Misura appena 150 nanometri, ben 100 volte più sottile della pellicola per alimenti che usiamo in cucina
È tutta italiana la scoperta (e realizzazione) del transistor più sottile al mondo: 150 nanometri, ben 100 volte più sottile della pellicola per alimenti che usiamo in cucina.
A cosa serve un transistor tanto sottile?
“Un dispositivo così sottile è adatto a superfici facilmente deformabili, come la pelle”, afferma Mario Caironi dell’Istituto italiano di tecnologia del centro di Milano (Cnst). E una delle possibile applicazioni cui guardano i ricercatori è proprio quella dei dispositivi indossabili. Abbiamo tutti in mente quanto siano scomodi gli elettrodi che servono per l’elettrocardiogramma, per esempio: sono ingombranti, hanno il filo, necessitano di un gel per far aderire le ventose al nostro corpo. L’effetto sulla pelle del transistor ultrasottile sarà invece simile a quello di un tatuaggio: senza spessore percepito, trasparente, praticamente impercettibile.
La linea di ricerca del laboratorio di Caironi, che si chiama Printed and Mulecular Electronics, è infatti studiare e sviluppare materiali alternativi per l’elettronica a base carbonio, che possono essere trattati come veri e propri inchiostri. La tecnica di stampa utilizzata riesce a creare circuiteria elettronica a alti volumi e bassi costi, anche su supporti non convenzionali.
“La scoperta è stata possibile grazie alla collaborazione interna all’istituto – continua Caironi – Il laboratorio di Virgilio Mattoli a Pontedera si occupa di nanomembrane, mentre noi siamo esperti di elettronica stampata”. Fondamentale l’intuizione di due giovani ricercatori, Fabrizio Antonio Viola e Jonathan Barsotti: “Hanno pensato di utilizzare le sottilissime membrane prodotte a Pontedera non come supporto, ma come elemento funzionale – spiega l’esperto –. In questo modo siamo riusciti a realizzare un dispositivo auto-supportante e quindi a ridurre al minimo lo spessore totale”.
Finora elettrodo e circuito erano infatti incapsulati all’interno di un substrato, che in questo caso diventa un elemento del dispositivo stesso. Quello che si guadagna in maneggevolezza, però, si perde in protezione: “Siccome i materiali utilizzati sono a base carbonio, questi interagiscono con il vapore acqueo e l’ossigeno, naturalmente presenti nell’ambiente – ricorda Caironi – Abbiamo quindi dovuto verificare che questo dispositivo sopravvivesse nell’ambiente e abbiamo dimostrato, in laboratorio, una stabilità almeno di 24 ore. Si tratta di un risultato molto importante e il tempo registrato è compatibile con un’applicazione reale, come il monitoraggio di un segnale elettro-biologico sulla pelle”. Il dispositivo è stato testato anche per continuare a funzionare nonostante la crescita di peli sulla pelle. Anche in questo caso i risultati sono stati positivi.
Le sfide future
Un transistor è composto da un elettrodo che capta il segnale e dalla circuiteria necessaria per elaborarlo e trasmetterlo a un computer o un cellulare. In questo momento un limite riguarda proprio l’estensione della superficie dedicata ai circuiti. Mentre il sensore ultrasottile può occupare al massimo un centimetro quadrato, questi richiedono infatti un’estensione ben maggiore. “Se parliamo di qualcosa di molto semplice, direi che riusciamo a rimanere nel centimetro quadrato, ma per un meccanismo più complesso, in grado di effettuare operazioni più elaborate, l’area richiesta cresce – ammette Caironi – Questo perché si tratta di un dispositivo molto spinto nella sua dimensione verticale, meno in quella laterale. Stiamo lavorando proprio per ridurre l’estensione del transistor affinché si possano migliorare anche le performance del dispositivo”.
La seconda sfida riguarda le frequenze: “Siamo stati i primi a costruire un transistor su polimeri organici stampati che funziona vicino al range delle ultra alte frequenze ; si tratta di un record in questo tipo di tecnologie”, afferma l’esperto. Il limite, però, è che non è possibile la trasmissione dei dati via bluetooth: “Al momento abbiamo adottato una soluzione ibrida: per la parte di contatto elettrico e la struttura del segnale si usa questa struttura ultrasottile, mentre la parte di trasmissione dati è invece composta da elettronica standard, che può interconnettersi al transistor ultrasottile”. Si tratta di una soluzione di passaggio: il dispositivo al momento è stato testato solo in laboratorio e prima che possa diventare qualcosa di utilizzabile su larga scala servono ancora molti passaggi.
Non manca infine l’attenzione alla sostenibilità: “La nostra è una tecnica di stampa meno energivora rispetto al silicio: riusciamo a ottenere un uso più efficace dei materiali, con meno scarto. Si sta puntando anche a ridurre gli impatti della sintesi dei materiali utilizzando per esempio meno solventi, oppure prodotti non tossici. E poi stiamo ragionando sul fine vita, sullo smaltimento: questo dispositivo non deve contribuire all’inquinamento. Per questo stiamo studiando soluzioni con circuiteria stampata biodegradabile”.