Siamo nuovamente “A lezione di fallimento” di Francesca Corrado. Attraverso il racconto di persone, aziende e prodotti proveremo a individuare gli errori e le trappole del successo e le lezioni che possiamo apprendere da ogni sperimentazione. Questa settimana la storia dietro al colosso di abbigliamento modellante Spanx
Sara Blakely è una ragazza americana con il sogno di seguire le orme di suo padre diventando un avvocato. Ma qualcosa andò storto e fallì i test. La sua audizione per il ruolo di Goofy in Walt Disney World non ebbe esito positivo, a causa della sua altezza. Ex cabarettista ed ex salutista, per arrotondare assunse il ruolo di venditrice porta-a-porta di fax e stampanti per la Danka. E proprio grazie ai numerosi no ricevuti sviluppò una capacità di resistenza ai rifiuti che le sarebbe tornata utile quando, qualche anno dopo, le venne in mente una idea che la farà diventare la donna miliardaria self-made più giovane del mondo. «Le chiamate a freddo ti insegnano a essere veloce, ma anche a non prendere così sul serio la parola no».
Distruggere il vecchio, creare il nuovo
Mentre vendeva fax continuava a coltivare i suoi sogni. Il suo obiettivo? «Inventare un prodotto che potesse vendere a milioni di persone e che li facesse sentire bene». Senza avere ben chiaro quale sarebbe stato il prodotto che l’avrebbe resa così famosa da essere ospitata nello show di Oprah Winfrey. La regina dei media statunitensi. Un sogno che aveva inserito nel suo business plan sotto forma di milestone da raggiungere. Da quel momento in poi, Blakely è andata costantemente alla ricerca di qualcosa che potesse ispirare la sua futura invenzione, rimanendo aperta alle possibilità del caso. E, nel mentre, continuava a lavorare e a ricevere rifiuti. Lavorava indossando fastidiosi collant di nylon che era obbligata a usare anche con le scarpe aperte e il clima torrido della Florida. Ma la cosa che più detestava, anche per ragioni estetiche, erano le cuciture ai piedi.
L’idea che le cambierà la vita le venne una sera. Cercava un indumento intimo da indossare sotto un vestito e che la rendesse più magra. Non trovando nulla che si avvicinasse alla sua idea, ma avendo a disposizione molti collant, decise di indossarne un paio, trasformandoli in una sorta di guaina contenitiva. Prima di indossarle apportò una variante. Tagliò i piedi ai collant color crema e andò alla festa. La soluzione piacque, con suo grande stupore, alle persone che incontrò. Unico problema, i collant si arrotolavano costantemente sulle gambe. Fu allora che decise che avrebbe creato, a partire da questa idea, un prodotto meno rudimentale in un settore – quello dell’intimo da donna- dominato esclusivamente dagli uomini. E’ così che nacque Spanx, una società di produzione e commercializzazione di intimo hi-tech. Oggi valutata oltre 1 miliardo di dollari.
La chiave del successo
Il suo pitch è chiarissimo. Risolvere un problema vecchio come il mondo in modo innovativo. L’inizio non fu però facile. Blakely propose la sua idea a diverse aziende del settore, ma fu rifiutata da tutte, o quasi. Solamente una, situata ad Asheboro in Nord Carolina, le chiese di realizzare un vero prototipo e non perché l’idea piacesse al proprietario. «Se le dicessi di no, le mie figlie non mi perdonerebbero: sono entusiaste della sua invenzione», le disse candidamente al telefono. L’investimento iniziale fu di 5mila dollari, i suoi risparmi. Di giorno lavora per Danka e di notte organizzava le spedizioni, faceva da customer service e ufficio stampa 24/7. Un giorno decise di inviare un campione gratuito del suo Spanx ad Andre Walker, stilista di Oprah Winfreys. Senza ottenere una risposta. La svolta arriva quando, qualche anno dopo, Ophrah nomina Spanx come il suo prodotto preferito dell’anno perché affinava visibilmente la sua silhouette. A volte un’azienda ha bisogno della giusta scossa per aumentare la visibilità del proprio marchio e del giusto supporto che potrebbe arrivare da un influencer, una cliente celebre o un investitore illuminato.
Fallimento è non provarci ancora
Blakely in numerose occasioni pubbliche non manca di raccontare il ruolo fondamentale che ha avuto suo padre nel forgiare la sua idea di fallimento. Il padre ogni sera durante la cena poneva ai suoi figli sempre la stessa domanda «Dove avete sbagliato oggi?», incoraggiandoli a condividere aspettative deluse e fallimenti. Per poi celebrare i loro sforzi e la loro perseveranza. E, quando non c’erano risposte, confida Blakely, il padre se ne dispiaceva perché senza insuccessi non c’è apprendimento. Vivere in un contesto familiare in cui fallire equivaleva a non averci mai provato, la spinse ad assumersi sempre più rischi e ad adottare la stessa tolleranza agli errori nei confronti dei suoi figli, elogiandone gli sforzi ed esaltando l’aspetto formativo quando qualcosa non va nel verso sperato. L’apprendimento è un processo esperienziale – di superamento di prove ed errori- grazie al quale il nostro comportamento cognitivo, emotivo e sociale reagisce agli stimoli e si rende flessibile ai cambiamenti. Periodicamente organizza in azienda gli “Oops Meetings”. Inizia lei stessa raccontando qualcosa che è andato storto durante quella settimana. A seguire ogni dipendente è invitato a raccontare il suo oops moment. Due dei motivi per cui Blakely apprezza il fallimento è che offre la possibilità di essere vulnerabili e di connetterci con gli altri. Oggi Blakely è nota non solo come il volto di Spanx. è una imprenditrice di successo che ha ridefinito un intero settore. è co-proprietaria della squadra di basket degli Atlanta Hawks. è una filantropa perché «anche se il 50% degli imprenditori sono donne, soltanto il 2,3% dei finanziamenti sono destinati alle giovani imprenditrici». E sta aiutando a rimodellare la cultura aziendale attraverso la sua combinazione unica di accettazione del fallimento, perseveranza e senso dell’umorismo. Non prendersi sempre sul serio aiuta a vivere con più leggerezza anche i due di picche e gli incidenti di percorso.
Le 3 regole d’oro
La prima regola è fare propria cosiddetta legge della perdita accettabile. Spendere solo ciò che ci si può permettere di perdere quando si è in fase di bootstrap. La seconda è perseverare. Affronta il rifiuto, rialzati e fallo di nuovo. Ultimo ma non meno importante. Chiedersi, anche a livello di team, che cosa abbiamo sbagliato oggi è una ottima domanda. E voi che lezione avete appreso? Se vuoi raccontarmi la tua storia, scrivimi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu