Adidas, Tesla, Apple, Samsung, Microsoft. Sempre più aziende introdurranno robot nelle loro catene di montaggio. È inevitabile ma anche una grande opportunità: quella di ripensare l’occupazione.
“Al mio posto hanno messo a lavorare un robot.” La frase che probabilmente circa 60 mila lavoratori in Cina hanno pronunciato alle loro famiglie dopo che l’azienda di elettronica Foxconn ha deciso di sostituirli con una nuova serie di robot industriali. Rapidi, precisi, instancabili permetteranno di soddisfare le crescenti richieste di aziende come Apple, Samsung e Microsoft abbattendo notevolmente i costi.
Adidas torna a produrre in Germania dopo 20 anni: è l’Industria 4.0 (e apre scenari inediti)
Di contro, Xu Yulian, tra i responsabili della fabbrica, ha dichiarato che i robot verranno impiegati per gestire compiti altamente ripetitivi: «alleggeriranno i lavoratori e favoriranno attività meno meccaniche e di più alto valore senza incidere negativamente sull’occupazione a lungo termine». Un approccio logico, che tuttavia spinge a un ripensamento totale del mondo del lavoro, delle competenze richieste e dei percorsi da seguire per soddisfare l’industria 4.0. Un cambiamento non così “automatico” e scontato per i lavoratori, che al momento rimangono disoccupati.
I robot e il lavoro
Di robot si parla ormai dappertutto e vengono introdotti con frequenza crescente in quasi tutti gli ambiti lavorativi. Ci rendiamo conto con rinnovata consapevolezza che la grande maggioranza dei lavori si basano sulla routine, sulla ripetizione di azioni sempre uguali. Con l’avanzare dell’elettronica, del software e dell’intelligenza artificiale, tutto questo può essere delegato a sistemi automatizzati con notevoli vantaggi per le aziende in termini di produttività, efficienza e risparmio economico.
Logiche di mercato che non sfuggono a nessuna azienda e con cui la società è chiamata a confrontarsi.
L’introduzione dei robot nelle industrie ha un impatto così profondo da scardinare in pochissimo tempo piani durati da decenni. Basta dare un’occhiata al caso Adidas, la famosa azienda sportiva tedesca che da 20 anni aveva “abbandonato” la Germania spostando gli impianti produttivi in Asia alla ricerca di manifattura a basso costo. Adesso, risparmio è sinonimo di digitale e robotica e, grazie a questi, Adidas ha da poco annunciato che tornerà nel paese natìo aprendo una nuova generazione di industrie: le Speedfactory, totalmente automatizzate. Uno strano rientro in Europa che non necessariamente si accompagna a più lavoro, ma ad un lavoro diverso, più vicino al business plan dell’azienda che alle speranze degli operai.
La Gigafactory di Tesla
Avere operai robotici significa poter fare molto di più, seguendo scrupolosamente le linee guida imposte dall’alto, gestire quantità enormi di prodotti in spazi immensi senza lasciarsi sfuggire nulla. Assomiglia più all’avere un esercito che una schiera di operai. E per gestire le fabbriche del futuro, una precisione senza precedenti sembra davvero necessaria come nel caso della Gigafactory che Tesla si prepara ad inaugurare a breve.
Leggi: Di cosa parliamo quando parliamo di Industria 4.0 (20 cose da sapere)
Una volta ultimata, sarà il più grande edificio del mondo in termini di area e il secondo per volume, e verrà utilizzata per realizzare le batterie progettate per le sue auto elettriche e per il sostentamento di industrie e privati come le Powerwall e le Powerpack. Al suo interno sono già attivi migliaia di robot sia per il montaggio che per lo smistamento di componenti, tutti coordinati al secondo.
I robot e i servizi per i clienti
E parlando di smistamento, non possiamo non citare Amazon che già da alcuni anni nei suoi centri usa robot per preparare i prodotti ordinati dai clienti online, mettendoli a disposizione dei corrieri di distribuzione. Corrieri che potrebbero presto essere affiancati…da altri robot, più precisamente droni progettati per consegne rapide entro 30 minuti dall’ordine. Il piano si chiama Amazon Prime Air ed è in fase di ottimizzazione in USA, Regno Unito, Austria e Israele.
