“Buy One, Give One”, in italiano letteralmente significa “Comprane uno, donane uno“. Si tratta di un modello di business che ha cambiato la storia di due imprenditori classe ’89, Giacomo Stefanini e Michele Fenoglio, co-founder di Wami – Water with a mission. «Nel 2016 a Giacomo, che come me studiava all’Università Bocconi, è capitato sotto mano il business case delle scarpe TOMS, in cui una persona acquistava un modello di scarpe e le donava in beneficienza», racconta Michele. Il modello TOMS, decollato nei primi anni del 2000 è poi fallito. L’azienda non riusciva ad allocare su larga scala tutte le scarpe che vendeva, ma quel modello ha rappresentato un esempio per questi due imprenditori che nel 2016 hanno dato vita a Wami, B-corp che porta l’acqua potabile a chi non ce l’ha. Questa nuova puntata con il nostro speciale del martedì dedicato alle aziende a impatto sociale è andata alla scoperta del progetto di Giacomo e Michele che oggi vanta un fatturato superiore ai 2 milioni di euro.
La mission di Wami
«Una volta terminato il nostro percorso di studi, Giacomo si è trasferito per lavoro a Ginevra, io a Rotterdam. Io lavoravo in Unilever, nella parte finance, Giacomo nel Marketing in Procter & Gamble, ma ero scontento del mio lavoro. Dopo anni di gavetta, torniamo in Italia con un’idea: ripensare quel modello che con TOMS non aveva avuto successo ma buttandoci su tutt’altro settore: quello dell’acqua potabile, un bisogno essenziale ancora non disponibile a quasi un miliardo di persone». Così nasce la B-corp con un intento ben preciso: dare un impulso positivo e creare un impatto sociale che risponde a un bisogno di sostenibilità. «Nel caso di TOMS si partiva dall’acquisto di un singolo consumatore, noi, invece, volevamo creare una rete con coloro che, prima di tutti, hanno in mano la gestione dell’acqua potabile. Così abbiamo iniziato a stringere partnership con gestori di pozzi e acquedotti, pensando alla realizzazione di infrastrutture in loco per permettere l’accesso alla risorsa idrica in prossimità delle abitazioni che non ce l’hanno». Wami chiude un primo round nel 2017 a 300mila euro, poi nel 2019 a 500mila euro. «Oggi realizziamo il progetto e lo differenziamo sul mercato italiano, questo ci dà la possibilità di arrivare al cliente finale». Ma come è stato possibile tutto questo?
Buy One, Give One
Quel modello “Buy One, Give One“, in Wami consiste nel donare 100 litri d’acqua alle popolazioni in difficoltà scegliendo di acquistare bottiglie, borracce, lattine e infusi Wami, contribuendo alla realizzazione di acquedotti per portare in superficie l’acqua potabile presente nel sottosuolo. Tramite una rete di tubature, viene installato un rubinetto per ogni famiglia. «Prima di tutto abbiamo individuato quali sono le comunità più bisognose, partendo dall’Africa, e abbiamo analizzato il sottosuolo per trovare una falda acquifera sicura e sostenibile. A questo punto, abbiamo realizzato il progetto idrico e insegnato agli abitanti del villaggio come mantenere adeguatamente le strutture donate». Solo dopo aver realizzato il progetto, Wami recupera quello che è stato investito tramite la vendita delle bottiglie. «Una volta installato il rubinetto, lo rifinanziamo: per ognuno bastano meno di 10.000 prodotti Wami, che equivalgono a 100 litri donati».
La costruzione del primo pozzo in Etiopia
Il primo pozzo è stato inaugurato in Etiopia il 31 maggio 2016, realizzato insieme a Lifewater International, una ong americana che opera dagli anni ‘70 in diversi paesi del mondo, e garantisce acqua potabile alla scuola di Ilu Dhina, servendo oltre 900 bambini e circa 300 abitanti dei villaggi vicini. «La nostra sede principale è a Milano, ma lo stabilimento da cui ci riforniamo e a San Bernardo, in provincia di Cuneo- spiega Michele – L’acqua mineralizzata sgorga dalla sorgente Rocciaviva, nelle Alpi marittime, a 1.300 metri sul livello del mare, e viene imbottigliata utilizzando un packaging sostenibile: PET 100% riciclabile e prodotto con il 50% di plastica rigenerata (R-PET)», spiega Michele. Per ridurre l’impatto ambientale delle bottiglie e riassorbire le emissioni di C02, Wami si impegna anche a coltivare le proprie piantagioni di alberi in Italia con WAMIzzonia.
Dalla ristorazione al retail
«Oggi nel nostro team siamo in 10 e abbiamo realizzato più di 50 acquedotti in Tanzania, Guinea Bissau, Senegal, Madagascar, Kenya, Etiopia, Ecuador, Nicaragua, Sri Lanka, dando accesso all’acqua potabile a più di 69mila persone. Stiamo mettendo in campo le nostre strategie anche nel settore Ho.Re.Ca. Ci sono tanti canali di consumo che non abbiamo ancora esplorato: dal retail alla ristorazione», spiega il co-founder. Lo sguardo di Wami oggi si allarga anche oltre i confini italiani: «Ci stiamo creando un target retail e guardiamo anche all’estero: penso agli USA ma anche ai mercati europei. Ci sono progetti simili, per esempio, in Spagna e nel Nord Europa, che può essere per noi un buon mercato – conclude Michele – Stiamo curando anche una linea di nuovi prodotti, come infusi e tè freddi certificati bio che non contengono dolcificanti e sono poco zuccherati, realizzati con ingredienti che arrivano direttamente dai produttori nei paesi in cui WAMI crea progetti idrici, e dall’Italia. Le lattine che li contengono sono in alluminio al 100% riciclabili, per continuare il nostro percorso nel rendere i nostri prodotti sempre più green e sostenibili».