«Un bravo ricercatore negli USA, così come in Germania o UK, fa ottime pubblicazioni e pure valide startup. Si può essere bravi in entrambi i casi. Dobbiamo superare questo dualismo». Francesco De Michelis, Ceo di MITO Technology, affronta un tema centrale nel dibattito sul tech transfer, quel comparto dell’innovazione alimentato grazie ai lavori all’interno dei laboratori e dei centri d’eccellenza in tutta Italia. Per il nostro format alla scoperta dei protagonisti dell’ecosistema VC ecco una nuova puntata. Parliamo di proprietà intellettuale come leva per fare business.
Uno degli aspetti più interessanti di questo format sul magazine è scoprire che spesso diversi investitori non hanno un background finanziario. «Non sono un tecnologo: ho una formazione da avvocato», ci racconta De Michelis. Come gestore di fondi di Venture Capital MITO Technology ha peraltro molto da testimoniare su quanto ci si possa sviluppare nel settore: non fosse altro perché per i suoi primi dieci anni di attività la società non si occupava direttamente di investimenti, ma ha imparato a conoscere l’ecosistema e i talenti nei panni di una realtà votata alla consulenza.
Un Venture Capital che prima non lo era
«Da legale ho cominciato da subito a occuparmi di proprietà intellettuale in ambito innovazione, sul fronte del trasferimento tecnologico». De Michelis ha fatto esperienza in Fondazione Torino Wireless (ora Fondazione Piemonte Innova). «Si tratta dell’organo che coordina il distretto tecnologico della Regione Piemonte». Parliamo dei primi anni Duemila, quando in Italia pochissimi parlavano di startup e men che meno c’era l’idea condivisa di cosa significasse il tech transfer.
«Con Massimiliano Granieri, che sarebbe diventato con me uno dei fondatori di MITO, ragionavamo del fatto che all’epoca mancava un soggetto che si occupasse in maniera professionale degli aspetti di business legati alla proprietà intellettuale, nello specifico dei brevetti». Da una parte i mandatari, che li depositano, dall’altra gli avvocati che si mobilitano in caso di contenzioso. E poi ci sono gli atenei italiani, con livelli di ricerca eccellenti, riconosciuti a livello internazionale in moltissimi campi. «Ma c’è ancora poca capacità di metterla sul mercato».
Ricerca e business: un’alleanza possibile
De Michelis ci spiega che il dualismo secondo cui o si fa la pubblicazione sulla rivista scientifica o si deposita il brevetto è frutto di uno schema del passato. «La pubblicazione è sempre stata vista come la cosa più importante. E lo dico da figlio di ricercatori universitari». In realtà oggi è possibile mantenere in piedi entrambe le visioni. Nessuno peraltro suggerisce di abbandonare la ricerca pura. «Basta avere accortezza. Gli atenei hanno uffici per la terza missione che assistono le persone in questa fase. Una cosa non ostacola l’altra, è bene saperlo. È importante che un ingegnere, un biologo, un chimico abbia nozioni base di proprietà intellettuale».
Il Ceo di MITO ne parla proprio come di una alfabetizzazione, per capire determinate situazioni. Non tutti nascono imprenditori, ma è certo che negli atenei molte persone di talento, con un progetto valido in cantiere, potrebbero maturare il desiderio di farlo crescere sul mercato. «Abbiamo fondato MITO nel 2009, lavorando soprattutto con le università: le aiutavamo a commercializzare i brevetti, così come supportavamo diverse startup a sviluppare una strategia di proprietà intellettuale». MITO nel 2014 ha vinto e coordinato un progetto europeo nel campo del tech transfer che ha catapultato la società al cospetto del Fondo europeo per gli investimenti (Fei). «Sono stati anni in cui abbiamo visto tanti progetti interessanti, in cui ci sarebbe piaciuto investire».
Il primo fondo di Mito Technology
Il pivot, dalla consulenza agli investimenti, è arrivato nel 2018, dopo che CDP e il Fei hanno lanciato ITAtech, piattaforma di investimento con l’obiettivo di trasformare progetti di ricerca e di innovazioni tecnico-scientifiche (pubbliche e private) in nuove imprese ad alto contenuto tecnologico. «Lavorando col Fondo europeo degli investimenti da diversi anni ci suggerivano di proporci, perché saremmo stati un soggetto naturale per gestire quelle risorse».
Così è avvenuta la trasformazione. Il primo fondo, Progress Tech Transfer, ha raccolto 42 milioni di euro nel 2019, con investitori del calibro di CDP Venture Capital, agli esordi del Fondo Nazionale Innovazione. «Abbiamo investito in 24 progetti, tra proof of concept ed equity. In tutto 10 round di follow on, quasi sempre con investitori internazionali. E poi un altro dato che ci piace evidenziare: in più di un terzo delle iniziative che supportiamo c’è una donna tra i founder».
Se Progress Tech Transfer si focalizzava sul tema trasversale della sostenibilità, il secondo – MITO Tech Venture – si concentrerà sul climatech. «Lo abbiamo dedicato alle startup che hanno l’ambizione di affrontare l’emergenza climatica che affligge il nostro pianeta, con il primo closing che sarà annunciato nelle prossime settimane. Punteremo ancora su realtà early stage, in continuità con il nostro primo fondo».
Il tema del tech transfer è interessante visto dalla prospettiva di un VC, anche perché diventa ancora più preziosa la sua proattività nei confronti dei team. «Il mestiere del Venture Capital nelle fasi preseed e seed è sì quello di investire soldi, ma altrettanto importanti sono le competenze e l’esperienza che i partner di MITO Technology (oltre a De Michelis ci sono Andrea Basso, Alberto Calvo, Michele Costabile e Massimiliano Granieri, ndr) mettono a disposizione delle startup e dei loro founder».