Gli esperti raccontano la vita in condizioni estreme sulla Stazione, una “terra di nessuno” che il Trattato di Washington riconobbe come un’area destinata all’uso scientifico e al libero scambio di informazioni, nel 1959. Situata a 3.230 metri di altitudine, è un grande centro di ricerca multidisciplinare: dalla meteorologia alla climatologia, dall’astrofisica all’astronomia, dal geomagnetismo alla sismologia
Pur vivendo dall’altra parte del mondo, ci sono quattro scienziati italiani che stanno trascorrendo ogni giorno in un contesto simile a quello di un «lockdown» lungo nove mesi. Ai più, i loro nomi diranno nulla o quasi. Alberto Salvati, Luca Ianniello, Andrea Ceinini e Loredana Faraldi sono i protagonisti di un’esperienza destinata a cambiare le loro esistenze. Ma – chissà – probabilmente anche le nostre. Da marzo, la loro vita si svolge sulla Stazione Concordia, nell’altopiano antartico.
Una «terra di nessuno» che il Trattato di Washington riconobbe come un’area destinata all’uso scientifico e al libero scambio di informazioni, nel 1959. Questa base, situata a 3.230 metri di altitudine, è un grande centro di ricerca multidisciplinare. Qui vengono condotti progetti relativi agli ambiti più disparati: dalla meteorologia alla climatologia, dall’astrofisica all’astronomia, dal geomagnetismo alla sismologia. In un’epoca costellata perlopiù dai tagli alla ricerca, la stazione Concordia è un fiore all’occhiello di cui andare fieri. In Italia e (soprattutto) nel resto del mondo.
Concordia: dove siamo?
“Siamo nella regione più fredda della Terra”, racconta Salvati, che di questa pattuglia che annovera anche sette ricercatori francesi e un olandese è il capogruppo. Così sarà fino a novembre, quando il gruppo rientrerà in Italia per lasciare il posto ad altri colleghi, chiamati a portare avanti i progetti di ricerca già avviati e ad attivarne di nuovi. Concordia è l’unica stazione antartica creata e gestita da due diverse nazioni: Italia e Francia. La base è costituita da due torri metalliche che si sollevano su grossi piedi di ferro, unite da un corridoio sospeso. I 12 scienziati vivono su un deserto di ghiaccio a 3.230 metri di altitudine, “ma a causa della latitudine è come se fossimo a circa 4.000 metri”, per dirla con Loredana Faraldi, l’anestesista che si prende cura di questa truppa di ricercatori “estremi”.
Attorno c’è soltanto – si fa per dire – una enorme distesa di ghiaccio. Nessuna traccia di forme di vita animale o vegetale. Nessun altro luogo, a eccezione delle stazioni Amundsen-Scott South Pole (statunitense) e Vostok (russa), è in grado di ospitare ricercatori anche durante il glaciale inverno antartico. Lì dove non piove mai, ad agosto del 2010, il termometro è infatti arrivato a segnare la temperatura record di -93.2 gradi centigradi. Qui il Programma Nazionale per Ricerca in Antartide per la parte italiana – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) e coordinato dal Centro Nazionale delle Ricerche (Cnr) e dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) – e l’Istituto Paul Emile Victor (Ipev) gestiscono le molteplici ricerche. Oltre, naturalmente, all’intera parte logistica.
In che cosa consistono le ricerche?
Ogni giorno, il personale della stazione effettua attività di ricerca all’esterno: questo anche durante l’inverno polare, durante il quale la visibilità si riduce al minimo (a causa del buio) e il manto è un enorme tappeto di ghiaccio. Molteplici le installazioni scientifiche e i progetti di studio, sia italiani sia internazionali, svolti nella base. In cima alla lista ci sono gli studi di glaciologia. Spiega Salvati, giunto alla quarta esperienza personale in Antartide: “Qui è stato effettuato il più grande studio sui cambiamenti climatici, attraverso un carotaggio della calotta glaciale che ha permesso ai cercatori di raggiungere la profondità di 3.300 metri. Grazie a questo esperimento, sfruttando la capacità del ghiaccio di intrappolare l’aria e tutti gli elementi chimici in essa disciolti, è stato possibile ricostruire le caratteristiche climatiche fino a ottocentomila anni fa”.
