Con il GeoWeb aumentano esponenzialmente le possibilità di registrare la complessità del reale, attraverso una cartografia che dagli aspetti metrici si apre al movimento, al tempo, alle trasformazioni, alle pratiche, persino alle emozioni.
I sistemi informatici applicati alla geografia, come in altri campi, hanno prodotto uno scarto enorme nelle metodologie di produzione e nelle modalità di fruizione delle carte, favorendo anche sviluppi opposti a quelli monopolistici. Come afferma Emanuela Casti, “la tecnica digitale offre possibilità inedite e supera i limiti intrinseci della cartografia”, perché, istituisce una sorta di spazio semantico “transfinito”, quanto mai funzionale alla cartografia, che è fin dalle sue origini un “ipertesto”.
Il set di strumenti che sta determinando una rivoluzione copernicana della cartografia è il seguente: Gis e FreeGis (Geospatial Content Management System e batch geocoding), il WebGis (Mash-Up e Spatial Data Infrastructure), i dispositivi mobili (geotagging su WebGis, Geoblog o Social Network come Foursquare, Flickr, Panoramio, Twitter, Facebook places).
Con il cosiddetto GeoWeb 2.0 aumentano esponenzialmente le possibilità di registrare la complessità del reale, attraverso una cartografia che dagli aspetti metrici si apre al movimento, al tempo, alle trasformazioni, alle pratiche, persino alle emozioni.
Mash-up di dati e funzioni determinano possibilità infinite di costruire ed esplorare le carte integrando mix di fonti eterogenee, che spingono la mappa in direzione di un medium che, integrando dati quantitativi e narrazioni multimediali, diventa un campo di esperienze oltre che una fonte di conoscenze. Grazie alla transcalarità e all’interattività, che combinano attori e fattori territoriali diversi, la carta diviene specchio del territorio abitato, ed è abitata a sua volta da costanti e complesse interazioni, come un’estensione immateriale dello spazio fisico, così come lo spazio fisico sconfina costantemente nel virtuale tramite una permanente connettività georeferenziata delle persone e, ormai, anche delle cose.
La città stessa è diventata una sorta di ipertesto, uno spazio ibrido reale-virtuale che si spinge verso l’integrazione di mappa e territorio. Così, se possiamo sempre dire che la mappa non è il territorio, sarà anche vero, per dirla con Jean Baudrilliard, che la mappa a volte precede il territorio, sostituendosi ad esso con la celebre “precessione dei simulacri”, ma sovente s’innesta in esso come un doppio immateriale con una sua autonomia relazionale.
La geografia perciò è in piena mutazione, e da scienza disciplinare sta diventando un fenomeno sociale incentrato sulla diffusione e democratizzazione degli strumenti di produzione e fruizione cartografica. E’ un fenomeno enorme, che va ben oltre al Web mapping dei neogeographers volunteers, stretto tra l’open source Open Street Map e la concorrenza proprietaria di Google Map Maker, ma si espande a macchia d’olio a tutti gli aspetti degli usi, delle relazioni, delle azioni e delle cognizioni che si producono nei territori, arruolando eserciti di figure definibili come geographers in-volunteers.
Si comincia a prefigurare un vero e proprio sistema in cui Gis e WebGis diventano la modalità prevalente di organizzazione dei saperi e degli usi urbani e territoriali, con un’accelerazione dettata dall’evoluzione in senso geospaziale dei social network, a partire dal successo di Foursquare. I Mash-ups geospaziali diventano canali di interconnessione di questa spazialità ibrida duale, fisica-immateriale, e chi controlla questi canali ha il potere discutibile di conoscere e orientare gli enormi flussi comunicativi e relazionali tra le due dimensioni.
Monitorare questi canali è diventata una disciplina a sé stante, complessa e affascinante, come si può apprezzare attraverso www.livehoods.org, o nelle animazioni cartografiche di http://human-ecosystems.com, che usano questi canali per studiare il rapporto tra cittadini e territorio mediato dal Web, che significa studiare gli effetti inediti sul territorio di questa spazialità ibrida.