Come stanno cambiando le abitudini degli italiani quando si tratta di informazione? Ne parliamo con Giorgio Zanchini, co-Direttore del Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, in media partnership con StartupItalia. Focus sulla Generazione Z
Di che cos’altro deve occuparsi il giornalismo se non di descrivere il cambiamento del mondo e l’attrito delle faglie politiche, culturali, sociali ed economiche? Ma qui affiora il paradosso: il cambiamento travolge anche il giornalismo, la lettura e la comunicazione, i cui protagonisti sono chiamati a descrivere sé stessi, proponendo soluzioni affinché la potenza della realtà sia ricchezza, e non solo minaccia. Il cambiamento lascia spazio a un deposito indistinto di inquietudine, incertezza e curiosità, ma dal fondo del paesaggio ogni anno a ottobre si distingue un riferimento per decifrare le coordinate e condividere nuove proposte: è il Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, giunto all’undicesima edizione. Una sonda di perlustrazione in territori ignoti per indagare le radici culturali dei fenomeni, scommettendo sul futuro.
LEGGERE PER [ *] Il futuro del giornalismo nell’era degli schermi è il titolo di questa edizione del Festival, mettendo al centro la rivoluzione della lettura. È l’era degli schermi, tra smartphone, tablet, pc, smart tv. Si legge sempre di più sui monitor, testi ibridi, immagini dominanti. I giovani intercettano le notizie su Instagram e TikTok e i libri hanno imparato a parlare con la voce dei podcast.
Ne abbiamo parlato con Giorgio Zanchini, co-Direttore del Festival insieme alla professoressa Lella Mazzoli; giornalista RAI, conduttore radiofonico, televisivo e saggista.
Zanchini, nell’era degli schermi cosa dobbiamo aspettarci dal Festival, quest’anno?
Nelle edizioni precedenti del Festival del Giornalismo Culturale abbiamo girato attorno a un tema fondamentale: come la rivoluzione digitale sta trasformando il modo in cui pratichiamo il giornalismo e come fruiamo dei contenuti. Ogni anno abbiamo scelto dei focus tematici specifici, ma dietro alle quinte rimaneva una domanda: cosa è accaduto al giornalismo nel momento in cui i giovani non leggono più su carta stampata? Che cosa accade ai libri e al giornalismo durante questa profonda trasformazione? Quest’anno prendiamo di petto questo tema, ossia il giornalismo culturale nell’era degli schermi. Lo facciamo attraverso una ricerca molto approfondita condotta dall’Università di Urbino e dalla professoressa Lella Mazzoli. Partiremo dai dati per articolare un grande ragionamento: che cosa è accaduto a chi fa giornalismo, a chi fruisce del giornalismo e a chi legge libri nel momento in cui ci si trasferisce sugli schermi?
Cambiamenti che riguardano anche la plasticità del cervello e lo sviluppo delle sue proprietà…
La modalità di fruizione dei contenuti attraverso la lettura incide a diversi livelli, cervello incluso. Non è un cambiamento neutrale, ma è sostanziale con delle conseguenze da analizzare. Discuteremo anche di questo grazie alla Lectio di Michela Matteoli che spiegherà cosa accade nel cervello quando si legge.
Le verticalità della lettura novecentesca e l’orizzontalità contemporanea nella fruizione dei contenuti: il compromesso è possibile?
Si tratta di una transizione inesorabile e la direzione è definita. Non è una questione di “se” ma di “come”. Penso che il compromesso sia possibile e probabile, perché la conformazione della mente umana e la nostra antropologia richiedono verticalità e orizzontalità. Tuttavia, non vanno negate le difficoltà: in questi giorni abbiamo appreso la notizia che alcuni insegnanti delle scuole medie lamentano il fatto che i bambini fanno molta fatica a leggere ad alta voce. Ormai sono completamente abituati a leggere silenziosamente sugli schermi dei loro smartphone o tablet. Insomma, tante cose vanno ancora capite e i dubbi non mancano.
Una sua previsione?
Sono convinto che la carta stampata avrà uno spazio residuale, le edicole chiudono, le foliazioni dei giornali sono sempre più ridotte, perciò stiamo perdendo l’esperienza di fruizione dei contenuti tipica del ‘900. Ma si andrà verso una convivenza con altre modalità, così come di fatto sta già avvenendo: ad esempio negli Stati Uniti il New York Times pubblica ancora la versione cartacea ma per informare sui fatti di attualità si affida ad altri strumenti, come il web e i podcast. Ci abitueremo ad offerte molto più larghe e articolate, in grado di intercettare diverse fasce di pubblico. Un modello di convivenza di strumenti, con un occhio attento alla sostenibilità economica.
Per l’industria libraria cosa possiamo immaginare?
Bisogna essere cauti quando si fanno previsioni, pensiamo ad esempio al libro elettronico: fino a qualche anno fa si pensava potesse persino superare le versioni cartacee, invece abbiamo visto che non ha incontrato i favori di larghe fasce di lettori. È senz’altro uno strumento comodo ma in fondo non offre nessun contenuto aggiuntivo e qualitativo rispetto ai libri stampati. Per immaginare il futuro dobbiamo partire dalla realtà domandandoci quanto si legge: oggi si legge di più sugli schermi, ma con meno concentrazione e per meno tempo. Si legge un po’ di più attraverso gli audiolibri e i podcast, anche contenuti e articoli lunghi. Quindi ancora una volta la realtà è molto più articolata e complessa, ed è molto difficile capire dove si sta andando. In questa incertezza penso che romanzi e letteratura non avranno più la centralità alla quale siamo abituati.
La sensazione è che siamo a corto di soluzioni, e si proceda per tentativi. Molte domande, poche risposte…
Sì, stiamo procedendo per tentativi ma nessuno sembra ancora avere trovato un modello pienamente convincente e sostenibile. In questo senso gli americani sono un po’ più bravi di noi, perché hanno una forza economica superiore. Stiamo brancolando nel buio e nell’incertezza, investiamo soldi nel digitale ma senza un progetto convincente. L’evidenza dei fatti dice che nei gruppi editoriali stanno prevalendo le grandi aggregazioni trasversali cross mediali, secondo un approccio quantitativo per generare economie di scala. Ma mancano la visione e la progettualità dell’intera industria editoriale.
Gli operatori dell’informazione come si stanno orientando?
Chi appartiene a una generazione non più giovanissima sta cercando di aggiornarsi, di studiare e capire questo mondo per intercettare i gusti del pubblico, soprattutto i più giovani come quelli appartenenti alla generazione Z. Stiamo cercando di adeguare i nostri linguaggi e cogliere i vantaggi della trasformazione in atto. Il discorso è ovviamente molto diverso per le generazioni che sono cresciute in questo contesto storico e che hanno assimilato gli strumenti della comunicazione contemporanea e la capacità di padroneggiare i saperi correlati.
Stiamo definendo delle precise identità dei lettori?
Gli uffici marketing delle grandi case editrici dispongono di strumenti di profilazione molto raffinati e dettagliati per studiare i pubblici di riferimento. E hanno anche capito come usare i social media a livello promozionale e commerciale. Conoscono bene chi sono i loro lettori E stanno capendo che le strade per un libro di successo passano attraverso strumenti nuovi. Basta vedere i tanti casi editoriali di successo internazionale nati su TikTok.