Startupitalia ha incontrato il ricercatore italiano Giulio Bernardi, che sta studiando come “entrare” nei sogni: si può controllare in qualche modo la nostra attività cosciente mentre dormiamo? Quali vantaggi potrebbe comportare? Il progetto TweakDreams
Durante la pandemia in molti abbiamo sperimentato un sonno più disturbato, sogni strani e senso di spossatezza al risveglio. “Ciò che succede durante la veglia influenza anche l’attività del cervello quando ci abbandoniamo alle braccia di Morfeo”, afferma Giulio Bernardi, ricercatore a tempo determinato di tipo B alla scuola IMT di Lucca. Lo scienziato ha vinto un’ERC, un importante riconoscimento europeo destinato a giovani ricercatori, per analizzare una delle espressioni più affascinanti del nostro corpo: i sogni, per l’appunto. Entro fine anno partirà il progetto TweakDreams, che proverà a capire se si possano modificare le nostre esperienze oniriche.
“Oggi è molto difficile studiare i sogni perché sono estremamente variabili da una persona all’altra – spiega l’esperto –. Noi vorremmo intervenire per provare a modificarli in modo da renderli tutti simili per alcune caratteristiche. In questo modo, diventerebbe più facile capire cosa sta succedendo”. Inducendo un certo numero di persone a sognare di volare, per esempio, i ricercatori potrebbero studiare se quest’esperienza ha degli effetti il giorno successivo sulla memoria o sul benessere generale.
“In realtà sono già stati fatti vari tentativi in questo senso, utilizzando metodi più o meno invasivi – racconta Bernardi –. Si è visto per esempio che presentare stimoli sensoriali può aiutare a risvegliare o addormentare alcune regioni del cervello”.
A cosa serve sognare?
È infatti noto che, mentre dormiamo, il nostro cervello non si spegne del tutto. Da qui a capire a che cosa servono i sogni e quali sono i meccanismi che li causano, però, la strada è lunga. “Sembra paradossale, ma non sappiamo molto sui sogni – premette il ricercatore lucchese –. Negli anni ‘50-‘60, con la scoperta del sonno Rem, si era pensato di aver trovato una spiegazione. In realtà, si è presto capito che non sogniamo solo durante questa fase, sebbene sia quella nella quale viviamo le esperienze più vivide e che ricordiamo meglio”. Si è inoltre osservato è che, mentre si sogna, si attivano le stesse parti del cervello (quelle posteriori del cervello, legate all’elaborazione delle esperienze sensoriali), indipendentemente dalla fase del sonno nella quale ci si trova. “Questo ha senso perché la stragrande maggioranza dei nostri sogni, Rem o non Rem, sono visivi”, afferma lo scienziato.
Sebbene la ricerca sia ancora aperta, esistono tre correnti principali sui sogni: “La prima afferma che i sogni non servono a nulla: sarebbero un prodotto completamente casuale poiché il nostro cervello non si può spegnere del tutto. Questa attività randomica viene poi interpretata e si costruisce una storia al risveglio. Oggi questo gruppo di ipotesi è un po’ meno accreditato rispetto al passato”, osserva Bernardi.
Anche il secondo filone di congetture non attribuisce significati particolari ai sogni, ma ipotizza che questi riflettano altre funzioni del sonno. “Sappiamo per esempio che dormire è importante per il consolidamento delle memorie: quello che noi apprendiamo viene rielaborato e rafforzato durante il sonno e il giorno successivo noi abbiamo una memoria più forte di quello che abbiamo appreso”. Un altro esempio riguarda le emozioni: “Sembra che il sonno Rem “ripulisca” i ricordi dalle emozioni. Così, se andiamo a letto tristi o arrabbiati, il giorno seguente ne avremo ancora memoria, ma l’emozione sembrerà più lontana”. Da qui probabilmente il suggerimento popolare di “dormirci sopra” prima di prendere una decisione importante.
“Un’ipotesi è quindi che i sogni siano un prodotto di questi processi, che non abbiano alcuna funzione ma riflettano il lavoro del cervello su altro”, spiega l’esperto.
Infine, un terzo gruppo di ipotesi immagina che i sogni abbiano di per sé una funzione, vantaggiosa dal punto di vista evolutivo e che potrebbe essere per esempio legata agli aspetti sociali. “In questo caso si crede che il sogno funga da ambiente virtuale in cui apprendere o verificare alcune esperienze”, esemplifica l’esperto. Quest’ipotesi è sostenuta da diversi ricercatori, ma non è priva di punti interrogativi. “Ci si potrebbe per esempio chiedere che vantaggio ci possa essere nel volare”.
