«Ero bimbetta quando c’è stata la telecronaca dell’allunaggio. Ed ero una giovane ricercatrice quando hanno assemblato la Stazione Spaziale Internazionale. Raccontare il viaggio nell’agricoltura spaziale è stato anche un modo per rivivere il mio percorso». Stefania De Pascale, originaria di Napoli, è professoressa ordinaria di Orticoltura e Floricoltura presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II nel capoluogo campano. Con lei, autrice di Piantare patate su Marte. Il lungo viaggio dell’agricoltura (edito da Aboca Edizioni), abbiamo parlato di un argomento forse un po’ trascurato quando si parla di space economy. Perché senz’altro avremo bisogno di razzi e tecnologie per tornare sulla Luna e spingerci oltre. Ma come faremo a sopravvivere se non ci focalizziamo sull’alimentazione dei futuri cosmonauti?
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Cosa mettere in valigia per Marte?
A pochi giorni da SIOS24 Florence, il 2 ottobre, Stefania De Pascale ci ha spiegato che l’agricoltura spaziale è molto più attinente alle cose terrestri di quanto non si pensi. «L’esplorazione spaziale ha sempre restituito scienza e tecnologia. Per quanto riguarda l’agricoltura lavoriamo a sistemi in cui le risorse vengono utilizzate al meglio. Nello spazio non ci sono taverne». Ragion per cui serve azzerare sprechi e ragionare in ottica circolare. «Occorre condensare l’acqua di traspirazione delle piante per riutilizzarla, così come utilizzare l’illuminazione artificiale. Ricordo che la coltivazione verticale è nata come spin off di studi sull’agricoltura spaziale». Ma ritorniamo al profilo della docente.
Come spesso accade nella ricerca, idee e progetti possono scaturire da incontri e curiosità. Dopo la laurea De Pascale si è spostata all’estero, ad Amsterdam, dove è entrata in contatto con alcuni studi pionieristici. «Si parlava di microgravità, il cosiddetto quarto ambiente. Iniziai a chidermi se la Stazione Spaziale Internazionale potesse essere una sorta di laboratorio per studiare la biologia vegetale in condizioni atipiche». Di ritorno a Napoli ha così messo in piedi un team di ricercatrici per cominciare a indagare la materia con progetti sostenuti dall’Agenzia Spaziale Italiana.
Ne è scaturita la possibilità di sfruttare le piante per sostenere la vita nello spazio. Sgombriamo intanto un equivoco: quando si parla di cibo da astronauti sulla ISS non si parla del futuro a cui ipotetiche colonie lunari e marziane andranno incontro. «La loro dieta non ha nulla a che fare con l’agricoltura spaziale. L’ISS sta a 400 km dalla Terra, ci sono cargo che possono rifornirla in sei ore. Lassù mangiano quel che mangiamo noi, ma in altre forme. Sono alimenti disidratati o termostabilizzati». Ci sono tuttavia alcuni esempi di space agritech: «Coltivano piante in piccoli apparati di crescita, le cosiddette salad machine, per coltivare piccoli ortaggi».
Se già è difficile immaginarsi colonie umane sulla Luna o su Marte, è ancor più complesso capire come sarà possibile far sì che uomini e donne possano sopravvivere, replicando una agricoltura simile a quella terrestre. In questo caso la fantascienza, da Asimov in poi, ha delineato una visione che potrebbe diventare realtà. L’esempio è quello delle serre spaziali. «In diversi casi la fantascienza di qualità e la scienza credo siano separate solo dal tempo che impiega la ricerca. Una serra spaziale non sarà come una serre terrestre: c’è il tema radiazioni, serviranno ambienti protetti. Le piante saranno coltivate in idroponica».
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Se dunque gli astronauti hanno la loro dieta, che ne sarà del menu dei primi coloni? «L’alimentazione sarà basata su colture a maggior valore energetico come cereali, piante da tubero come la patata, le leguminose». Si partirà ovviamente da un’alimentazione vegetariana, proprio perché allo stato attuale l’introduzione di carni non è sostenibile nella logica di agricoltura circolare.
Perché abbiamo bisogno dell’agricoltura spaziale?
«Le piante sono molto di più che produttori di cibo. L’agricoltura svolge funzioni di supporto alla vita. Le piante purificano l’aria con la fotosintesi, l’acqua traspirata è acqua pura». Progetti a lungo termine come quelli dell’agricoltura spaziale affascinano ma non sempre è facile intenderne l’utilità per chi sulla Terra continuerà a rimanere.
«In prospettiva – ha spiegato la professoressa De Pascale – potremo imparare a coltivare meglio, a coltivare in ambienti estremi guadagnando spazio per le piante. Pensiamo alle megalopoli e ai suoli degradati. L’agricoltura spaziale è circolare, si usano rifiuti organici». C’è poi il tema della sensoristica, delle tecnologie per la depurazione dell’aria e per l’agricoltura di precisione. Insomma, lo spazio diventa un laboratorio per gli affari terrestri come ci insegnano tante altre innovazioni.
In un’epoca nella quale l’uomo più ricco del pianeta, Elon Musk, si è spinto in una delle sue previsioni – la sua Starship partirà per Marte entro il 2026 – l’occhio di accademici e ricercatori non può che essere più cauto. «Ero bambina ai tempi della corsa allo spazio. Oggi mi trovo da professoressa in un settore così particolare a vivere la new space economy». Ambito che si nutre di curiosità e ricerca, ma anche di business. Il Ceo di SpaceX sogna una città autosufficiente sul pianeta rosso entro 20 anni. Fattibile? «Il nostro atteggiamento da scienziati è senz’altro più rigoroso».