Se le auto a guida autonoma sono ormai una realtà diffusa negli Stati Uniti, anche il mondo delle corse sta muovendo passi decisi nella stessa direzione. Oggi esistono due campionati mondiali in cui ingegneri e ricercatori universitari si sfidano come in veri e propri Gran Premi di Formula 1, team, aerodinamici, esperti di gomme… c’è tutto, tranne i piloti. I due campionati sono l’Indy Autonomous Challenge, negli Stati Uniti, e l’Abu Dhabi Autonomous Racing League. A partecipare non sono solo team privati, ma anche università di tutto il mondo. L’Italia gioca un ruolo di primo piano grazie a due eccellenze: il Politecnico di Milano e l’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore).

L’obiettivo non è sostituire la Formula 1, ma usare il racing come banco di prova per portare all’estremo gli algoritmi destinati ad applicazioni civili (miglioramento delle auto a guida autonoma) ma anche sviluppo delle tecnologie legate all’industria dei droni. Non è una sfida tra piloti, ma una vera e propria battaglia tra algoritmi.
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«Un pilota può sentire la macchina, un algoritmo no», sentenzia subito il team leader di Unimore Racing, il trentaduenne Ayoub Raji. La sua scuderia ha conquistato la vittoria all’Indy Autonomous Challenge e un prestigioso terzo posto all’Abu Dhabi Autonomous Racing League. L’evento ha registrato oltre 20.000 spettatori presenti in circuito e più di 600.000 collegati online, con un montepremi di 2,25 milioni di euro. Il campionato è monomarca, con stesso telaio Dallara e motorizzazione Honda, a fare la differenza sono esclusivamente gli algoritmi.

Raji ha alle spalle una laurea triennale in Ingegneria Informatica a Bologna, una magistrale a Modena con indirizzo automotive e un dottorato di ricerca in controllo della guida autonoma. Oggi è post-doc e co-team leader di Unimore Racing, dove si occupa sia della parte di ricerca sia della gestione delle attività in pista. Il team conta 15 persone, tra cui dieci dottorandi e ricercatori, affiancati da studenti impegnati in tirocini e tesi.
Sembrerebbe facile fare training dell’algoritmo delle vostre auto, basta dargli in pasto tutti i Gran Premi di F1 del passato e l’auto potrebbe prevedere ogni situazione pista…
Non è proprio così facile perché al momento l’uomo è ancora più bravo a portare una vettura al limite e gli algoritmi “standard” non sono pronti per gestire quel tipo di prestazione. Se Chat GPT dice un’inesattezza poco importa, ma in questo mondo un’inesattezza può costare cara.
Vi appoggiate ad OpenAI?
Usiamo vari moduli. Per gestire alcuni aspetti, come ad esempio pianificare una traiettoria per un sorpasso, vanno bene algoritmi standard ma in altri casi come, ad esempio, conferire al veicolo la capacità di rilevare ostacoli, ci affidiamo a reti neurali che abbiamo sviluppato noi
Il vostro obiettivo non è sfidare la F1, vero?
No, anche se probabilmente in un prossimo futuro vedremo delle sfide tra piloti umani ed auto a guida autonoma
«Un pilota di F1 può sentire la macchina, un algoritmo no.»
Allora qual è l’obiettivo?
Portare al limite gli algoritmi in casi estremi, per migliorare le tecnologie civili come le auto a guida autonoma che già si vedono nelle strade negli Stati Uniti.

Mi può fare un esempio?
Lei sta guidando su una strada che è parzialmente ghiacciata, a meno che non sia Max Verstappen, i tempi di reazione per un controsterzo che permette di tenere l’auto allineata, per una persona con abilità di guida “normali”, sono troppo lunghi.
«Presto l’auto da corsa autonoma batterà il pilota professionista»
E come se la cava invece l’algoritmo pilota?
Ecco, lì siamo ancora indietro perché un pilota professionista riesce a portare al limite l’auto molto più facilmente di un algoritmo. Diciamo che le nostre auto sono capaci di mantenere le prestazioni in modo uniforme cosa che un pilota fa più fatica ma c’è una cosa che l’algoritmo non riesce a fare
Cosa?
Non può “sentire” la macchina come fa un pilota. Un pilota può riferire all’ingegnere una vibrazione, noi non siamo in grado di vederla dai dati anche se su questo fronte stiamo andando molto avanti. Poi la nostra auto è brava ad eseguire ma non ad esplorare. Questo potete vederlo anche voi dall’uso di Chat Gpt. E’ grado di produrre testi ad una velocità incredibile ma quando ricerchiamo la perfezione, c’è sempre qualcosa da sistemare. La guida autonoma è ancora molto schematica nel comportamento

