C’è un paradosso curioso nel mondo degli smartphone: più diventano intelligenti, meno sembrano aver bisogno di noi. Non sbagliano, non rallentano, non chiedono spiegazioni. Scorrono, quasi senza attrito. L’AI si occupa perfino di mettere ordine nei nostri pensieri e nei nostri appunti. È il trionfo della fluidità come ideologia, e OPPO ne ha fatto la sua nuova guida con la serie Find X9.
Il marchio cinese, ormai stabilmente tra i primi cinque produttori globali di cellulari, non urla più “innovazione” come faceva qualche anno fa: ora sceglie la via della coerenza e della continuità tra le generazioni e linee di prodotto. Design, software, AI: tutto è costruito intorno all’idea di un’esperienza perfettamente allineata, priva di ostacoli. Cercando di restare in contatto con l’utente, di metterlo a suo agio, di dargli ciò di cui ha bisogno nella vita quotidiana (e non ciò che gli ingegneri pensano dovrebbe desiderare).
Il problema è che la perfezione, a volte, è disumana. Bisogna trovare il modo di renderla più empatica: a misura dell’utente.
Il linguaggio della coerenza
Negli ultimi anni OPPO ha iniziato a fare ordine anche in casa propria. Le linee A, Reno e Find ora parlano un linguaggio estetico comune: bordi piatti, moduli fotografici integrati nel corpo, texture opache e colori “materici”. È una scelta che va oltre lo stile: è la creazione di un’identità industriale. In un settore in cui tutti vogliono distinguersi, OPPO ha scelto di somigliarsi: di dare l’opportunità all’utente di riconoscere al volo uno smartphone del marchio.
Un atto di disciplina quasi zen: l’uniformità come forma di riconoscimento, la coerenza come nuova frontiera del lusso. Il risultato è un oggetto elegante, sobrio, pensato per durare. Ma corre inevitabilmente il rischio di risultare già visto. Nel tentativo di inseguire la forma perfetta, OPPO rischia la neutralità assoluta: telefoni così ben progettati da non farsi più notare. La chiave è assicurarsi che il risultato sia perfettamente funzionale: se vi suona familiare, è perché la filosofia applicata al design per tutti gli anni della gestione Jobs-Ive del marchio Apple era esattamente la stessa.
Facendo tesoro della lezione che arriva dalla California, OPPO ha capito anche qualcos’altro. Dentro una forma impeccabile deve esserci un software costruito intorno alla stessa idea: non farti sentire che esiste. Il nuovo ColorOS 16 è il manifesto di questa filosofia: le animazioni scorrono senza strappi grazie al nuovo motore Luminous Rendering Engine, che gestisce il passaggio da un’app all’altra in modo continuo (OPPO la chiama Seamless Animation). Il sistema risulta sempre reattivo e con un aspetto altamente personalizzabile, anche nella dimensione di icone e cartelle (la chiamano Flux Home Screen). Non raggiunge ancora il livello di alcuni concorrenti, ma compie un passo deciso, netto, credibile. Una simmetria visiva e funzionale che non stupisce, magari: ma convince.

Anche dal punto di vista estetico c’è un cambio di passo: il gusto scelto per il design di icone e colori è assolutamente alla moda e compatibile col design dell’hardware, con una coerenza (ecco un termine che torna ancora a fare capolino in questa trattazione) più che adeguata a garantire continuità tra ciò che teniamo in mano e ciò con cui interagiamo sullo schermo. Una continuità che ora si estende anche a PC e Mac. Il nuovo O+ Connect permette il mirroring e la gestione delle app direttamente sul computer, chiudendo quel cerchio dell’ecosistema che fino a ieri era solo abbozzato.
AI Mind Space: intelligenza al nostro servizio
C’è un aspetto, poi, che è un po’ il punto dolente della generazione attuale degli smartphone: tutti fanno gran parlare di intelligenza artificiale, il cui effetto più evidente è nel ritocco delle fotografie, ma nessuno ha trovato ancora il modo di incorporare l’AI in modo sensato nell’esperienza complessiva. OPPO ci prova, con una soluzione che non sarà un inedito assoluto, ma che pare una strada promettente da seguire. Una direzione che trova forza nella recente collaborazione appena annunciata con Google.

