Pietro Schirano ha lavorato in Facebook e in Uber a San Francisco. Poi la chiamata da New York, dove oggi vive e si occupa di intelligenza artificiale per la fintech Brex. Nuova puntata della rubrica Italiani dell’altro mondo
Se la ricorda ancora quella domanda: «Perché non rimani qua, in Italia?». Il padre lo stava accompagnando all’aeroporto, dove avrebbe preso il volo per Amsterdam. «Non ti so spiegare il perché – gli ha risposto -. Ma credo che questo sarà il trampolino di lancio per andare a lavorare negli Stati Uniti». Pietro Schirano aveva ragione, ma avrebbe dovuto attendere qualche anno, bussando a molte porte di startup in Olanda, prima di farsi notare da qualcuno Oltreoceano. Classe 1989 di Pulsano, vicino Taranto, ha lavorato in Facebook e Uber a San Francisco, per poi trasferirsi a New York, dove oggi guida una startup interna della fintech Brex, occupandosi di intelligenza artificiale. Negli anni dei primi iPhone si è innamorato, come tanti, del brand Apple. «Ma, come si dice, never meet your heroes». Su quell’aereo Schirano già sognava un lavoro a Cupertino, ma la vita l’ha portato in altri headquarter. Per la rubrica Italiani dell’altro mondo, StartupItalia torna negli Stati Uniti.
In cerca di startup
Anche Pietro Schirano si ricorda di una passione precoce per la tecnologia. La prima Nintendo, il primo computer. «Ci passavo le ore. Non tanto a programmare, ma a scoprire piccole cose nuove ogni giorno. Quando ho avviato quel Compaq ho scoperto una macchina magica. La stessa sensazione che avrei provato anni dopo con l’AI». A scuola gli piacevano le materie scientifiche, tanto da classificarsi nelle prime posizioni alle Olimpiadi di matematica. Al liceo l’impatto con l’informatica, dove agli studenti si insegnava a programmare con il linguaggio Assembly. «Era la base-base-base. Non era comunque una competenza utile nel mondo del lavoro», commenta oggi dopo anni da sviluppatore in alcune delle Big Tech più innovative del pianeta.
A Milano Pietro Schirano ha frequentato la triennale al Politecnico, scegliendo però ingegneria energetica e non informatica. «Tre dei miei professori erano premi Nobel. Nella vita ho sempre cercato di circondarmi di persone intelligenti e questo vale anche oggi che vivo in America». Subito dopo la laurea, ha fatto esperienze lavorative tutt’altro che entusiasmanti. Così si è buttato, acquistando quel biglietto aereo per Amsterdam. Una città a caso sul mappamondo? «Nel 2011 era la capitale europea delle startup: c’erano Uber, Google e Booking con i primi uffici. Là ho iniziato a bussare alla porta di molte aziende». A farlo accomodare è stata un’agenzia viaggi, Hubskip, che oltre dieci anni fa utilizzava già l’intelligenza artificiale per prevedere il costo dei voli prima dell’acquisto, per esempio. Come spesso accade con sviluppatori e dipendenti del settore tech il turnover è rapido e la chiamata dall’America è arrivata in pochi anni.
A notarlo è stata OpenTable, società tecnologica che negli Stati Uniti controlla buona parte dei software con cui i ristoranti organizzano le prenotazioni. «Li ho convinti perché avevano visto i miei lavori online», a dimostrazione che sul web chi si promuove alla fine si fa trovare. Da Amsterdam si è spostato parecchi fusi orari indietro, iniziando una nuova vita a San Francisco, in un’epoca diversa. Le Big Tech non erano ancora viste con sospetto e l’ottimismo attorno a tutto quel che era digitale rimaneva intatto. «In Silicon Valley resta forte la cultura dei pirati. Non parlo ovviamente criminali, ma di senso di libertà. Lì si vive sapendo che tutto è possibile e che le leggi non sono ostacoli. A pensarci tutte le startup di successo hanno operato al limite: Airbnb, Uber, Robinhood. È la mentalità che spinge l’America». Tra queste società ce n’è una che ha segnato un epoca, Facebook. A Menlo Park Pietro Schirano è arrivato negli anni prima dello scandalo di Cambridge Analytica, l’azienda UK che era riuscita a sottrarre dati personali a decine di milioni di persone senza il loro consenso sul social network più grande a fini di propaganda politica.
