Il cinese è il nuovo “inglese”. Ecco il progetto “AvviCINAti” che tra settembre 2013 e marzo 2014 ha coinvolto circa 250 studenti
Non solo inglese. Per affrontare il futuro sembra ormai necessario sapere anche il cinese. L’hanno capito soprattutto i giovani e i professionisti che negli ultimi anni stanno frequentando le scuole dove s’impara l’idioma del Paese del dragone: solo a Milano lo scorso anno scolastico la Scuola di formazione permanente della Fondazione Italia – Cina ha avuto più di 380 iscritti. Altri 400 circa sono stati i frequentanti dei corsi promossi dall’Istituto Confucio dell’Università, nel capoluogo lombardo.
La scuola italiana che parla cinese
A comprendere che per affrontare la crisi e l’economia è necessario guardare ad Oriente sono anche le scuole: al liceo classico Parini di Milano ci sono corsi pomeridiani per i ragazzi. Anche al Volta si studia cinese. Al liceo linguistico Manzoni fa parte dell’orario curriculare così all’Itis Zappa. Fuori dalla metropoli il cinese s’insegna a Crema all’istituto Pacioli e in altre realtà. E ora ad interessarsi all’idioma orientale sono anche i genitori e le scuole primarie: “C’è un certo interesse da parte di alcuni istituti elementari – spiega Marta Valentini, direttore esecutivo del Confucio – con i quali stiamo aprendo dei contatti. In questi anni abbiamo avuto già qualche esperienza a Milano con i bambini. Mamme e papà sembrano essere dell’idea di investire sul cinese”. Non a caso, sabato scorso, l’istituto Confucio di Milano in occasione del decimo anniversario dalla fondazione ha previsto una serie di festeggiamenti a Sesto San Giovanni, tra cui delle dimostrazioni di calligrafia e carta ritagliata per bambini. Un fenomeno che va guardato con attenzione.
Chi studia il cinese
La Fondazione Italia – Cina ha promosso anche il progetto “AvviCINAti” che tra settembre 2013 e marzo 2014 ha coinvolto circa 250 studenti. E ad avvicinarsi all’affascinante idioma sono sia adolescenti che studenti universitari e professionisti, o in generale chiunque abbia un’attività avviata. I primi hanno capito che dopo l’università per cercare lavoro potrebbe essere utile spendere la conoscenza della lingua cinese nel curriculum. I secondi sono uomini e donne tra i 35 e i 45 anni che, per migliorare la loro posizione in azienda o per affrontare meglio i rapporti con i partner cinesi, hanno deciso di rimettersi tra i banchi. Un indicatore interessante che apre una riflessione: la scuola italiana dovrà leggere sempre più nei prossimi anni i cambiamenti legati all’economia. In questi anni stiamo pagando il dazio per non aver investito sulla lingua inglese: intere generazioni, compresi i governanti di questo Paese, non l’hanno imparato a causa di un’istruzione che fino agli anni ottanta non aveva puntato sull’acquisizione puntuale di questa lingua. Forse dovremmo guardare al cinese con maggiore attenzione e fare in modo che la scuola non arrivi ancora una volta in ritardo.
I giovani guardano ad Oriente
L’interesse che oggi mostrano i più giovani per la Cina non può lasciarci indifferenti. “Se fino a qualche anno fa – spiega Marta Valentini – erano i pensionati appassionati del Paese di Mao a studiare con passione il cinese, oggi questi sono una minoranza”. Le stesse scuole di formazione hanno visto i loro studenti partire per la Cina per trovare un lavoro, per fare l’avvocato a Pechino o per avviare un’impresa a Shangai. Siamo di fronte ad un cambiamento epocale. Forse tra qualche anno sui banchi di scuola, accanto al vocabolario di inglese, ci sarà quello di cinese.
Articolo precedentemente pubblicato su CheFuturo!
di Alex Corlazzoli