L’AI Mind Space, cuore intelligente del sistema, registra e organizza ciò che fai (e che scegli di fargli conoscere): screenshot, note vocali, appunti. Tutto finisce in uno spazio digitale privato, da cui l’assistente Gemini può pescare per offrirti suggerimenti o automatizzare azioni. Gemini quindi non è solo l’assistente che vive dentro il sistema, ma una piattaforma di co-sviluppo integrata nel nuovo Mind Space: capace di leggere e organizzare i contenuti locali in modo sicuro e personalizzato.
La promessa è quella di un’AI che agisce in background, ma costruita su un’infrastruttura di confidential computing ospitata su Google Cloud: un modello che lega privacy, potenza e fiducia. È un’intelligenza artificiale che non chiede istruzioni: agisce. Può davvero diventare un assistente personale, ma dovrà dimostrare di essere all’altezza delle ambizioni dichiarate.
È un percorso interessante: può diventare il punto forte di un’esperienza utente memorabile, capace di distinguersi da tutto ciò che abbiamo visto finora. Un’AI che non si limita a leggere i dati, ma l’utente stesso; che non interpreta la realtà, ma la accompagna.
Ci sono poi anche tecnologie più tradizionali: AI Recorder, come su altri smartphone, trascrive e sintetizza le conversazioni registrate; AI Writer, che fa da assistente alla scrittura. E il supporto fotografico: AI Portrait Glow migliora i ritratti scattati in condizioni di luce difficili (anche col flash).

Un piccolo dettaglio racconta bene la filosofia del Find X9: lo Snap Key, un pulsante fisico configurabile che permette di catturare screenshot, attivare la traduzione, o aggiungere note vocali al volo. È anche la via maestra per accedere al Mind Space: non è una soluzione originale, ma ha un tocco in più. Una soluzione ergonomica che restituisce all’utente la sensazione, sempre più rara, di controllare davvero il proprio smartphone.
La scheda tecnica di un flagship
Il Find X9 e il Find X9 Pro sono oggetti progettati per sembrare semplici, ma dietro quell’aspetto da monolite di design si muove un motore ben carrozzato.
A comandare il traffico c’è il nuovo MediaTek Dimensity 9500, costruito su tecnologia a 3 nanometri: un chip che non nasce per dominare i benchmark, ma sembra perfettamente calibrato per fare ciò che OPPO ha in mente. L’NPU dedicata all’intelligenza artificiale raddoppia l’efficienza della generazione precedente, ma la vera differenza dovrebbe farla il Trinity Engine: un sistema di sincronizzazione interna che ha come obiettivo calibrare frame rate, consumi e memoria in tempo reale.
È come se il telefono respirasse: accelera, rallenta, si adatta. Non tanto per farti andare più veloce, ma per non farti accorgere che sta lavorando. Il calore, storico nemico dei processori moderni, viene gestito da un nuovo sistema di dissipazione a camera di vapore che, nel Pro, copre una superficie record per la linea Find. OPPO ha ridisegnato persino la struttura in acciaio del telaio per integrare la rete termica: il telefono intero funziona come un radiatore silenzioso. Una soluzione ingegneristica impeccabile, pensata per non farsi notare.

Lo schermo scelto è un AMOLED LTPO da 6,78 pollici sul Pro, 6,59 sul Find X9: è uno dei più luminosi sul mercato con picco di 3.600 nit, 1 nit minimo, PWM rispettivamente a 2.160 o 3.840 Hz per proteggere la vista, cornici da 1,15 millimetri misurate al microscopio. OPPO non si sbilancia, ma parliamo di una delle cornici più sottili se non la più sottile in circolazione. Finalmente, poi, anche OPPO adotta l’AOD a tutto schermo come iOS e altri prima di lei: non c’è ancora personalizzazione totale, ma è un bel passo avanti.
Una batteria da record
Il cuore pulsante del progetto, comunque, è la batteria. Due celle in tecnologia silicon-carbon di terza generazione: 7.025 mAh sul Find X9 e 7.500 mAh sul Pro, la più grande mai montata su un flagship OPPO, in uno spessore che supera appena gli 8 millimetri. Ed è un segnale. Tra le varie voci della scheda tecnica, su questa OPPO ribadisce il proprio impegno dal punto di vista tecnico: l’autonomia non è una questione di marketing, è un valore che si ottiene tramite l’impegno degli ingegneri per studiare e trovare la soluzione giusta per garantire un’esperienza utente all’altezza.