Gli anni in Facebook
Nel corso dell’intervista Pietro Schirano ci ha trasmesso quanto formativo sia stato quel percorso in Facebook. «Nessuna azienda faceva quel che faceva Facebook. Aveva il controllo totale su quel che succedeva sul cellulare, perché il sistema operativo di Apple iOS dava l’opportunità dei bridges». Tutto quel che una persona cercava online Facebook lo avrebbe saputo o, addirittura, previsto (non che oggi sia molto diverso con questo e altri social). «Poi però pochi anni fa Apple ha introdotto misure di privacy distruggendo il business di Meta. La ragione per cui è in crisi è legato alla Apple, che nel frattempo ha lanciato la propria piattaforma di advertising. Facebook un tempo era fenomenale nel targettizzare, mentre oggi spendi molto di più per risultati peggiori».
Tra 2015 e 2018 Pietro Schirano è stato product designer a Menlo Park. Se ha mai incontrato il Ceo Zuckerberg? Certo che sì. «Mark è una di quelle persone che cambia la chimica dell’aria. Se entra in una stanza lo senti. Sapeva tutto di Facebook, pure se lanciavi un bottone su una superficie visitata dallo 0,1% degli utenti. Sapeva perché voleva sapere. Per i meeting con lui, le zuck review, ci si preparava due mesi prima con le slide. Se duravano pochi minuti significava che erano andati bene. Altrimenti partiva con domande su domande». Dei progetti lanciati, Pietro Schirano si ricorda la giornata degli amici di Facebook: quasi dieci anni fa iniziava il trend dei video sui social. «Uno dei progetti più virali di sempre: nella prima settimana 2 miliardi di video di amici generati. In quell’azienda mi sono formato a livello tecnico. Era l’età dell’oro, quando il social era amato da tutti e noi ci sentivamo al centro di una rivoluzione globale».
Uber e taxi volanti
Dalla rivoluzione delle piattaforme di networking a quella che ha modificato l’aspetto di centinaia di città del mondo. Ci riferiamo all’ondata di Uber, definita dal giornalista Mike Isaac come startup protagonista della storia più pazza della Silicon Valley. «Dopo Facebook sono andato a lavorare in Uber come product designer nel progetto Uber Elevate». Si tratta di una tecnologia poi venduta alla startup Joby Aviation nel 2020 con cui l’azienda puntava a far decollare taxi droni. Fantascientifico, senz’altro, ma la soluzione era pensata per risolvere un problema esistente. «In California il traffico è allucinante: da casa mia a Menlo Park impiegavo un’ora e mezza ogni giorno, per fare una manciata di chilometri. Così in Uber ho imparato come si porta avanti un’azienda». Ad esempio prendendo decisioni molto velocemente, come nelle migliori startup. «Per dare l’idea, a New York abbiamo costruito un finto eliporto nel nostro ufficio e così testare il sistema di check-in in pochissimi secondi».
L’ultimo tassello finora della carriera di Pietro Schirano è posizionato proprio nella Grande Mela, dove è arrivato per lavorare in Brex, una fintech che collabora con tantissime startup con un noto servizio di carte di credito. Quando è stato lanciato ChatGPT, ha rivissuto la sensazione che qualcosa fosse successo. «Così mi sono messo a scrivere un’app in Phyton, un demo di come avremmo potuto utilizzare funzionalità simili a ChatGPT per i nostri clienti. Ne è uscito una bozza di assistente finanziario basato sull’AI. Il Ceo mi ha dato un team e oggi sono alla guida di questa startup interna. Con l’AI si riparte da zero: è un tipo di computing nuovo».