La nostra intervista a Luca Orrù, Head of Innovation Roadmap & Technologies di Terna
Quando si parla della transizione ecologica, spesso si confonde il percorso di adozione delle fonti rinnovabili con una strada in discesa, ma ci sono anche diversi passaggi amministrativi che rischiano di allungare i tempi per la realizzazione degli impianti. «Occorre partire da un elemento di base per capire come funziona concretamente la transizione verso il green – ha spiegato a StartupItalia Luca Orrù, Head of Innovation Roadmap & Technologies di Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale -. Le rinnovabili, per loro natura, sono meno flessibili rispetto a una centrale tradizionale termoelettrica: per quest’ultima è più facile programmarne la produzione di energia, ma è senz’altro più inquinante se si fa uso di gas o altri combustibili fossili». Quando manca il sole e non soffia il vento il sistema può essere esposto a un rischio: se la domanda di energia sale («Durante il giorno ci sono vari picchi e il fabbisogno cambia se è domenica o feriale, se è estate o inverno»), bisogna intervenire prontamente, per tenere il sistema in equilibrio in ogni istante.
Il progetto OSMOSE
Il realismo col quale occorre fare i conti non significa ovviamente che non c’è spazio per innovare e trovare le soluzioni per rendere la rete elettrica più efficiente. Occorre, anzi, evitare gli assurdi sprechi proprio di quella energia prodotta da eolico e solare che rischia di non essere sempre utilizzata. Per fare questo Terna ha testato diverse soluzioni sul campo, col progetto OSMOSE (acronimo per Optimal System-Mix Of Flexibility Solutions For European Electricity, ndr), finanziato dal programma europeo Horizon 2020. La società, coordinando un team di 18 partner tra enti di ricerca, software company, utility e industrie manifatturiere, ha sperimentato un insieme di soluzioni innovative e digitali con un obiettivo specifico: far sì che quantitativi sempre maggiori di energia rinnovabile possano essere immesse in rete.
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Il progetto OSMOSE è durato quattro anni e si è concluso di recente con risultati incoraggianti che consentono, grazie alla tecnologia, una migliore gestione della rete esistente. «L’obiettivo – ha spiegato Orrù – era concentrarsi sugli impianti rinnovabili. Terna ha individuato un’area tra Puglia e Basilicata, dove ha realizzato il dimostratore (termine che comprende lo svolgimento di attività sperimentali attraverso l’utilizzo sia di software e algoritmi sia di sensori installati sui tralicci e altri dispositivi, ndr). In questa zona del Mezzogiorno abbiamo le condizioni ideali per testare le nuove tecnologie oggetto dell’indagine: sono presenti grandi impianti industriali connessi alla rete, come quelli siderurgici e manifatturieri; tanta produzione di energia eolica; e una rete ancora poco magliata, ovvero con presenza di potenziali colli di bottiglia per il trasporto ottimale dell’energia»
Fare i conti con l’esistente
Nel corso dell’intervista con StartupItalia, il rappresentante di Terna ci ha mostrato la mole di termini tecnici – come Dynamic thermal rating e Demand Side Response – che vanno a spiegare questo progetto in termini di innovazione. Senza però entrare nel linguaggio ingegneristico, è opportuno capire lo scenario di partenza: la costruzione di nuovi impianti green e gli obiettivi di decarbonizzazione rientrano nei piani da qui a metà secolo; nel frattempo, tuttavia, occorre fare i conti con le infrastrutture esistenti, che non consentono sempre un utilizzo ottimale delle fonti rinnovabili. «Tra i vari passaggi che abbiamo fatto – ha ricordato Orrù –, ci siamo confrontati con sette impianti industriali, che hanno aderito come terze parti, per studiare insieme i processi di produzione, cercando di capire se qualche attività particolarmente energivora potesse o meno essere ri-programmata in altre ore della giornata, quelle in cui ad esempio c’è minore richiesta di energia. Questa rimodulazione è una importante risorsa che viene incontro alle esigenze di flessibilità del sistema elettrico». In scala decisamente ridotta, non è molto diverso dalle scelte che compiamo quando decidiamo di posticipare una lavatrice per non fare saltare la luce. Non si cancellano attività: è la programmazione che fa la differenza.
Immaginandosi la rete elettrica come una serie di autostrade, si capisce infatti che non tutta l’energia può passare e che, di fronte a un sovraccarico, ci possono essere rischi e potenziali disalimentazioni. I sensori e la tecnologia testati durante il progetto OSMOSE hanno consentito – sia con gli algoritmi sia con i sensori posti sui tralicci – di rilevare potenziali momenti di sovraccarico di una determinata linea elettrica, prevedendo situazioni di possibile criticità e attivando le contromisure in maniera tempestiva. Le autostrade di cui sopra sono sempre le stesse, ma il traffico è senz’altro più scorrevole. «Con OSMOSE abbiamo di fatto utilizzato un digital twin, un gemello digitale che simula l’infrastruttura reale e può consentire di supportare le valutazioni delle sale di controllo fino a tre ore in avanti nel futuro. Così facendo siamo in grado di prevedere con maggior precisione i consumi, la produzione di energia e i fattori meteo, integrando i dati raccolti dai sensori installati sui tralicci. E questo ci consente di gestire con ancor più efficacia ed efficienza i flussi elettrici».
Grazie alla tecnologia la storia di OSMOSE dimostra quanto la transizione ecologica non sia un processo che si scrive su un foglio bianco. È inevitabile partire dall’esistente, per fare al meglio possibile con le infrastrutture ereditate nei decenni, soprattutto in zone meno coperte. «I dati della sperimentazione sono promettenti: in alcuni determinati momenti è stato possibile aumentare il trasporto dell’energia di oltre il 300% – ha concluso Orrù – e il beneficio è evidente: grazie a un mix di soluzioni, che comprende la possibilità di ottenere anche dagli impianti eolici una maggiore flessibilità, si massimizza l’ingresso delle fonti rinnovabili nella rete».