Sedetevi al vostro banco: “A lezione di fallimento” dell’economista Francesca Corrado sta per iniziare. Questa settimana traiamo ispirazione dagli inciampi di due realtà che hanno fatto tesoro degli errori commessi per arrivare davvero in alto
Il fallimento è il modo in cui la vita ci fa sapere che stiamo andando fuori rotta. Ma è anche un prezioso feedback che ci orienta nella giusta direzione. Come ci insegnano due belle storie di in-successo. Ci troviamo a San Diego, California, nel 1953, anno di fondazione di una piccola impresa: la Rocket Chemical Company. La startup è composta da tre colleghi, tra cui Iver Norman Lawson, ingegnere meccanico. Un giorno un comandante navale, amico di famiglia, chiese a Norman se avesse qualche consiglio da dargli per prevenire la corrosione delle navi. La Marina degli Stati Uniti era alla ricerca di un lubrificante protettivo facile da conservare, trasportare e applicare in ambiente salino. Il sale dell’oceano danneggiava gli ingranaggi e i componenti metallici. Lawson, attratto dalla prospettiva di poter risolvere un problema concreto, allestì un laboratorio improvvisato sopra il suo garage e iniziò a studiare chimica. Fu così che nacque WD-40® che sta per Water Displacement perfezionato al 40°, in omaggio al numero di tentativi ed errori grazie ai quali Norman giunse alla scoperta della formula segreta. Un articolo destinato al mercato business-to-business con notevoli prospettive e potenzialità.
Sbagliando s’impara
Sarà il Norman B. Larsen, presidente della Rocket Chemical Company, qualche anno dopo, a comprendere infatti il grande potenziale di quel prodotto. Convair, un appaltatore aerospaziale che utilizzava WD-40 per rimuovere la ruggine e prevenire la corrosione dei missili Atlas, gli raccontò una storia interessante. Il prodotto funzionava così bene che diversi dipendenti ne erano a tal punto entusiasti da rubare le lattine in azienda per usarle a casa. La ragione di questo successo? «Offrire un prodotto di qualità che vada molto oltre le aspettative. Ecco dove entra in gioco l’attaccamento emotivo. Le persone iniziano a credere di non poter fare a meno del loro WD-40», dichiarerà il Ceo.
I soci colsero in quel racconto un insight di valore. E si chiesero come poter offrirlo all’utenza su scala più piccola. La soluzione? Una versione del WD-40 in bombolette spray per un uso casalingo. Fece la sua prima apparizione sugli scaffali dei negozi di San Diego nel 1958. La NASA, quattro anni dopo, utilizzò il WD-40 sulla Friendship 7, la capsula spaziale che ha portato per la prima volta l’astronauta statunitense John Glenn in orbita attorno alla Terra. Nel 1969 la Rocket Chemical Company è stata rinominata WD-40 Company. In omaggio a quel prodotto nato dalla capacità di 3 persone di dare all’idea più di una possibilità. E di cogliere, da ogni errore e da ogni segnale debole, un’informazione preziosa per migliorare il prodotto ancora, e ancora, e ancora.
Elogio del fallimento
Sir James Dyson è l’inventore dell’aspirapolvere senza sacchetto Dual Cyclone. Ogni volta che Sir Dyson mette il bollino finito su un suo nuovo prodotto introduce una novità in un settore, quello degli elettrodomestici e dei prodotti elettronici per la cura della persona, dove prima di lui sembrava non ci fosse nulla da inventare. L’idea dell’aspirapolvere ciclonico gli è venuta visitando una segheria. Ad attrarlo un separatore ciclonico industriale che raccoglieva la segatura che si creava durante la lavorazione del legno. Come passare da un prodotto industriale a uno al dettaglio? Prima di mettere in commercio il primo sacchetto funzionante, Dyson ha realizzato oltre 5127 prototipi in 5 anni di tentativi andati a vuoto. Cinque anni di prove, di modifiche, di pugni sbattuti, di imprecazioni. Sul suo sito, Dyson scrive: «Sono particolarmente esperto nel fare errori, è necessario se sei un ingegnere. Ciò che è importante è che non mi sono fermato al primo fallimento, al cinquantesimo, o al cinquemillesimo. Amo gli errori». E ha continuato ad amarli anche quando, al 15esimo prototipo con il terzo figlio in arrivo, i soldi scarseggiavano. Tanto da costringere la moglie a dare lezione di arte per racimolare qualche soldo in più. «Erano tempi duri, ma ogni fallimento mi avvicinava a risolvere il problema». Ogni errore è stato per Dyson un’indicazione utile per migliorare il suo prodotto.
Il fallimento è apprendimento
Oggi la Dyson è una multinazionale con decine di milioni di prodotti venduti nel mondo, e con una delle più alte percentuali di investimenti in ricerca e sviluppo. L’innovazione è al centro di tutto. «Alla Dyson preferiamo le persone senza esperienza che si avvicinano ai problemi in modo naïf». I candidati ideali sono giovani appena laureati, perché non hanno esperienze pregresse e idee preconcette su cosa può funzionare e cosa non può funzionare. Per Dyson l’unico approccio di successo è quello per prove ed errori. L’unico mindset vincente è quello che Carol Dweck chiama dinamico. Un mindset che in Dyson si allena attraverso il «wrong thinking». Il successo è una conseguenza, prima che un obiettivo, che richiede un pensiero audace.Occorre sforzarsi fino a compiere l’impossibile mostrando lo stesso livello di interesse anche quando le cose vanno male. Tanto che lo stesso Dyson ricorda con piacere la progettazione della lavatrice CR01. Anche se si è rivelata un flop. L’innovazione è un processo senza fine. Gratificante e frustrante allo stesso tempo. Per incoraggiare bambini e adulti a mettersi in gioco per risolvere i problemi, ha fondato la James Dyson Foundation. «Si crea qualcosa di nuovo sbagliando. Certe volte le cose sono davvero complicate. Alla soluzione ci si arriva per passi». Come? Accogliendo gli errori e fallendo lungo il percorso. Non bisogna essere ingegneri per riuscire, da ogni errore, a sfruttarne le informazioni. Drammaturghi, musicisti, compositori, pubblicitari, chef, imprenditori, sportivi di successo hanno fatto errori e li hanno usati per costruire la propria carriera. Se lasciamo parlare gli errori, rimanendo in ascolto dei suoi insegnamenti, avremo un’occasione di crescita straordinaria.
Le 3 regole d’oro
La prima regola è fare errori. L’errore è fonte di innovazione e creatività, un’inedita direzione per nuove idee, è una risorsa di valore per sperimentare. La seconda regola è accettare gli errori. L’errore ci dà l’occasione di apprendere e lavorare su progetti audaci e idee davvero innovative. La terza regola è non fare gli stessi errori ma farne di migliori. E voi che lezione avete appreso?
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