I robot possono essere impiegati non solo nella produzione industriale e nelle attività connesse, ma anche per fornire servizi
Avete presente Uber, tanto criticata eppure capace di superare General Motors per fatturato e valutata a circa 62.5 miliardi di dollari? Il servizio è nato come evoluzione economicamente più aggressiva del carsharing (BlaBlaCar per intenderci) con cittadini pronti a improvvisarsi autisti di lusso. Ma il futuro di Uber è tutt’altro che umano. L’azienda punta a schierare una flotta di macchine a guida autonoma, gestite elettronicamente da sistemi di elaborazione del traffico per portare i clienti a destinazione senza autisti come “intermediari”.
Uber al momento sta stringendo importanti accordi con Google (altro protagonista del settore), Volvo, Ford e Lyft per riformare la legislazione e aprire letteralmente la strada ad una guida autonoma certificata. E intanto ha ordinato circa 100 mila Mercedes Classe S per sperimentare la tecnologia necessaria.
I cobot, i robot cooperativi
Mentre in Uber gli autisti potrebbero essere sostituiti da software di guida autonoma, esistono realtà che vedono nei robot dei collaboratori in grado di affiancare invece che sostituire i lavoratori umani. E’ il caso di Rethink Robotics, azienda produttrice di sistemi di automazione particolarmente curati anche nell’estetica dove è chiaro l’intento di metterli in “relazione” con gli operai.
Questi sistemi vengono definiti cobot, robot collaborativi e svolgono alcune funzioni ripetitive permettendo agli operai umani di perdere meno tempo, per dedicarsi così a operazioni dove è necessaria una chiara pianificazione e riflessione “in carne ed ossa”. I cobot dell’azienda vengono attualmente usati soprattutto nell’industria automobilistica oppure acquistati massivamente in Cina (ad esempio da Shangai Electric) per soddisfare il fabbisogno manifatturiero della nazione.
La Ferrari del settore tuttavia è rappresentata dai bracci robotici dell’azienda tedesca Kuka (acronimo per Keller und Knappich Augsburg), tra i sistemi più avanzati dal mondo capaci di offrire un’accuratezza nel movimento tutt’ora insuperabile. Vengono utilizzati nei più disparati settori, da quello automobilistico alle lavorazioni di materiali, fino a quello del cibo e delle bevande. Persino piccole aziende ritrovatesi sull’orlo del fallimento sono riuscite a tornare competitive introducendo sistemi robotici come nel caso del birrificio tedesco Badische Staatsbrauerei Rothaus AG. I Kuka sono diventati ormai un’emblema dei robot moderni, mostrati persino fuori dalle loro industrie a giocare a ping pong con il campione (umano) Timo Boll.
Il robot “domestico”
E finiamo questo viaggio proprio col gioco e con un robot fresco fresco di presentazione: si chiama Zenbo ed è progettato per essere un robot da famiglia. E’ stato appena annunciato da Asus e a guardare questo video sembra di avere di fronte un film di fantascienza:
[youtube id=”Gz5bWCna5uM”]
I robot sono qui, senza dubbio pronti a intromettersi quasi senza permesso nelle nostre attività quotidiane. La rapidità con cui stanno diffondendosi ci permette di stimare quanto velocemente si muove l’innovazione tecnologica al giorno d’oggi, lasciandoci talvolta senza fiato, spaesati e incapaci di contestualizzare ciò che sta accadendo, soprattutto in ambito economico e sociale.
Secondo il fisico Stephen Hawking ad esempio, in un mondo in cui le macchine lavorano al posto nostro, una possibile soluzione potrebbe essere distribuire equamente le risorse (l’idea del reddito minimo universale). Il vero problema in quel caso non sarebbero le macchine in sè quanto un capitalismo incapace di rinunciare ai monopoli. Il futuro è ricco di novità che si pongono al contempo come sfide alla nostra comfort zone, dovunque si trovi il nostro divano preferito.
I robot probabilmente ci sostituiranno nelle mansioni “manuali” e ripetitive.
Hanno l’economia e il profitto delle aziende dalla loro parte. Ma noi potremmo sfruttare questa occasione per tornare padroni di ciò che ci rende umani, cioè del nostro intelletto, della creatività e della capacità di progettare soluzioni. E possiamo farlo già da ora, imparando a capire non la velocità del progresso ma la sua qualità, i suoi effetti, i limiti e le opportunità che ne derivano. Capire non è una perdita di tempo, anche se tutti sembrano correre.
Valentino Megale