La ricarica è ovviamente SuperVOOC 80W con alimentatore proprietario, con supporto comunque a USB-PD 55W, wireless AIRVOOC 50W (sempre tramite caricatore proprietario) e reverse 10W.
L’obiettivo dichiarato è semplice e ambizioso: mantenere l’80% di capacità dell’accumulatore dopo cinque anni d’uso. Non male. Le prime prove con l’esemplare in test (con software preliminare, va sottolineato) dicono che non solo si riesce a reggere lontano dalla presa per 24h ore buone, anche impegnandosi a sfruttare al massimo lo smartphone: chi ne fa un uso più blando potrebbe tranquillamente stare fino a 2 giorni senza bisogno di ricaricare. Non è un dettaglio da poco: lo smartphone deve funzionare e basta, liberandoci dai pensieri.
Scorrendo il resto dei dati della scheda tecnica, non pare onestamente di scovare un punto debole: tripla certificazione IP66, IP68 e IP69, per resistere anche ai getti di acqua calda. Forse solo lo spessore appena superiore allo scorso anno (0,2 millimetri), con dimensioni generose che lo pongono alla stregua di altre taglie forti tra i flagship, possono essere un limite. Niente di imperdonabile fin qui, comunque.
La fotografia invisibile
E poi c’è la fotografia, che da sempre è la firma della serie Find. Il nuovo Find X9 Pro integra un teleobiettivo Hasselblad con un sensore da 200 megapixel, capace anche di funzioni macro con distanza minima di messa a fuoco di 10 cm: garantisce uno zoom fino a 120x, di cui 13,2x senza perdita di qualità, grazie a una luminosissima lente periscopica f/2.1, valore di rilievo per uno smartphone. Accanto un sensore principale Sony LYT-828 da 1/1.28’’ e il nuovo motore d’immagine LUMO Engine, che elabora ogni scatto in parallelo tra CPU, GPU e NPU. Tutto è pensato per offrire un’esperienza semplice ma scalabile, in cui l’utente può scegliere quanto controllare parametri e personalizzare gli effetti.

Molto bene anche il Find X9: tutti sensori da 50 megapixel, tra cui il principale è di nuovo un Sony. Questa volta la scelta cade sul pur ottimo LYT-808. Il fratello minore sfrutta anch’esso un sensore spettrale a 9 canali montato a bordo, chiamato True Color Camera, per ottimizzare i colori (soprattutto in condizioni di luce difficile).
Seguendo la logica della fluidità, l’uso delle diverse lunghezze focali (dall’ultra-wide fino al teleobiettivo) è praticamente un’esperienza priva di attrito nell’uso quotidiano: il passaggio tra i diversi sensori si percepisce appena, con una continuità notevole in fatto di risultato dello scatto. Interessante, e da provare, la modalità “concerto” (Stage Mode): molti (troppi) scattano foto e girano video nella calca, portandosi a casa mediamente delle brutte foto e dei pessimi video. Questo telefono potrebbe fare al caso loro.
In più, OPPO annuncia entusiasta di aver ora abbastanza potenza a disposizione per lavorare sui dati grezzi dei sensori stessi: se ci sono 50 megapixel a disposizione, si lavora su 50 megapixel e si scatta a 50 megapixel. Niente più pixel binning, niente più “semplificazione” a 12 megapixel. Entrambi i modelli inoltre supportano la registrazione 4K a 120fps in Dolby Vision: il Pro può farlo anche con il teleobiettivo da 200MP. Viene introdotta anche la funzione 4K Motion Photos, di fatto la prima volta che la si vede in giro.
Non c’è nulla di rivoluzionario in tutto questo, se non la volontà di rendere la complessità invisibile. La fotografia algoritmica scorre sotto la superficie, ma senza imporsi: l’obiettivo è consentire all’utente di ottenere la nitidezza, i colori, il dettaglio che si aspetta per riprodurre il reale senza un sovraccarico drammatico.

