50:50 Startups trasforma l’innovazione in dialogo. Intervista al cofondatore Eran Heyman. «Tutto il mondo vede guerra e distruzione, ma dobbiamo costruire un mondo diverso partendo dalle startup»
«La pace non è un sogno: può diventare realtà, ma per custodirla bisogna esser capaci di sognare», è forse una delle frasi più celebri di Nelson Mandela. È proprio la capacità di sognare che ha unito nel 2017 Eran Heyman, Amir Grinstein e Rudd Kronenburg, nella creazione di 50:50 Startups, un incubatore che sostiene le startup costituite per il 50% da palestinesi e dal 50% da Israeliani.
Amir Grinstein, israeliano, professore associato di marketing alla Northeastern University di Boston, ha sempre creduto nella costruzione di pace tra israeliani e palestinesi. Eran Heyman, nato in Israele, all’età di venticinque anni crea la propria startup nel campo della cybersecurity. Si trasferisce negli Stati Uniti nel 1999 dove incontra Amir e l’idea ambiziosa prende piede. «Esistono tanti organizzazioni che si adoperano per la pace tra israeliani e palestinesi in ambito sociale ma non esisteva niente che favorisse la partnership commerciale con una proprietà egualitaria tra i due popoli» racconta Eran Heyman. «Qual è il modo più forte per stabilire un legame tra due persone oltre al matrimonio? Creare un business insieme». Avviare una startup vuol dire avere una vision condivisa, affrontare le difficoltà, poter contare sul supporto reciproco.
L’incubatore 50:50 Startups
Sono occorsi tre anni per trasformare un’idea nel progetto concreto 50:50 Startups che prevede il supporto di progetti imprenditoriali fondati da israeliani e palestinesi. È stato necessario costruire l’ecosistema attorno all’incubatore comprendente ebrei israeliani, arabi israeliani e palestinesi di Gerusalemme Est e Cisgiordania. L’impresa non era da poco, mettere insieme donatori, mentors, investitori, imprenditori e un gruppo dirigente che gestisse tutto il progetto. L’incubatore può contare su due partner importanti, l’Università di Tel Aviv con il JumpTAU program e la business school della Northeastern University di Boston. L’avvio del progetto è stato complesso e non solo nel reperimento dei fondi necessari. «All’inizio non ricevevamo molte application. Se non puoi mostrare casi di successo, se non puoi mostrare che un altro mondo di fare business è possibile, non puoi insegnare a sognare» afferma Eran. Oggi 50:50 Startup è cresciuta, dai tre founders iniziali, il board è oggi composto da dieci persone tra israeliani, americani, palestinesi ed europei che guidano la direzione strategica del progetto. L’anno scorso l’incubatore ha ricevuto circa duecento application. Circa quaranta candidati sono stati ammessi al programma ed alla fine sono nate nove startup. Il percorso prevede l’organizzazione di boot camp, un percorso formativo alla business school presso la Tel Aviv University e cinque settimane alla Northeastern University di Boston. «C’è un altro obiettivo che vorremmo raggiungere nel 2024, coinvolgere in questo processo un’università in West Bank in modo che i partecipanti possano trascorrere un periodo anche in Palestina oltre che in Israele e Stati Uniti».
Tra le nove startup che hanno concluso il percorso d’incubazione c’è Vlinderz fondata dall’israeliano Nicolas Duek ed il palestinese Salah Hussein. La startup ha utilizzato l’intelligenza artificiale per migliorare il processo di reclutamento per le aziende. L’azienda è stata recentemente accettata nel prestigioso “Founders Hub” di Microsoft for Startups. Nicolas e Salah non sono solo partner commerciali, sono anche amici. «Siamo in mezzo ad una guerra tra Israele e la Palestina. Quando tutto finirà le persone penseranno che sarà impossibile ricostruire un mondo insieme perché c’è paura, delusione, rabbia e mancanza di fiducia. Vogliamo raccontare un’altra realtà» racconta Eran.
I venture capital e 50:50 Startup
«I venture, gli angel investor, hanno le loro formule per orientare i finanziamenti. Sanno cosa ha funzionato per loro in passato, secondo la statistica, e tendono a replicare dei modelli che conoscono, è normale. Noi stiamo facendo qualcosa di nuovo». Quando le startup concludono il periodo d’incubazione devono camminare con le proprie gambe, spesso buone idee non decollano perché mancano le risorse. Un altro sogno di Eran e del suo team è quello di creare un fondo pronto a supportare quelle startup che hanno del potenziale e che, finito il percorso di tutoring, possano contare su un gruppo di investitori. «Tutto il mondo vede guerra e distruzione, forse questo è il momento buono per noi per attirare tutti quegli attori che vogliono credere che un mondo diverso sia possibile, che unire i due popoli sia possibile, partendo dalle startup».