In passato erano Google e Facebook a corteggiare le testate locali per avere i loro contenuti. Oggi è il turno di Open AI, la quale donerà 5 milioni di dollari all’American Journalism Project (organizzazione filantropica) per capire come implementare al meglio l’intelligenza artificiale nelle notizie locali. Si tratta di una partnership di due anni che… Read more »
In passato erano Google e Facebook a corteggiare le testate locali per avere i loro contenuti. Oggi è il turno di Open AI, la quale donerà 5 milioni di dollari all’American Journalism Project (organizzazione filantropica) per capire come implementare al meglio l’intelligenza artificiale nelle notizie locali. Si tratta di una partnership di due anni che prevede anche la realizzazione di una ricerca per individuare le best practice. Tale iniziativa fa seguito all’accordo (il primo di questo genere) raggiunto con AP che mette a disposizione parte della sua attività giornalistica per addestrare gli algoritmi di Open AI. “Sosteniamo con orgoglio la mission dell’American Journalism Project di rafforzare la nostra democrazia ricostruendo il settore delle notizie locali. Questa collaborazione sottolinea la nostra convinzione che l’intelligenza artificiale dovrebbe portare benefici a tutti ed essere utilizzata come strumento per migliorare il lavoro”, ha dichiarato il CEO di OpenAI Sam Altman nell’annuncio. Inoltre, secondo fonti di Axios, la società starebbe trattando con altri importanti gruppi editoriali per ottenere ulteriori licenze. Come prevedibile, anche i competitor di stanno muovendo: Google (vedi sotto), che ha da dopo lanciato Bard, avrebbe trattative in corso con diverse testate.
Quasi amici
Si chiama Genesis il nuovo strumento di intelligenza artificiale di Google nato per supportare la produzione di notizie. E, secondo fonti vicine al dossier, sarebbe già stato presentato al New York Times, al Washington Post e a News Corp. Si tratterebbe di una sorta di assistente personale per i giornalisti, in grado di automatizzare alcune attività, in cui Google vede una tecnologia responsabile che potrebbe portare l’industria dei media lontano dalle insidie dell’IA generativa. Jenn Crider, una portavoce di Google, ha detto che “questi strumenti non intendono e non possono sostituire il ruolo essenziale che i giornalisti hanno nell’elaborare e verificare i loro articoli”. Ma, ad esempio, potrebbero fornire suggerimenti per i titoli e gli stili di scrittura. Come scrive il New York Times, i gruppi editoriali di tutto il mondo stanno provando ad implementare gli strumenti di intelligenza artificiale nelle loro redazioni. E molti, tra cui NPR e Insider, hanno già comunicato ai dipendenti l’intenzione di metterli in pratica, nonostante gli sviluppi di queste tecnologie rimangano ancora incerti.
Quale futuro per Threads
Nella storia della Silicon Valley, le big tech diventano sempre più grandi perché sfruttano la loro potenza come vantaggio assoluto. Ma come mostra il caso Google+, la grandezza da sola non è una garanzia per vincere il mutevole e bizzarro mercato dei social media. Ed è quello che potrebbe accadere, secondo quanto scrive Mike Isaac sul New York Times, a Threads. Zuckerberg ha fatto leva sulla forza di Meta per spingere la sua nuova creatura che, dopo il forse scontato successo iniziale, prima o poi dovrà fare i conti con la realtà. “Threads è tutt’altro che perfetto. È ancora basico e, proprio come Instagram, pieno di contenuti pop” sostiene David French. Ma è il fattore culturale ciò che lo rende migliore di Twitter: Elon Musk ha fatto a Twitter quello che Donald Trump ha fatto all’America. La teoria della cultura e del potere della nuova destra è fondamentalmente errata e si basa su un modello di dominio e imposizione che non funziona. Secondo l’autore dell’articolo, Musk è l’ennesimo triste rappresentante di un momento triste per la destra americana.
Primi guai per Lemon8
Nel mezzo della diatriba tra il governo americano e TikTok, la casa madre cinese ByteDance ha lanciato negli USA una nuova app, Lemon8. Subito dopo il lancio, Lemon8 si trovava tra le prime 10 app più scaricate sull’App Store di Apple negli Stati Uniti. Ma il successo iniziale si è spento negli ultimi mesi. Da aprile, gli utenti attivi giornalieri si sono quasi dimezzati, passando da poco meno di 12mila a poco più di 6mila e, alla fine di maggio, i download giornalieri sono scesi al 6,7% rispetto al picco di marzo. Gli utenti si lamentano del fatto che la piattaforma sembri dare priorità agli interessi degli influencer rispetto a quelli degli utenti. Non solo. Tra le critiche emerge la mancanza di funzionalità rispetto ad altri social media e la sua somiglianza a Pinterest e Instagram. Come se non bastasse, Lemon8 è stata accusata di censurare i contenuti contrari al Partito Comunista cinese. Nonostante le criticità, Rest of World racconta che ByteDance sta continuando ad investire sulla piattaforma lanciando nuove campagne di marketing, aggiungendo nuove funzionalità e contenuti, con l’obiettivo di attirare nuovi utenti e influencer.
Wikipedia versione Putin
Il Cremlino ha lanciato la propria versione di Wikipedia, Ruwiki. Il suo fondatore, Vladimir Medeyko, è un ex redattore di lunga data della famosa enciclopedia open-source in lingua russa. Nonostante Medeyko abbia dichiarato di essere indipendente dal Cremlino e che il sito rimarrà neutrale impegnandosi a essere una fonte attendibile nel rispetto delle leggi russe, il nuovo sito sembra essere estremamente amichevole nei confronti di Putin e del suo governo. Come riportato da Insider, il lancio di Ruwiki a luglio segue un lungo stallo tra Wikipedia e la Russia: un anno fa, l’enciclopedia ha rifiutato le richieste di un tribunale russo di rimuovere articoli sull’invasione dell’Ucraina, ricevendo periodicamente sanzioni. Secondo il Telegraph, su Ruwiki sono presenti 1,9 milioni di articoli tratti da Wikipedia, ma con alcune notevoli modifiche. Insider ha confrontato i due siti e la sezione “critica” della pagina di Ruwiki su Putin – che conta circa 2.500 parole su Wikipedia russa – è stata ridotta a pochi paragrafi. Non c’è nulla sull’invasione dell’Ucraina e sulla pagina di quest’ultima non si fa menzione della guerra così come ogni citazione della ribellione del gruppo Wagner del mese scorso sembra essere stata eliminata. Secondo Bloomberg, il lancio di Ruwiki rappresenta il primo passo verso il divieto assoluto di Wikipedia, uno dei siti web più popolari del paese. Ruwiki è un ulteriore tassello alla repressione della libertà di parola e dei media indipendenti in Russia, dove le critiche ai suoi militari sono considerate fuori legge, le condanne dei dissidenti sono sempre più numerose e le testate indipendenti sono costrette a definirsi “agenti stranieri”.
Rassegna curata dalla redazione di Storyword.