologia c’è Google Loon, un progetto straordinario che però è stato chiuso.
«Hanno investito miliardi di dollari in palloni da lanciare nella stratosfera per portare internet nelle zone più remote del pianeta “dall’alto”, Ma i costi del servizio erano troppo elevati. un successo dal punto di vista tecnologico, non altrettanto dal punto di vista di business. La cosa bella è che la ricerca di Loon è stata pubblicata ed è in open souce così noi l’abbiamo studiata e siamo in contatto con il loro ex CTO che ci sta aiutando»
Osservare dall’alto e scattare foto. Ma la stessa cosa che fanno i droni? «I droni possono volare qualche ora in base alla loro batteria e volano più in basso, I satelliti, al contrario possono stare per molto tempo in orbita ma non ti danno dati in tempo reale. E hanno costi elevati».
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Quale futuro per questa startup che lancia palloni nella stratosfera? «Vogliamo diventare un data provider. Noi voliamo a prescindere dal cliente e vendiamo il dato a scopo agricolo o di sostenibilità, per il monitoraggio ambientale o per scopi urbani come il monitoraggio infrastrutture o logistica e forniamo dati in real time.
«Ci siamo circondati di vari advisors senjor e di altissimo livello tra cui ex Loon ed ex Nasa per evitare errori dettati dall’inesperienza» Lo scorso anno, Involve Space coi suoi palloni da lanciare nella stratosfera ha vinto il Myllennium Award, premio multidisciplinare per giovani dai 18 ai 30 anni (candidature aperte per la nuova edizione) Sono stati a Boston, a San Franscico con Innovit, a Seattle con Primo Innovare.
Piazzai da bambino era quello che si potrebbe definire un multipotenziale. Aveva infatti una passione incredibile per tante cose diverse: spazio, scienza, arte, tecnologia. «Quando sei piccolo pensi di poter fare tutto, poi crescendo capisci che il mondo è molto avanzato, la tecnologia è sempre più complessa e bisogna specializzarsi». A 16 anni capisce che facendo l’imprenditore tech può mettere insieme competenze e talenti diversi.
“Non posso essere un ingegnere, un artista, un designer ma posso mettere insieme persone con abilità diverse“
«Quando ero al liceo scientifico a Firenze, il mio professore d’italiano ci portava spesso a teatro a vedere l’opera musicale. Mi ricordo una serata, durante le prove, ho visto tutti questi musicisti davanti a me. Ognuno suonava bene un singolo strumento, ma c’era una persona che li suonava tutti, senza suonarne nessuno. Il direttore d’orchestra. Ho pensato che poteva essere la metafora della mia vita. Non posso essere un ingegnere, un artista, un designer ma posso mettere insieme persone con abilità diverse, dare loro una direzione e fare in modo creino insieme qualcosa di più grande rispetto a quello che singolarmente avrebbero potuto fare».
Difficoltà? Tantissime «Tra le più importanti quella di capire se ha senso sviluppare una tecnologia perché c’è una esigenza reale nel mercato o lo stai facendo perché sei innamorato della tecnologia stessa?»
Papà dirigente IT, mamma amministratore di un bed and breakfast. «Sono una persona forte perché sono fortunato. Sono cresciuto in una famiglia perfetta, ovviamente con i problemi come in una qualsiasi famiglia, ma senza traumi. Non mi è mai mancato l’amore. Vedo tanti ragazzi persi, senza una direzione precisa ma non è perché non sanno come o cosa fare, ma perché hanno dovuto pensare ad altro nella vita. Hanno dovuto usare l’ energia per soddisfare i bisogni primari o cercare l’amore dei genitori. Questa consapevolezza mi dà una motivazione ulteriore nel mettercela tutta»
Tra i suoi sogni quello di dare un senso alla sua vita. «Voglio dare un significato alla mia vita e contribuire allo sviluppo dell’umanità. È stupendo vivere in questa era. La mia paura è quella di essere soltanto un osservatore di questo mondo che si evolve. Voglio essere partecipe, voglio contribuire allo sviluppo dell’umanità».