In Colorado stanno realizzando un hearing device che sfrutta i nervi della lingua per mettere le parole in bocca ai non-udenti. Una soluzione low-cost e che potrà escludere alcuni interventi chirurgici.
Nel prossimo futuro i non-udenti sentiranno con la bocca, grazie alle potenzialità, per molti inaspettate, della lingua. Sembra difficile da credere e invece è tutto vero. L’innovazione arriva dalla Colorado State University dove un team di ingegneri e neuroscienziati ha sviluppato un apparecchio acustico hi-tech che non si mette all’interno dell’orecchio ma sulla lingua. Tutto senza stimolare direttamente il nervo acustico, come fanno invece i principali sistemi cocleari moderni.
Come funziona
Un microfono collegato a un auricolare Bluetooth, fissato vicino all’orecchio, capterà i suoni per inviarli ad un processore vocale capace di analizzarli e trasmetterli, sotto forma di impulsi elettrici, a un elettrodo appoggiato sulla lingua. Questo hearing device permetterà agli utenti di sentire una sorta di formicolio e vibrazione che il cervello potrà interpretare e tramutare, ad esempio, nelle parole pronunciate da chi sta accanto al non-udente.
Del resto la lingua umana è particolarmente ricettiva grazie alle migliaia di nervi che possiede. Così come l’area del cervello in grado d’interpretare le sue sensazioni tattili è una di quelle più capaci di decodificare informazioni complesse e articolate. Una miscela perfetta su cui lavorare.
Il capo-progetto (che ha lavorato per la NASA)
Per proseguire la ricerca è stato depositato un brevetto ed è nata una startup, Sapien LLC, che si dedicherà esclusivamente allo sviluppo del device. «È una vera e possibile rivoluzione» dice John Williams, professore associato presso la Colorado State University e capo del progetto: «Grazie a questa nuova opportunità si potrà iniziare a escludere l’intervento chirurgico proponendo una soluzione meno invasiva e low-cost».
Williams è un’ingegnere meccanico che ha speso parte della sua carriera professionale lavorando per la NASA dove disegnava e costruiva, con successo, sistemi elettrici/propulsivi per viaggi spaziali. «Dopo aver vinto numerose sfide in quel campo sentivo il bisogno di misurarmi con qualcosa di altrettanto difficile». Così ha trovato nella neuroscienza i giusti stimoli: «È molto affascinante scoprire come il cervello possa essere allenato a ricevere le informazioni in modi alternativi e non comuni».