Ket-Lab è uno dei laboratori di ricerca italiani per il trasferimento tecnologico: un luogo multidisciplinare per portare nella vita quotidiana le innovazioni nate dalle tecnologie aerospaziali. E viceversa.
Chi crede che la ricerca spaziale sia inutile alla vita sulla Terra, nettamente ignora gran parte dei benefici che ne ha ricavato. Il soddisfacimento dell’innata curiositas umana, della sete di conoscenza, del bisogno di espandere i confini, già basterebbe a vedere l’esplorazione spaziale come imprescindibile dalla natura umana. Ma per chi non la pensa così, per chi come Dante vede gli Ulisse moderni impegnati in un “folle volo” oltre le colonne d’Ercole contemporanee, sapere che quello che si scopre per andare nello spazio trova mille altre applicazioni sull’amato pianeta blu è una consolazione non da poco.
Già, perché buona parte delle innovazioni, inizialmente impiegate nella conquista dello spazio, si sono insinuate, in maniera silente, nella nostra vita quotidiana.
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Cos’è il Ket-Lab
Quanto è comodo l’utilizzo del GPS per raggiungere nuove località? E il nostro cuscino preferito non sfrutta la tecnologia Memory Foam? E ancora le fotocamere, i visori termografici impiegati dai pompieri, i depuratori d’acqua, i nuovi materiali; e poi le cose più insospettabili, come l’aspirapolvere, i software di video-ritocco, le coperte termiche, l’anti ghiaccio, il latte in polvere, il rivestimento anti graffio dei nostri occhiali provengono dalle tecnologie spaziali. I risultati raggiunti in un settore non restano lì intrappolati, ma ne contaminano molti altri.
Per questo, anche l’Italia si è preoccupata di garantire e veicolare il trasferimento tecnologico dal campo spaziale a chissà quale altro e viceversa. Grazie al consorzio Hypatia, all’interno degli spazi dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), a Tor Vergata, nasce il Ket-Lab (Key Enabling Technologies Lab).
«Ket-Lab – ha spiegato Roberto Battiston, presidente di Asi – è il progetto che serve per dare al settore spaziale quel meccanismo di trasferimento tecnologico di cui l’Italia ha disperatamente bisogno. E per farlo vogliamo sfruttare le stesse caratteristiche che hanno già funzionato bene in altri Paesi».
A cosa servirà
Così è stato messo a disposizione uno spazio di 1.600 metri quadrati, dove i ricercatori lavorano a nuove soluzioni, per aziende ed enti interessati, impiegando tecnologie già conquistate. «Strutture come queste – ha spiegato Aude de Clercq, dell’ufficio di Trasferimento tecnologico dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) – sono fondamentali alla nostra missione di trasferimento industriale delle tecnologie sviluppate per raggiungere i traguardi spaziali e l’Italia dimostra di essere sulla strada giusta».
A pochi mesi dal kick-off, i primi progetti prendono forma, grazie al funzionamento di strutture come il laboratorio di Ultra-Altro Vuoto e tecnologia dei materiali, di microscopia ottica, di microscopia elettronica, di automazione e, infine, del laboratorio di materiali avanzati per l’aerospazio. Sono, infatti, cominciate da un po’ le attività legate a vari progetti.
Tra questi, il più importante, finora, è NanoBioTech, che fa capo sia alla sezione “ambiente” che a quella “salute”.
NanoBioTech Ambiente
Nello specifico, NanoBioTech Ambiente mira a comprendere gli effetti eco-tossici delle nanoparticelle legate all’inquinamento atmosferico. La ricerca vuole mettere a punto test ecotossicologici, sviluppando e ottimizzando nuovi protocolli per la valutazione dell’ecotossicità e la riduzione dell’inquinamento, con particolare interesse all’ambiente marino. Infatti, è già in via di brevettazione una boa per la cattura di idrocarburi, che utilizza spugne composte da nanotubi di carbonio che ospitano cellule batteriche idrofobiche, in grado di assorbire gli olii.
La boa è, inoltre, dotata di GPS e di sensori di peso, per consentirne l’individuazione quando satura.
NanoBioTech Salute
Questa sezione, invece, vuole sviluppare una tipologia di diagnosi precoce per i tumori, basata su nano-sistemi ibridi ad elevata sensibilità. Coordinato da Filippo Fabbri,in collaborazione con l’istituto IMEM-CNR di Parma, il gruppo di NanoBioTech Salute ha già raggiunto i primi risultati, sintetizzando nano-particelle plasmoniche a base di metalli, per la realizzazione di un bio-sensore. Inoltre è riuscito nella simulazione del trasporto di fluidi biologici, come sangue o saliva, all’interno di sistemi microfluidici avanzati.
Ma non è finita qui
Vega, un apparecchio portatile, in grado di vedere fino a un chilometro nel sottosuolo, pensato per l’indagine sotterranea con fini edilizi o estrattivi. E poi c’è il settore dei materiali, che sostiene l’energia rinnovabile. Con la tecnologia PED (Pulsed Electron Deposition), vengono depositati sottili film di un semiconduttore quaternario CIGS, capace di assorbire i raggi solari. Applicandoli a diversi substrati, come vernici, rivestimenti plastici o superfici metalliche, è possibile creare delle celle sostitutive di quelle fotovoltaiche tradizionali, il cui mercato è detenuto dall’Asia. L’Italia potrebbe, così, divenire di nuovo competitiva in un settore di innovazione, come il rinnovabile.
E ancora Evs, un dispositivo per il monitoraggio e l’analisi della qualità dell’energia elettrica. Safe Surface, progetto che si propone di rendere antimicrobici i materiali plastici usati in casa o nel campo biomedicale. Ma il Ket-Lab sta sviluppando anche bio-fuel, un filtro per la purificazione delle acque delle lavastoviglie e delle lavatrici, a partire da alghe marine. Si pensa che bio-fuel potrà essere utilizzato in ambiente aerospaziale, per lo smaltimento dei liquidi emessi dalle stazioni e dalle navicelle spaziali. Le spin-off technologies sono la prova di come la ricerca in un settore specifico, nella pratica, sia ricerca e basta, in quanto vede condivisi i risultati raggiunti e contribuisce a quel processo di avanzamento, tipicamente umano, che è il progresso.
Andrea La Frazia