Il nuovo LUMO Engine è la sintesi di questa filosofia: una tecnologia coerente che probabilmente si estenderà all’intera gamma, mantenendo quell’equilibrio che è ormai la firma del marchio. Chi compra OPPO saprà di ottenere un certo tipo di performance: una scelta sensata anche per imporsi all’attenzione di nuovi clienti.
Prezzi e disponibilità OPPO Find X9
La serie Find X9 è disponibile da subito su OPPO Store e, a breve, anche presso i principali rivenditori. Il Find X9 Pro, proposto nelle colorazioni Silk White e Titanium Charcoal, parte da 1.299 euro. Il Find X9, disponibile in Titanium Grey, Space Black e nella Red Velvet (esclusiva per l’online) parte da 999 euro.


Sono cifre da flagship, ma calibrate: OPPO resta leggermente sotto i concorrenti diretti e propone un pacchetto coerente con il suo nuovo posizionamento. L’operazione di lancio prevede anche che chi acquista sullo store ufficiale dal 28 ottobre al 30 novembre riceva 100 euro di sconto sul Pro e 50 euro sul modello base, tramite registrazione o inserimento dell’IMEI di un vecchio dispositivo OPPO.



A questi si aggiunge un ulteriore incentivo per chi aderisce al programma di trade-in (altri 50 o 20 euro di riduzione) e una promozione “alla giapponese”: bundle completi al prezzo di listino, con accessori inclusi. Il Find X9 Pro arriva con Enco X3i Blue, cover e power bank, il Find X9 con Enco Air4 White e caricatore 80 W. Infine, i membri della community OPPO ricevono il doppio dei punti fedeltà durante tutto il periodo promozionale.
L’intervista a Jessica Chuang, CMO OPPO Italia
OPPO punta probabilmente a ritagliarsi una nicchia culturale interessante: niente status symbol, niente potenza urlata, niente marketing dell’estremo. OPPO mette sul tavolo una propria offerta: quella che garantisce equilibrio, tra un design quasi di ispirazione scandinava e una tecnologia che vuole essere sensata, un linguaggio fatto di normalità che diventa premium.
È un linguaggio che potrebbe funzionare, ma richiederà tempo. È una strategia di normalizzazione del lusso: OPPO si presenta come marchio maturo, consapevole che nel 2025 non basta un buon telefono. Serve una storia coerente, un ecosistema: e, soprattutto, un motivo per restare. Un tono sommesso, ma concreto. Che parla al consumatore con un linguaggio fatto di semplicità, autenticità, attenzione alle esigenze concrete: che fornisce le risposte a domande reali, non proclami rivoluzionari. Forse è questo il punto: la perfezione non basta più. Serve un po’ di anima, anche negli smartphone. OPPO, nel suo approccio discreto, sembra averlo capito.
È da qui che parte la conversazione con Jessica Chuang, nominata da poche settimane Chief Marketing Officer di OPPO in Italia. Con lei abbiamo parlato del nuovo linguaggio del brand, del ruolo dell’intelligenza artificiale e di cosa significa oggi costruire fiducia in un mercato che corre più veloce dei desideri dei consumatori.
L’incontro comincia con un piccolo rovesciamento di ruoli. È lei a fare la prima domanda: “Cosa ti ha veramente colpito di questo smartphone?”, chiede sorridendo. La mia risposta ripercorre quanto detto nell’articolo: “È un telefono che funziona, e funziona bene. Può cambiare il modo in cui OPPO viene percepita dai consumatori?”
Jessica Chuang: Quando lavoravo al quartier generale di OPPO, lanciammo due innovazioni in parallelo: la ricarica ultra-rapida e la tecnologia Battery Health. Fin da allora abbiamo sempre pensato all’innovazione come equilibrio tra performance e durata: non solo cosa il telefono può fare, ma per quanto tempo può farlo. In Cina molti di noi caricano il telefono ogni sera, ma le nuove funzioni AI mettono sotto pressione la batteria. Ecco perché il sistema deve imparare le abitudini dell’utente e adattarsi di conseguenza. L’obiettivo è migliorare l’esperienza quotidiana e prolungare la vita dello smartphone. Per noi questo è un tema primario, non secondario. Cerchiamo di pensare anche sul lungo termine, come garantire l’investimento dei nostri clienti nel tempo e come essere più sostenibili.
