Come nasce il modello delle startup factory? Quali sono le principali tipologie? Qual è la differenza tra Studio, Acceleratore e Incubatore? Quali sono i trend futuri e quali gli errori da evitare? Lo abbiamo chiesto a Farhad Alessandro Mohammadi e Manuela Maiocco, autori di Startup Studio Manifesto
Secondo Farhad Alessandro Mohammadi, Ceo e Co-founder di Mamazen e Manuela Maiocco, Financial Controller di Mamazen, gli startup studio «possono migliorare significativamente il tasso di successo e offrire opportunità straordinarie». Lo sostengono nel loro libro Startup Studio Manifesto, scritto, ci hanno detto, con la precisa intenzione di colmare una lacuna, e soprattutto «organizzare e dare ordine al know-how acquisito e ai confronti avuti con i founder dei principali startup studios a livello internazionale». Come nasce il modello delle startup factory? Quali sono le principali tipologie? Qual è la differenza tra Studio, Acceleratore e Incubatore? Quali sono i trend futuri e quali gli errori da evitare? Lo abbiamo chiesto direttamente a loro.
Partiamo con te, Farhad Alessandro Mohammadi: come nasce l’idea del libro?
L’idea del libro nasce nel 2020 con l’intento di organizzare e dare ordine al know-how acquisito e ai confronti avuti con i founder dei principali startup studios a livello internazionale. Ci siamo resi conto che mancava materiale aggiornato sui Venture Studio a livello mondiale e vi era una grande domanda da parte di investitori e founder sul Business model. L’unico libro all’epoca disponibile era stato scritto da Attila Szigeti nel 2015, ma molte cose sono cambiate da allora. Pertanto, abbiamo deciso di colmare questa lacuna e offrire una panoramica aggiornata e completa del settore degli Startup Studio.
Dato che hanno mille nomi che potrebbero confondere i lettori, iniziamo dalle basi. Cosa sono i venture studios?
I venture studios, anche conosciuti come startup studio, venture builder, startup factory, company builder o startup foundry, sono aziende che, attraverso processi standardizzati, creano più startup contemporaneamente offrendo supporto a queste aziende dall’ideazione fino all’exit. Un’analisi dettagliata sui venture studios è disponibile nel whitepaper “The Rise of Startup Studios” redatto da GSSN-Global Startup Studio Network.
Manuela, sintetizzando al massimo, cosa serve per fondare un buon venture studio?
Per fondare un buon venture studio, è fondamentale avere un team solido. I fondatori dello Studio devono aver già avviato e portato a exit una startup in passato. Questo permette allo Studio di avere un solido network, capitali per il lancio e l’esperienza necessaria per guidare la startup dallo stadio iniziale fino al successo. È importante anche definire un verticale di specializzazione basato sull’esperienza dei fondatori, creare processi standardizzati e creare la contrattualistica necessaria. Uno startup studio deve mantenere gli interessi allineati con gli investitori e le startup.
Tutto qui?
No, è cruciale avere una solida base finanziaria poiché avviare e gestire uno Studio richiede un investimento significativo. Fare startup costa, farlo su scala industriale costa di più. Se lo Studio non è ben capitalizzato non si va da nessuna parte e la struttura conta. Il Dual Entity Model si sta imponendo a livello mondiale come una delle Best Practice. Infine ci deve essere focus di processo, non si può aprire uno Startup Studio e pretendere di fare Corporate Venture Building, Venture Building classico facendo ideazione sia interna che esterna.
Farhad, secondo il tuo punto di vista, qual è l’errore più grande da evitare?
Avrei studiato molto di più il metodo di validazione, ma quando siamo partiti c’erano poche informazioni disponibili in giro (uno dei motivi che ci ha spinto a creare questo libro). All’inizio non abbiamo concentrato tutti i nostri sforzi su una sola startup, ma su molti progetti (Rent to buy, Gloss, Devincloud, Ogenki e tanti altri che oggi abbiamo abortito). Avremmo dovuto concentrarci su un unico progetto, fare fundraising su una singola startup, poi una seconda e a quel punto avremmo potuto costruirne tante. Grazie a una buona capacità di reazione, analisi e iterazione abbiamo corretto gli errori, recuperato sui tempi e rimesso lo Studio sulla giusta strada. Ora abbiamo imparato dai nostri errori e lavoriamo con un focus specifico – e solo come Venture Builder classico.
Manuela, a te tocca in sorte la domanda delle domande: come sopperire alla mancanza di capitali?
La mancanza di capitali è un ostacolo che non può essere semplicemente aggirato. Uno Studio ha molti costi operativi e senza una solida copertura finanziaria, è impossibile procedere. È fondamentale pianificare accuratamente la raccolta di capitali e cercare fonti di finanziamento adeguate per sostenere le attività dello Studio.
Secondo te Manuela come mai nel nostro Paese gli unicorni sono ancora tanto rari?
In Italia, spesso i founder non puntano all’internazionalizzazione e creano startup con un focus esclusivo sul mercato nazionale, questo tipo di startup non possono attirare capitali ingenti. Gli investitori italiani tendono a preferire startup che generano flussi di cassa e diventano profittevoli nel breve termine, piuttosto che investire in progetti con prospettive più ampie ma tempi di realizzazione più lunghi. Inoltre, in Italia il capitale disponibile è limitato. Un’altra delle motivazioni è l’ecosistema giovane e la mancanza di founder di successo (2nd time e 3rd time founder) che possano apportare esperienza, metodo e capitali alle nuove iniziative. Per favorire la creazione di unicorni in Italia, è necessario promuovere la cultura dell’investimento nel settore delle startup, migliorare le politiche regolatorie, incentivare l’accesso ai capitali e creare un ambiente favorevole allo sviluppo delle imprese innovative.
Farhad, in Italia il VC è sorretto da fondi pubblici: cosa bisogna fare per aumentare gli investimenti dei privati e in particolare di banche e fondi pensioni, che pure sono molto attivi negli altri comparti?
Per aumentare gli investimenti nel private market e nell’economia reale e nel venture capital in Italia, sono necessarie diverse azioni coordinate fra loro. È fondamentale diffondere la cultura degli investimenti nel private market e nell’economia reale, promuovendo una maggiore consapevolezza dei potenziali vantaggi di tali investimenti. Ciò potrebbe essere supportato da un’impostazione regolatoria che offra maggiori incentivi fiscali, come l’aumento del credito d’imposta generato dall’investimento e una totale detassazione delle plusvalenze, per agevolare l’accesso e la raccolta di capitali per le startup e i fondi di venture capital. È importante anche consentire l’inclusione di questi investimenti tra quelli promuovibili dalle banche e dai promotori finanziari, al fine di rendere tali opportunità accessibili a un pubblico più ampio (quello retail). Inoltre, politiche del lavoro agevolate in termini di tassazione, sia per i dipendenti sia per le aziende, potrebbero incoraggiare ulteriormente gli investimenti nel settore delle startup.