In Formula 1 è importante la gestione delle gomme, nel vostro caso, è una cosa semplice visto che è molto prevedibile il vostro algoritmo…
Modelliamo il comportamento delle gomme utilizzando algoritmi abbastanza classici ma se vogliamo arrivare al livello di Verstappen, serve esplorare, andare oltre il modello fisico matematico, ed è quello che stiamo tentando di fare.
Possiamo dire che sulla guida autonoma, stiamo vivendo il periodo in cui Garry Kasparov nel 1989 riusciva ancora a battere il computer Deep Thought a scacchi?
Al momento direi di sì. L’anno scorso facemmo una prova ad Abu Dhabi e la differenza è stata di dieci secondi sul giro secco tra pilota umano e guida autonoma. Nel test di aprile siamo arrivati a meno di cinque secondi in pochi giorni di test ed è probabile che quest’anno riusciremo a stare sotto i due secondi ma sono convinto che nei prossimi due o tre anni, riusciremo a battere l’uomo sulla performance.
«Il racing è un banco di prova etico: l’algoritmo è programmato da noi e riflette le nostre scelte come comunità.»
E questo che vantaggio può avere per il racing?
Beh, molti team invece di usare solo simulatori, potrebbero testare le auto in pista girando h24 senza bisogno di collaudatori oppure testare il limite fisico di quella vettura senza che un pilota debba scoprirlo sulla propria pelle.

Le vostre auto, oltre a guidare, sono in grado di capire se ad esempio la pressione di un pneumatico non è ottimale e reagire di conseguenza?
Ecco, questi sono proprio gli aspetti di programmazione di un algoritmo che fa la differenza tra un team ed un altro. Ognuno può programmare in modo diverso, più o meno avversione al rischio ad esempio. La macchina è piena di sensori e può succedere che uno non trasmetta un dato, a quel punto sta all’ingegnere istruire l’auto sul da farsi, rientrare ai box? Tentare di finire la gara?
Come cercate la prestazione? In F1 appena il pilota rientra ai box, l’ingegnere di pista mostra la telemetria al pilota per fargli vedere dove può migliorare, voi come fate a “parlare” con l’algoritmo?
Su questo, il parallelo è molto vicino, non c’è tutta questa differenza. Guardiamo i dati e creiamo un profilo di velocità, se non è al top, lo ricalibriamo e glielo facciamo eseguire. Ciò che il pilota fa ed invece a noi manca, è che un pilota non fa solo il compitino, esplora, cerca di andare oltre ecco perché ci mettiamo più tempo a trovare la performance.
Chat Gpt ha spesso allucinazioni, alle vostre auto succede?
A noi non è successo ma l’anno scorso un team che aveva meno esperienza si è trovato con l’auto che si comportava in modo nervoso e poi ha sbattuto
Ci sono casi etici da gestire? In F1 i piloti non fanno certe manovre perché possono rischiare di morire, nel vostro caso quali limiti di accettabilità avete?
Noi diamo limiti stringenti, tutti sappiamo quanto costano quelle auto; quindi, imponiamo i bordi di pista da non superare ad esempio

Quindi calibrate anche l’aggressività dell’auto?
Esattamente, se ad esempio l’aggressività ha un parametro da 1 a 5, se ho impostato un parametro basso, l’auto non tenterà un sorpasso dove non vede spazio ma, se impostassi aggressività 5, l’auto potrebbe andare momentaneamente fuori pista se sa di avere un’adeguata via di fuga
La questione etica è rilevante anche in ambito civile, una persona monterebbe su un’auto a guida autonoma che sappiamo essere impostata per tutelare la vita non del passeggero ma della comunità valutando i minori effetti collaterali?
Il racing è un piccolo banco di prova anche in termini di regole. L’algoritmo è stato programmato da umani e quindi dipende da noi le scelte che farà, siamo noi come comunità che dobbiamo dare le risposte giuste ed il racing è un piccolo esperimento per testare regole etiche condivise all’interno del quale l’algoritmo si può muovere

