Con i fondi raccolti gli studenti hanno progettato, costruito e consegnato in Africa due mini laboratori di stampa 3D. Serviranno per costruire protesi per i bambini amputati
Grazie ad un’iniziativa di crowdfunding l’Istituto Massimo di Roma ha raccolto 64.106 euro (24.558 su Eppela e i restanti con offerte su conto corrente del progetto da società come Volkswagen Italia, FIAL, Walter Tosto, Sartori Ambiente), per la realizzazione di una stampante 3D che usa come materia prima plastica riciclata e tappi di bottiglia per produrre protesi e pezzi di ricambio per ospedali africani.
Il progetto, iniziato nel 2016, è stato promosso da 15 studenti dell’Istituto Massimo. Insieme a loro, ha lavorato un team di 20 professionisti e genitori volontari provenienti dal mondo dell’industria, dell‘università, della scuola, della sanità e del terzo settore nell’ambito delle attività Steam del Liceo Scientifico e Classico Internazionale.
Le iniziative vedono come beneficiari l’Ospedale di Lacor-Uganda e il Centro Caritas di Kenge (Congo).
Stampanti 3D per l’Africa
Con i fondi raccolti gli studenti hanno progettato, costruito e consegnato in Africa due mini laboratori di stampa 3D completi di scanner e stampanti che si alimentano con plastica riciclata da tappi di bottiglia e che sono in grado di dare vita a protesi innovative per i bambini amputati o di altri strumenti utili in un ospedale africano e fini didattici.
Non solo: vengono forniti una tritatrice che sbriciola la plastica, un estrusore che la fonde e crea un filo plastico, due computer ed un archivio di oggetti 3D da stampare, un sistema di acquisizione 3D, una stampante 3D in grado di produrre oggetti anche di grandi dimensioni e due stampanti 3D di servizio, un set di ricambi ed attrezzature, la documentazione e i tutorial.
Il processo di digital manufacturing è stato ideato e messo a punto da Giuseppe Santangelo (produzione del filo), Fabio Topani (stampa in 3D e modifiche alle stampanti 3D) e Claudio Becchetti (studio matematico per individuare le condizioni corrette di produzione) ingegneri con esperienze in campo industriale e scientifico e nella divulgazione tecnica.
Una protesi in 6 ore
Con le stampanti 3D il tempo di produzione di una protesi si riduce dai 6 giorni a 6 ore aumentando la capacità di lavoro dei pochi tecnici ortopedici disponibili nelle aree disagiate. Gli ospedali non dovranno più aspettare mesi per avere ricambi e risparmieranno in questo modo risorse che possono essere reindirizzate per curare i pazienti.
Si calcola, infatti, che in Africa 24 milioni di persone nella aree disagiate hanno bisogno di protesi (più di 200.00 bambini in Uganda). In molti paesi del continente africano occorrono anni di risparmi per avere una protesi e purtroppo i bambini senza arti vengono spesso allontanati dalle famiglie perché ritenuti impuri.
Il progetto, dunque, risolve un doppio problema, tipico di quelle zone: quello delle protesi e quello della logistica. L’esperienza della scuola romana riduce la dipendenza dalle forniture esterne, potenzia i mercati locali, producendo beni personalizzati localmente secondo quanto raccomandato dalle Nazioni Unite.