StartupItalia: Il design è cambiato molto rispetto alla generazione precedente. È più europeo, più riconoscibile, e mantiene coerenza con le serie Reno e A. È un design più “OPPO”, in un certo senso?
Jessica Chuang: È il risultato di un lavoro di anni, guidato dalle nostre divisioni che ascoltano costantemente i consumatori sui loro gusti e le loro esigenze. Cinque anni fa c’era ancora discontinuità tra una generazione e l’altra: oggi invece il linguaggio estetico è diventato più personale e riconoscibile. Anche il modulo fotografico riprende forme già viste (come quelle del Find X5, ndr), ma con linee più semplici ed eleganti. Abbiamo rivisto proporzioni e materiali per migliorare l’ergonomia e rispondere meglio alle richieste degli utenti.
StartupItalia: Una batteria come questa, più duratura e resistente nel tempo, può cambiare le abitudini dei consumatori in termini di quando sostituire il proprio smartphone. Come pensate di affrontare, sul piano strategico, questo tipo di novità?
Jessica Chuang: Non credo sia un problema. Ci saranno sempre ragioni pratiche per cambiare smartphone: un guasto, un cambio di vita come un nuovo lavoro o un nuovo ciclo di studi. Ma ciò che può davvero motivare gli utenti è la possibilità di accedere a nuove tecnologie. Il nostro compito è offrire la migliore esperienza possibile all’interno di ogni generazione: sarà questo, non l’usura, a far decidere quando è il momento di cambiare telefono.
StartupItalia: A proposito di tecnologia, avete rivisto profondamente il modo in cui funzionano le fotocamere del Find X9. È cambiato lo stack di elaborazione e il risultato appare più coerente e fedele alla realtà. Qual è la filosofia che guida questo cambiamento?
Jessica Chuang: Mi piace molto la filosofia che anima il nostro team Imaging. La loro motivazione è semplice: permettere a chiunque usi uno smartphone OPPO di catturare la bellezza del reale secondo la propria sensibilità. Certo, si possono confrontare rese cromatiche tra brand e modelli, ma ciò che ci interessa davvero è la ricerca dell’autenticità. Non vogliamo immagini più belle della realtà: vogliamo che siano fedeli al ricordo di chi le scatta. È questo che guida il nostro lavoro.
StartupItalia: Un’ultima domanda sul mercato italiano. Sta cambiando forma, stanno cambiando i competitor e le abitudini dei consumatori. Come fare a guadagnare terreno in questo contesto?
Jessica Chuang: Consideriamo la concorrenza un fattore positivo: ci spinge a creare prodotti migliori e a innovare di più. Nei prossimi anni il punto chiave sarà garantire un’esperienza di qualità, non solo in termini di hardware ma anche di software. AI Mind Space rappresenta bene questa direzione: una soluzione elegante e concreta per migliorare l’uso quotidiano del telefono. Tanto che abbiamo deciso di lanciare una campagna che consente agli utenti di provare lo smartphone per 30 giorni prima dell’acquisto: se qualcosa non li convince, possono restituirlo e dirci cosa non ha funzionato. È così che si costruisce la fiducia.
OPPO oggi, quindi, forse non rincorre più i record: prova a costruire un legame solido con i suoi utenti. La serie Find X9 non nasce per stupire, ma per consolidare un linguaggio che il marchio sta raffinando da anni: quello della coerenza, della durata, della tecnologia che si fa discreta. È un segnale preciso, in un mercato dove l’attenzione è un bene volatile e la fedeltà si conquista sul campo.
Costruire fiducia, d’altra parte, significa questo: offrire un’esperienza che non deluda, un prodotto che non tradisca la promessa fatta all’utente. OPPO ci prova con equilibrio, puntando su continuità e realismo più che sull’effetto sorpresa. È un approccio meno spettacolare, ma forse più solido: mette a disposizione funzioni che useremo ogni giorno, non un dettaglio “wow” destinato a stancare dopo il terzo utilizzo.
Nel Find X9 tutto parla la lingua della maturità: dal design alla batteria, dall’AI integrata al tono della comunicazione. E se davvero la tecnologia sta entrando in una fase più consapevole, questo potrebbe essere il modo più concreto, e più credibile, per dimostrarlo.


