«Il mercato italiano è molto rilevante se parliamo di diritto d’autore: vale 650 milioni di euro ed è il sesto più grande al mondo». La settimana di Sanremo – questa sera è la volta delle cover – è la vetrina d’eccezione per la musica italiana, un’occasione per scoprire il valore e la bravura degli artisti. Quanto ci spiega Davide d’Atri, Ceo di Soundreef, dà idea del volume economico di questo movimento, tutt’altro che secondario. Fondata nel 2011 a Londra, Soundreef è una ex startup che oggi cura i diritti di autori, compositori ed editori, rappresentandone complessivamente 43mila. «Se guardiamo a Sanremo 2023 avevamo i diritti del 34% dei brani diffusi all’Ariston». Di questa società si è molto parlato negli ultimi anni, soprattutto per le critiche mosse a SIAE. Uno degli artisti più noti rappresentanti da Soundreef è stato per anni Fedez (di recente tornato in SIAE).
In questa intervista Davide d’Atri ha scattato diverse fotografie dell’industria artistica e creativa italiana e internazionale, anche per dare un contesto economico a quel che sta accadendo nella città della Riviera dei fiori. Ma prima una premessa sul diritto d’autore. «Bisogna fare una distinzione fondamentale: da una parte c’è chi canta, dall’altra chi scrive. Sono due industrie separate. Il diritto d’autore lo guadagna l’autore o l’autrice, non chi si esibisce. Nel caso di Sanremo spesso ci sono alcuni autori che hanno scritto più canzoni, alle cui spalle hanno un editore». E il cantante? «Guadagna grazie al cachet».
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L’Europa non se le fa cantare
Fatta questa distinzione abbiamo già inquadrato il mercato italiano del diritto d’autore a livello globale. Serve dunque riempire la mappa con il peso economico degli altri Paesi, cercando di capire anche i casi più interessanti degli ultimi anni che, lo anticipiamo subito, giungono dal lontano Oriente. «Se guardiamo alla Francia il settore dei diritti d’autore vale 1,1 miliardi di euro; UK 1 miliardo e Germania 800 milioni. A guidare sono ovviamente gli Stati Uniti con 2,6 miliardi di euro. Ma la cosa interessante è il quadro globale: il mercato vale 10,2 miliardi di euro, di cui 5,5 in Europa».
Il vecchio continente dunque gioca una partita in cui resta competitivo e, volendo esagerare, forse ha un senso se Spotify, la Big Tech svedese che ha rivoluzionato di più il mercato musicale negli ultimi dieci anni, sia stata fondata in Europa. Ciò non significa che ci si possa disinteressare di quanto accade altrove. Davide d’Atri ci ha ad esempio spiegato che la Corea del Sud è da parecchi anni un caso scuola esemplare. «Da Gangnam Style a oggi hanno costruito un’industria intrecciata con meccanismi social e di tecnologia. Chi è proprietario dei diritti guadagna dal brano e da altre fonti».
I BTS, una boy band di fama mondiale, vengono spesso citati come un modello perché da fenomeno musicale sono presto divenuti attori che esportano la cultura sudcoreana nel mondo (il K-Pop). «Trovo che in Sud Corea sia in corso un esperimento davvero incredibile. Pure in America del Sud c’è una forte tradizione. Ma i leader sono nel mondo americano e anglosassone». C’è poi un interessante trend che il Ceo di Soundreef ha riscontrato.
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Che musica si ascolta di più in Italia
«Negli ultimi anni la classifica dei brani più ascoltati in Italia è popolata da sempre più artisti italiani. Negli anni Novanta si trovavano molti più artisti stranieri nelle top 10. Il primo dato è che si ascolta molta più musica italiana». Ci sono poi casi estremi in cui dall’Italia si raggiunge il mondo intero: i Måneskin ne sono l’esempio più eclatante. «Ma quello che vedo in Italia si nota anche negli altri Paesi: le classifiche contengono molti più artisti locali».
Nel corso dell’intervista abbiamo toccato anche l’argomento Fedez, chiedendo un commento a d’Atri sulla fine di un lungo percorso della pop star in Soundreef. «La nostra maggiore vittoria è stata aver dato agli autori e ai compositori la possibilità di scegliere. Federico ha fatto le sue scelte e gli auguriamo il meglio. Abbiamo trascorso insieme anni proficui». Nel frattempo la società ha dato il benvenuto a un gigante a stelle e strisce: dal primo gennaio 2024 infatti la collecting society Sesac Performing Rights ha scelto l’ex startup per rappresentare in Italia il proprio repertorio, nel quale compaiono i nomi di Bob Dylan, Axl Rose, Neil Diamond, Kurt Cobain e molti altri.
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Incognita AI: il commento di Soundreef
«Questa è un’industria dove l’80% del fatturato deriva dal 20% di autori, compositori ed editori. Noi di questi ne rappresentiamo circa 200 e su Spotify abbiamo il 35% delle canzoni in classifica. Se prendiamo i 10 album più venduti nel 2023 gestiamo i diritti dell’80%». Lo scorso anno l’azienda ha chiuso il fatturato a 14 milioni di euro e si attende di salire a 18 milioni nel 2024. Da quando è stata fondata Soundreef ha inoltre raccolto circa 20 milioni di euro di finanziamenti e oggi conta uffici a Roma, Milano, Londra e Madrid.
Il 2023 ha dato un’evidente dimostrazione di quanto l’arte e la creatività possano sentirsi minacciate dall’intelligenza artificiale. Ci riferiamo allo sciopero durato mesi a Hollywood durante il quale attori, sceneggiatori e autori hanno incrociato le braccia chiedendo maggiori tutele e garanzie rispetto all’abuso dell’AI sui set. «Credo che la questione dell’AI, così come quella dello strapotere delle piattaforme di streaming siano fondamentali – ha concluso d’Atri -. Ritengo però che questa tecnologia farà parte della nostra vita, anche se ciò non deve tradursi nella lesione dei diritti dei lavoratori. Penso che l’intelligenza artificiale rischi di cannibalizzare non tanto chi sta in alto, ma gli artisti nelle fasce medie e basse. Va studiata con attenzione, senza fare guerra di pregiudizi».