Se per TikTok la faccenda sembra quasi conclusa (stando perlomeno a Trump), negli Stati Uniti un’altra grande società cinese continua ad affrontare un periodo critico sul mercato. Stiamo parlando di DJI, leader internazionale nel settore dei droni e che di recente ha ridotto la propria presenza sugli scaffali americani. Da cosa deriva tale circostanza? Come stabilito di recente dal giudice USA Paul Friedman il Dipartimento di Difesa americano ha fornito quelle che sono state descritte come «prove sostanziali» del fatto che DJI è parte della «base industriale della difesa cinese».

Perché DJI ha problemi negli USA?
Sempre il giudice Friedman ha specificato: «Che le politiche di DJI vietino o meno l’uso militare (dei droni, ndr) è irrilevante. Ciò non cambia il fatto che la tecnologia di DJI ha una sostanziale applicazione militare sia teorica sia effettiva». Sappiamo in effetti quanto il know how tecnologico in ambito difesa del Paese del Dragone abbia supportato l’offensiva di Mosca nella guerra in Ucraina per citare uno degli esempi più noti.

Conosciamo poi l’impennata che da anni gli UAV hanno registrato in contesti militari, specie nel conflitto ucraino. Nati come device per hobby, si possono applicare in un contesto bellico con investimenti contenuti. Gli sconfinamenti in Europa da parte di caccia e droni russi ha spinto il Vecchio continente a mettere in pista uno scudo aereo da realizzare al più presto per difendersi da queste incursioni. Ma torniamo alla faccenda di DJI.
DJI rimane nella lista del Pentagono dove vengono classificate società di potenze straniere con tecnologia militare. A lungo si è parlato di un rischio ban dei droni della realtà cinese negli Stati Uniti. Senz’altro il colosso ha perso quote di mercato Oltreoceano, dove comunque continua a essere presente in maniera ridotta. Il Dipartimento della Difesa l’ha classificata com società attiva in ambito militare nel 2022, dunque durante la presidenza Biden.