Conosce il settore da anni. Lo ha vissuto da entrambi i lati del tavolo: ha lavorato al Massachusetts General Hospital. Oggi si occupa di tech transfer. Quinta puntata del nostro viaggio alla scoperta dei protagonisti del mondo VC
«Negli Stati Uniti il 70-75% dei prodotti portati alla registrazione presso la Food and Drug Administration è sviluppato da aziende biotech. In Italia il livello della ricerca accademica è altissimo, ma abbiamo sicuramente una capacità di creazione d’impresa inferiore». Nuova puntata – la quinta – del nostro viaggio alla scoperta dei protagonisti e delle protagoniste dell’ecosistema Venture Capital italiano, durante il quale stiamo tastando il polso su idee, trend e opportunità. Studi in chimica e tecnologie farmaceutiche a Padova, Lucia Faccio oggi è partner di Sofinnova Partners. Conosce e vive il settore da parecchi anni, avendolo vissuto da entrambi i lati del tavolo. Prima come ricercatrice negli Stati Uniti e poi come soggetto incaricato di sondare il mercato per investire nei progetti più promettenti.
Lucia Faccio: il profilo
I VC, lo sentiamo spesso raccontare nei loro interventi, non debbono per forza essere più esperti dei Ceo sulla singola materia o innovazione. Quando però si parla di biotech, salute e Scienze della Vita le competenze di base sono fondamentali. «Dopo gli studi universitari mi sono spostata a Boston, dove ho fatto un dottorato di ricerca al Massachusetts General Hospital. Mi occupavo dei segnali di stress sulle cellule». La scoperta dell’America per lei ha assunto i tratti di un nuovo mindset. «Avevo per le mani una ricerca che prevedeva partnership con aziende farmaceutiche. Lì ho capito cosa volesse dire fare ricerca con l’obiettivo di sviluppare un farmaco per i pazienti».
Nel gergo questo passaggio si definisce trasferimento tecnologico. È quando la ricerca esce dai laboratori per diventare un prodotto capace di aver un impatto sulla vita delle persone. «Presto ho capito che la mia vocazione non era tanto fare ricerca, bensì aiutare i ricercatori più bravi di me a farla». Il nuovo capitolo della sua vita professionale si è spalancato al San Raffaele di Milano, ospedale nel quale ha iniziato a occuparsi di tech transfer.
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Cosa significa fare tech transfer
«Il professionista di tech trasfer deve avere un background scientifico – precisa Lucia Faccio – e soprattutto deve comprendere i passaggi necessari per lo sviluppo farmaceutico. Occorre conoscere i requisiti di un brevetto e aiutare chi fa ricerca a capire se il risultato può esser brevettato. Quello è soltanto il primo pezzo del tech transfer. Dopodiché si pensa a un piano di sviluppo che va a validare il potenziale utilizzo per poi sviluppare un prodotto».
In qualità di Director Office of Biotechnology Transfer al San Raffaele e poi di Director of Research and Development in Fondazione Telethon, Lucia Faccio ha seguito diverse innovazioni in ambito medico e nell’arco dell’intervista ci ha restituito l’importanza di questo lavoro fatto di conoscenza profonda della tecnologia, definizione degli esperimenti necessari per la sua validazione, di investimenti adeguati e di tempo per ottenere i risultati. «Ho seguito da vicino l’evoluzione della terapia genica, quando presso l’istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica sono stati in grado di trasformare il virus della HIV in un farmaco di precisione, utilizzabile come veicolo per esprimere il gene corretto e produrre farmaci salvavita».
Il valore della ricerca
Patologie un tempo incurabili oggi si possono affrontare e potenzialmente guarire definitivamente grazie agli sforzi della ricerca. I talenti nell’accademia e nei laboratori italiani non mancano, ma anche in questi ambiti non è facile trovare figure dalle spiccate doti imprenditoriali. «Bisogna partire da una considerazione fondamentale: il numero e la qualità delle pubblicazioni determina il successo o meno di chi fa ricerca e spesso il risultato viene pubblicato prima di essere valutato per la sua brevettabilità». Nel contesto anglosassone e americano il punto di partenza è in parte differente. «Sono le università stesse, che contano su professionisti del trasferimento tecnologico, a monitorare e spingere laddove possibile alla brevettazione del risultato di una ricerca».
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Con 50 anni di storia alle spalle, sedi a Parigi, Milano e Londra, Sofinnova Partners è un fondo VC europeo con 2,5 miliardi in gestione e sei strategie di investimento focalizzate sul biotech e con la capacità di supportare la creazione di startup, e la loro crescita in scaleup e unicorni del settore. «Nello specifico il fondo Sofinnova Telethon, di cui sono Partner, investe proprio nel trasferimento tecnologico nella fase seed e Serie A, con la capacità di supportare le aziende create nelle fasi di crescita successive – spiega Lucia Faccio -. Valutiamo tecnologie in cui c’è almeno una prova di funzionamento in vitro o in vivo».
Ogni ambito dell’innovazione, visto da un venture capitalist, comporta una responsabilità sul cosa si sta finanziando. Il prodotto o il servizio che potrebbe avere successo avrà senz’altro un impatto sulle persone. Tale considerazione ha un valore ancora più prezioso se si parla di farmaci. «Se funzionano danno una risposta, un rallentamento, un miglioramento o una “guarigione” dalla malattia. Sono investimenti che richiedono tempo, ma che possono dare un beneficio enorme». Lucia Faccio torna sull’esempio dell’HIV.
Il ruolo delle startup
«All’inizio degli anni ’90 se ne parlava come la pesta del secolo. La gente moriva. Oggi le persone sieropositive non sono certo sparite, ma sono pazienti trattati con inibitori delle proteasi e hanno una vita normale. Ci è voluto tempo, ma è il tempo dell’evoluzione della ricerca». Nell’immaginario collettivo forse quella ricerca avviene soprattutto nelle grandi aziende farmaceutiche, là dove i capitali sono più disponibili. Lucia Faccio ha già smontato questa lettura.
«Le Big Pharma hanno disinvestito nella ricerca di base. Sono sempre di più i prodotti sviluppati dalle biotech che vengono poi dati in licenza alle case farmaceutiche. È diventato il trend». L’esempio più eclatante degli ultimi tempi è stato di portata globale: i vaccini contro il Covid-19. «BioNTech e Moderna sono frutti di risultati di ricerche accademiche, poi veicolate all’interno di startup. Gli investitori hanno scommesso sulla tecnologia dell’RNA messaggero per insegnare alle cellule a produrre il proprio farmaco». La pandemia ha accelerato lo sviluppo di quelle tecnologie basate su un lavoro decennale, e che hanno consentito al mondo di uscire dall’emergenza in pochissimi anni.
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L’Italia in tutto questo che ruolo sta giocando nel panorama internazionale? «Negli ultimi cinque anni sono aumentati gli investitori specializzati», risponde Faccio, convinta dell’attenzione che l’ecosistema si sia guadagnata agli occhi degli investitori. «Se pensiamo che attraverso il gene editing si può correggere una singola base nel DNA di un organismo, ebbene questo è grazie al risultato di una ricerca accademica, arrivata nel biotech, e che si consoliderà grazie a partnership con aziende farmaceutiche. Credo che le startup biotech generanno le cure del domani».