TweakDreams
Nei prossimi 5 anni TweakDreams, che si inserisce in questo background, analizzerà l’attività onirica dei partecipanti allo studio per raccogliere una mole di dati sufficiente per l’analisi statistica. “Abbiamo selezionato volontari giovani, 35 anni al massimo, e privi di patologie – spiega Bernardi – Questo perché il lavoro, pur non essendo invasivo, sarà molto impegnativo per loro: saranno svegliati 15-20 volte per notte, subito dopo aver introdotto una stimolazione”.
Se l’esperimento dovesse funzionare, l’intenzione è di coinvolgere anche persone con età più avanzata, magari con alcune patologie, che potrebbero diventare i casi in cui l’applicazione è più interessante.
I risultati di TweakDreams su individui sani potrebbero per esempio aiutare nei casi di Alzheimer o Parkinson. È stato per esempio dimostrato che nel primo c’è un’alterazione a livello locale del sonno. “Il peggioramento della qualità del sonno precede addirittura di vari anni la comparsa delle manifestazioni della malattia – ricorda il ricercatore – Questo disturbo non sembra colpire tutto il cervello nello stesso modo, ma alcune regioni più di altre. Abbiamo quindi l’interesse a capire se queste alterazioni possono essere in qualche modo compensate o rallentate per ritardare la comparsa dell’Alzheimer”.
Il legame sembra essere il fatto che il sonno tra le sue varie funzioni “pulisce” il cervello dalle scorie che si depositano durante le attività di veglia e sappiamo che l’Alzheimer è dovuto all’accumulo di alcune proteine nel cervello. “Probabilmente si tratta di un meccanismo bidirezionale: il sonno di bassa qualità favorisce la comparsa dell’Alzheimer e probabilmente quando si sviluppa la demenza e quindi c’è questo accumulo ulteriore nel cervello, peggiora ulteriormente il sonno”.
La malattia di Parkinson, invece, spesso si associa a un disturbo del sonno Rem che a sua volta dà luogo a un’alterazione dei sogni, che diventano più aggressivi, spesso con animali feroci. “Non sappiamo bene perché questo succeda – afferma Bernardi – Per provare a capirlo, stiamo sviluppando, in collaborazione con l’Università di Camerino, una App per smartphone che permetta di fare una sorta di diario dei sogni perché vogliamo vedere se è possibile capire, dai sogni che la persona raccoglie al mattino attraverso il confronto di varie caratteristiche, se il sogno è più simile a quello di una persona completamente sana oppure no”.
Attenzione agli addormentamenti
Sebbene esista una certa variabilità individuale, si dice che ciascuno debba dormire circa 8 ore. “Si tratta di una media: a qualcuno ne basteranno 6 o 7, altri avranno bisogno di 8-9. Attenzione però a chi dorme troppo o troppo poco: è un indicatore di patologia”.
Normalmente, se una sera facciamo le ore piccole, il nostro cervello recupera poco alla volta durante le notti successive. Se però la carenza di sonno diventa cronica, può essere pericolosa: “È abbastanza subdola, perché spesso chi ha sonno insufficiente non se ne accorge. Facciamo piccoli errori, abbiamo delle distrazioni che attribuiamo a altro. In realtà queste sono dovute al fatto che il nostro cervello si sta parzialmente addormentando, per un periodo limitato di tempo. Abbiamo visto che quando il cervello si affatica, nonostante si sia svegli, ci sono delle parti che si addormentano. Questo ha chiaramente un effetto negativo su ciò che stiamo facendo, anche se non ce ne accorgiamo”.
Le regioni che sembrano essere più vulnerabili a questo affaticamento sono quelle normalmente molto attive durante il giorno, come le cortecce frontali dedicate al ragionamento, alle decisioni e all’attenzione. Si possono poi addormentare altre regioni in base a quello che stiamo facendo: un compito che richiede attenzione ma è ripetitivo affatica sempre le stesse regioni, che possono quindi mostrare segni di sonno locale. “Questo ci dice che probabilmente non ha senso fare un compito troppo a lungo, ma è necessario predisporre delle pause per permettere al cervello di recuperare.
L’affaticamento altrimenti ci rallenta sempre di più e ci fa fare errori”, conclude l’esperto.
In alto: foto Andrea Piacquadio da Pexels