Un termometro della salute del Pianeta
Ecco spiegato perché, tra le altre cose, gli esperti considerano l’Antartide un termometro della salute del Pianeta. “Se un effetto si riproduce qui, vuol dire che ad altre latitudini ha impatto notevole” aggiunge il capo della spedizione. Grazie agli studi condotti in questa base, sappiamo che le variazioni meteorologiche registrate negli ultimi 150 anni sono senza precedenti. L’obbiettivo dei carotaggi portati avanti in Antartide è quello di conservare la memoria dei ghiacciai. In modo da offrire alle prossime generazioni la possibilità di studiarli e di meglio comprendere quello che potrà essere stato l’impatto dei cambiamenti climatici”.
Diversi sono anche gli studi di fisica dell’atmosfera e astronomia in atto. Il cielo sopra Concordia si presta infatti a questo tipo di ricerche, in ragione della possibilità di osservare molto bene il sole e le stelle durante le estati e le notti polari. Non mancano, infine, le ricerche sul geomagnetismo e sull’origine dei terremoti e quelli in ambito biomedico. “I futuri viaggi spaziali saranno elaborati sulla base dei dati che raccoglieremo anche nel corso della nostra spedizione”, dice con un pizzico di orgoglio Salvati.
Un osservatorio “privilegiato”
Proprio per questa ragione, anche l’Agenzia Spaziale Europea guarda con interesse alle attività portate avanti nella base Concordia. “L’ambiente estremo del plateau antartico e la contemporanea convivenza in un gruppo molto ristretto di persone rendono Concordia un campo di ricerca privilegiato per le missioni spaziali. Sia da un punto di vista psicologico sia sul piano fisiopatologico”, racconta Faraldi che, mentre i suoi colleghi dell’ospedale Niguarda di Milano provavano a tamponare l’arrivo di Covid-19, dava il la alla sua prima missione antartica. In effetti, a pensarci bene, quasi tutte le condizioni di vita che si affrontano in questa base sono uniche. Dalla mancanza di contatti sociali al confinamento, fino alla mancanza di privacy e alla monotonia: sociale e ambientale. Ma non solo.
Vivendo in condizioni così estreme, l’essere umano va incontro a cambiamenti dello stato immunitario e a problemi del sonno legati all’alterazione del ritmo circadiano per assenza di luce naturale. Per questo, rimarca l’esperta, “mantenere orari prestabiliti è importantissimo, poiché consente di rispettare un ritmo circadiano che durante la notte polare viene a mancare”. Al termine di questa spedizione, “avremo qualche informazione in più relativamente all’impatto di una simile esperienza sul sonno e dell’uso dei probiotici sullo stress e sulla salute del sistema immunitario. Valuteremo inoltre come cambiano sensi quali l’olfatto e il gusto”, aggiunge Faraldi. In un contesto simile, inoltre non meno importante è l’approccio psicologico alla spedizione.
La vita all’interno della base
“La tolleranza, il coraggio, l’ironia, la capacità di ascoltare e di dare il giusto peso alle cose diventano fondamentali per arrivare al termine della missione senza troppi scompensi”, racconta l’anestistista, con il sorriso sul volto. Anche da qui, per esempio, deriva la centralità della figura della cuoca: quest’anno francese. “Il suo compito, oltre a nutrirci, è quello di favorire la socialità e l’amalgama del gruppo”. Nella Concordia, d’altra parte, si vive in un contesto da “Grande Fratello”. “Basti pensare che le persone a noi più vicine non stanno sulla Terra, ma sulla stazione spaziale orbitante. La quale passa all’incirca a 400 chilometri sulle nostre teste” spiega Salvati, nel tentativo di rendere l’idea di un isolamento senza eguali. “Qualunque cosa accada, non possiamo né andar via né essere soccorsi da qualcuno”.
Senza lasciare traccia
A fronte di simili condizioni atmosferiche, è difficile anche far arrivare gli aerei. Per questo motivo la base viene rifornita di carburante, cibo e di tutto il necessario per la sopravvivenza da novembre a febbraio. Mesi duranti i quali i è possibile effettuare atterraggi aerei sul plateau antartico e ricevere le traverse (lunghe carovane di cingolati che partono dalla costa cariche di materiali scientifico e di manutenzione della base).
All’interno della Stazione, grazie alla modernità degli impianti installati, la dispersione di calore è minima e il rispetto dell’ambiente un dogma da cui non è possibile derogare. “Abbiamo una centrale elettrica che richiede di enormi quantità di combustibile per essere alimentata” chiosa Salvati. “Col calore sviluppato, però, riusciamo a riscaldare tutti gli spazi. Pensi che, nonostante le temperature, all’interno vivo con una t-shirt. Inoltre riusciamo a differenziare e a portare via tutti i rifiuti, in modo da non lasciare quasi traccia del nostro passaggio da questo luogo”.