«Io e mio fratello abbiamo studiato alla scuola alberghiera. La nostra passione per il food ci è stata tramandata dai nostri genitori, oltre che dal luogo in cui siamo nati: Canicattì, in Sicilia. Abbiamo girato l’Italia e l’Europa occupandoci principalmente di catering, poi abbiamo pensato che era arrivata l’ora di mettere in piedi qualcosa di nostro». Così è iniziata l’avventura della pasticceria guidata dai fratelli Vincenzo e Giulio Bonfissuto. «Mio fratello ci ha lasciati poco tempo fa, ora sono io a portare avanti l’attività. Lavoro 18 ore al giorno e non è facile, ma non voglio far morire tutti gli sforzi che abbiamo fatto. Devo andare avanti anche per lui», racconta il titolare Giulio.

Pasticceria Bonfissuto, le origini
Ma riavvolgiamo il nastro. Giulio e Vincenzo oltre a condividere la stessa casa e famiglia, condividono anche la stessa passione. «Dopo le prime esperienze nel settore del catering, abbiamo notato un certo interesse per i dessert. Nel nostro territorio, la pasticceria è il nostro cavallo di battaglia e allora abbiamo deciso di puntare tutto su quella. Si è trattato di un concept che ha funzionato da subito. Così abbiamo abbandonato il mondo del catering e abbiamo dato vita alla desserteria Bonfissuto 20 anni fa. Il primo anno è stato un successo, abbiamo prodotto 400 panettoni, il secondo ne abbiamo fatti 2000 – spiega Giulio – Io avevo 27 anni, Vincenzo 25. Da allora non ci siamo mai fermati».

Il loro percorso ha radici non troppo “antiche”, vista la giovane età, ma trasuda di tutta la tradizione millenaria che l’arte della pasticceria siciliana porta in dote e che pare sia geneticamente innata in chi, come i fratelli Bonfissuto mette a frutto anni di esperienza nel mondo del catering e della ristorazione. «Abbiamo dato ‘anima e core‘ – come si dice qua – alla nostra attività», spiega Giulio.
«Insieme abbiamo pensato al panettone pop-art, il Dalì, ma abbiamo giocato anche sulla linea storica del nostro barocco siciliano, con uno molto speciale che raffigura la cartina storica delle due Sicilie, fino al panettone gelato a strati. Ora sono io a portare avanti questa eredità ma lo faccio con grande passione e soddisfazione. Oggi l’azienda è riconosciuta a livello nazionale».
Non solo dolci
Vincenzo e Giulio per valorizzare il proprio territorio hanno pensato anche ad altri progetti. «Abbiamo piantato 70 alberi di pistacchio di una varietà autoctona quasi scomparsa. Non per moda, ma per visione. Così è nata Fastuca, dal termine siciliano che deriva dall’arabo Fustuq: un progetto agricolo, culturale e affettivo», spiega Giulio, che è anche andato oltre l’autoproduzione: «L’obiettivo è quello di salvare un pezzo di storia agricola siciliana, riportando in vita una cultivar pregiata e dimenticata, un tempo coltivata proprio sulle colline calcaree della contrada Giuliano, nota negli anni Venti come “la fastuchera” – racconta Giulio – Negli anni ’80, il pistacchio ha ceduto il passo all’uva da tavola, più redditizia e più richiesta. A Canicattì, infatti, si è deciso di coltivare uva da tavola e così tutti gli agricoltori della zona hanno iniziato a piantare vigneti fino a far scomparire completamente i pistacchi». I campi si sono trasformati, e con loro è svanita una parte della biodiversità siciliana ma i Bonfissuto hanno deciso di invertire la rotta. «Con mio fratello avevamo lanciato un crowdfunding che ha attirato anche l’interesse da parte di testate internazionali e alcuni hanno adottato le piante anche dalla nuova Zelanda».

Un sogno che non si è fermato perché Giulio adesso vuole acquistare un terreno con 300 piante secolari di pistacchio e costruire una sorta di agriturismo dove poter soggiornare e degustare i prodotti che nasceranno da quella terra. «Vorrei mettere in piedi una coltivazione autonoma che soddisfi il nostro fabbisogno. Il pistacchio è raro, produce ogni due anni, e può arrivare a costare 70 euro al chilo. Ma è nostro, il pistacchio – così come le mandorle – è la Sicilia. E noi ci riteniamo molto fortunati a essere nati e cresciuti qui.
Il futuro di un’antica tradizione
La forza dei Bonfissuto sta nel saper innovare senza tradire. Hanno rivisitato il tuppo di neve con panna ragusana, la granita dell’Etna (diventato il cavallo di battaglia), hanno creato la mattonella al pistacchio, il panettone è stato destagionalizzato e rivisitato in varie chiavi oltre a essere diventato un prodotto da esportazione: «Oggi spediamo in 26 Paesi, anche extra UE. Il mercato più vicino al nostro è quello spagnolo».

Tra cinque anni, Giulio si immagina un brand forte, riconosciuto anche all’estero ma presente anche in piccole località turistiche. «Voglio continuare con i dolci della tradizione, ma con uno sguardo all’innovazione. In futuro il panettone non sarà più un dolce natalizio, già oggi non è più così e all’estero viene visto come un simbolo del made in Italy. Voglio che la nostra azienda racconti il territorio, la sua bellezza, la sua unicità, così come io e Vincenzo abbiamo fatto finora».