Al via oggi dall’headquarter di Nana Bianca a Firenze la nuova tappa del SIOS23 Florence. Una sorta di “stati generali” sull’intelligenza artificiale che partono dalla cosa più preziosa: la competenza umana per disegnare nuove frontiere. Intervista a Paolo Barberis, co-fondatore di Nana Bianca
«Oggi è strategico investire sulle startup legate all’intelligenza artificiale e dare un contributo partecipativo, offrendo pezzi preziosi di conoscenza e di tecnologia su cui costruire la prossima generazione di applicazioni vincenti. Si registra una densità alta di proposte perché viviamo un momento di forte attenzione. Alcune realtà arriveranno in Borsa, altre saranno acquisite e altre ancora faranno risultati incredibili». Così afferma Paolo Barberis, fondatore di Nana Bianca e ancora prima di quella storia italiana di successo che è stata Dada, investitore da una vita impegnato nel digitale. Da sempre Barberis evidenzia la strategicità dell’AI per definire le evoluzioni delle startup al servizio delle varie industrie. Oggi, martedì 19 settembre, buona parte delle realtà italiane impegnate sull’AI si riunirà a Firenze, proprio nell’headquarter di Nana Bianca, ossia presso l’Innovation Center della Fondazione CR Firenze (qui per iscriversi e partecipare dal vivo). «L’ecosistema è disseminato di queste storie: quando parliamo di ChatGPT, spesso non ci rendiamo conto che si moltiplicano altre realtà meno note ma che registrano visione, sviluppo tecnologico e crescita straordinaria. Dobbiamo imparare ad andare oltre la storia nota per fiutare quello che succede davvero sul mercato. Tutte queste applicazioni non solo si moltiplicheranno, ma rovesceranno paradigmi consolidati e l’impiego delle persone», precisa Barberis.
Il fattore tempo non sia un alibi
Ma che fase storica stanno vivendo gli investimenti sulle startup? La fiducia si è affievolita, lasciando il passo ad una consapevolezza maggiore e quindi a firme limitate di investimenti come in parte abbiamo documentato nel nostro report, oppure no? «C’è meno esuberanza irrazionale e più consapevolezza dei rischi e delle opportunità. Tuttavia ciò non significa necessariamente un calo degli investimenti, ma piuttosto un focus su startup con modelli di business più sostenibili. Chi investe da sempre si aspetta di vedere un ritorno e questo sta avvenendo meno, tranne in alcuni settori specifici che sono molto trainanti come cyber security e intelligenza artificiale. In tantissimi altri che in passato andavano molto forte viene chiesta una certezza che oggi è più difficile da intercettare. C’è da dire che talvolta si tratta anche di eccessiva diffidenza perché spesso le tecnologie più promettenti non permettono di fatturare subito. Insomma, ci vuole tempo e i settori più maturi, sebbene per me rimangono sempre promettenti, al momento sono a corto di risorse. Ecco, l’ecosistema dell’innovazione deve fare i conti con il fattore tempo, ma questo elemento non può diventare un alibi. In fondo le percentuali di successo si sono assottigliate perché è aumentata la competitività», dice Barberis.
Acceleratori come “startup studio”
Intanto in Francia la startup Verkor, fondata nel 2020, ha annunciato la chiusura del round Serie C da 2 miliardi di euro, risorse che utilizzerà per costruire una gigafactory per produrre batterie elettriche a Dunkirk, nel nord del Paese. Segno che i temi circolari sono sempre più centrali. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Techcrunch si è chiesto recentemente, per esempio, se gli acceleratori per startup – un tempo volano di potenziale crescita futura – abbiano ancora motivo di esistere. «L’avvio di un’azienda tecnologica oggi costa il 99% in meno rispetto a 18 anni fa, quando negli USA è stato avviato Y Combinator. Sono emerse tecnologie cloud, strumenti senza codice e intelligenza artificiale. C’è una quantità senza precedenti di informazioni o conoscenze disponibili gratuitamente per guidare i fondatori. Gli effetti di rete si sono evoluti, spostandosi dagli spazi fisici tradizionali a quelli digitali. E gli acceleratori si sono moltiplicati, perdendo probabilmente di efficacia», ha scritto la bibbia tech americana. «Diciamo subito che gli acceleratori non servono per creare startup, ma per accreditarsi in un mondo dove si trovano persone e competenze e quindi favoriscono lo scambio di conoscenze. A tendere è normale che in ecosistemi più avanzati e più densi si ridurrà il numero di questi acceleratori e rimarranno quelli che riusciranno a dare davvero valore aggiunto. Si rafforzeranno coloro che curano molto quei legami incentrati sulla valorizzazione del capitale umano. In Italia, dove ce ne sono già pochi. gli acceleratori diventeranno ancora più strategici perché operano in quei distretti di un tempo convertiti con la tecnologia ad un’evoluzione dell’offerta», dice Barberis. Che prospetta un’evoluzione più sartoriale. «Da noi invece si imporrano quei modelli “startup studio”: si tratta di spazi in cui si accede e si trova quella progettualità simile che serve a mettere in piedi un’impresa, quasi un atelier su misura per progettare insieme cose nuove. Abbiamo bisogno di questi spazi dove si respirano contaminazioni che servono a scrivere nuove pagine di futuro. Poi certamente la nuova generazione di imprenditori potrà comunque esordire anche partendo dalla propria stanza. Ciò che conta però è essere meno seriali e più customizzati: la chiave vincente è ritagliarsi un posizionamento unico catturando l’attenzione degli utenti», precisa Barberis.
“Da noi si imporrano quei modelli “startup studio”: spazi in cui si trova quella progettualità che serve a mettere in piedi un’impresa, un atelier su misura per progettare insieme cose nuove”
Persone e tecnologie
«L’intelligenza artificiale sta passando dalla fase sperimentale a quella operativa. Per esempio solo pochi anni fa l’AI era prevalentemente utilizzata in ambiti di ricerca, oggi invece vediamo applicazioni concrete in vari settori: dalla diagnosi medica precoce con algoritmi di machine learning all’ottimizzazione delle supply chain. In Nana Bianca crediamo che questa fase operativa dell’AI porti con sé nuove sfide, ma anche enormi opportunità», dice Barberis. La fotografia non è solo un chiaroscuro. «Quella che stiamo vivendo non è una trasformazione che impatta il lavoro manuale, ma quello legato al capitale intellettuale e quindi alla conoscenza. I profili white collar risentiranno di più di questa trasformazione, ma la chiave è traghettare al meglio le tecnologie. Ma attenzione: la quantità di lavoro non resta fissa nel tempo. Alzando l’asticella sull’automatismo con l’AI generativa va compreso che in maniera organica ci sarà una crescita virtuosa delle varie professioni con nuovi skill relazionali e una densità nuova del lavoro. Ora con una riga di codice riesci a fare cose che in passato potevi fare soltanto in più giorni. Così è il codice e quindi la scrittura che si ripensa. Però la differenza la fai con l’intelligenza reale, non solo con quella artificiale. E l’obiettivo è costruire con consapevolezza questo nuovo mondo».