Costruire un linguaggio che non discrimini più sulla base del sesso o del genere di appartenenza: è da questa esigenza che si sviluppa l’interessante e articolato saggio Sessismo (Mondadori Education), di Stefania Cavagnoli e Francesca Dragotto
Tutti i giorni, e in maniera molto istintiva spendiamo spesso parole, frasi, espressioni che, senza che neanche ce ne accorgiamo, replicano bias e discriminazioni. Così, una parola alla volta, il linguaggio può finire per cristallizzare gli stereotipi, persino per normalizzarli, e noi, nella pratica quotidiana, possiamo assuefarci al punto da non percepire più il bisogno di superarli e di costruire finalmente un linguaggio che non discrimini più sulla base del sesso o del genere di appartenenza.
È da qui, da questa constatazione – ma anche dall’urgenza di superarla – che si sviluppa l’interessante e articolato saggio Sessismo (Mondadori Education), scritto da Stefania Cavagnoli, docente di Linguistica applicata e Glottodidattica all’Università di Roma Tor Vergata, e da Francesca Dragotto, che insegna Linguistica generale e Sociolinguistica nello stesso ateneo: le due studiose, avvalendosi di numerose ricerche internazionali sul terreno della sociologia, delle neuroscienze, della psicologia, dell’antropologia e cavalcando i fatti di attualità, guidano il lettore alla scoperta di quanto il linguaggio contribuisca a plasmare la conoscenza e gli schemi mentali sin dalle primissime settimane di vita, consegnando al bambino e alla bambina una visione del mondo spesso già viziata da stereotipi e gabbie che ne condizioneranno gli sviluppi futuri.
Sottovalutiamo l’impatto dei primi mesi di vita
“Proprio perché si tratta di una fase di assenza della lingua, ragion per cui il cucciolo è infans (non articola suoni linguistici), l’attenzione di chi agisce intorno e insieme a lui sottostima il peso e l’importanza che quelle interazioni, ‘fatte’ di un sincretismo di linguaggi dai quali la lingua stessa emergerà, avranno per la sua vita futura”, scrivono le autrici, richiamando l’influenza massiccia delle parole – dunque per nulla inascoltate o innocue come si crede – di chiunque comunichi con il bambino, genitori in testa.
Le parole, infatti, “andranno a costituire una sorta di libretto delle istruzioni al quale riferirsi per aver chiaro come si debba essere e ci si debba comportare in funzione del proprio essere maschio o femmina. Instradata fin dal primo giorno di vita su due diversi binari, resi ancora più evidenti dall’associazione al celeste e al rosa, la dicotomia legata al sesso viene culturalizzata per lo più inconsapevolmente dagli adulti per via del loro mettere in atto sistemi di relazioni, comportamenti e attese differenti a seconda che ci si trovi davanti a un bambino o a una bambina. In maniera speculare a quanto accade per la costruzione della grammatica mentale, anche per la costruzione dell’identità di genere è la cultura che va a riempire quanto messo a disposizione dalla natura umana”, scrivono le due autrici.
Il rosa e l’azzurro
Il linguaggio, contaminato dal sessismo, che continuerà a condizionare il bambino e la bambina in tutta la sua crescita è quello che, solo per citare degli esempi, associa alle femmine attitudini come la gentilezza, la compostezza, l’obbedienza e ai maschi, invece, la vivacità, l’irruenza, il coraggio. È quello che assimila alla natura femminile i compiti di cura, la gestione della casa, le posizioni subordinate e a quella maschile, al contrario, il lavoro fuori casa e la leadership. Ma si tratta anche, scrivono le due docenti, “di un coacervo di fatti di lingua che vanno dall’uso di espressioni quali i diritti dell’uomo (vs. i diritti umani), all’uso di cariche e nomi di professione al maschile per donne (uso peraltro non generalizzato, giacché si realizza quasi esclusivamente per professioni che godono di prestigio sociale o un tempo solo maschili), al maschile cosiddetto inclusivo: quella prassi, giusto per fare un esempio, per cui anche in presenza di 99 donne e un solo uomo ci si rivolge a chi è presente con il maschile”.
Trasformare la lingua significa trasformare il mondo
Anche diversi dizionari, con le loro definizioni, contribuiscono a irrigidire sesso e genere dentro gabbie mentali dure da ammorbidire. “I dizionari rappresentano la norma e l’uso, e raccolgono gli esempi di cui ci serviamo per comunicare. In tali esempi molto spesso ci sono forme sessiste di cui nemmeno ci accorgiamo”, spiegano le autrici. “Siamo maschilisti senza rendercene conto, utilizzando proverbi, fraseologie, aggettivi che attribuiamo alle donne o altri che pensiamo solo per gli uomini. Spesso ci stupiamo se qualcuno/a ce lo fa notare, e la buttiamo sul ridere. Ma l’ironia, in questo caso, non è una via utile. Lo stesso vale quando utilizziamo sostantivi ed aggettivi che hanno significati diversi se usati al maschile o al femminile; la cosiddetta asimmetria semantica, per la quale governatore e governatrice rimandano a due significati diversi, ma anche passeggiatore e passeggiatrice, o buon uomo e buona donna. Lo stesso vale per uomo pubblico e donna pubblica, per scapolo e zitella, per milf e peter pan. Le immagini collegate a questi binomi sono diverse, e spesso con connotazione positiva per il maschile, negativa per il femminile”.
Ma trasformare la lingua si può, e tocca a tutti contribuire. È questo il messaggio più forte del saggio: il linguaggio porta in sé un’energia straordinaria e una capacità trasformativa che vale la pena mettere in campo, per costruire un mondo più giusto e più equo.