Durante la Milano Digital Week il filosofo ha tenuto una lezione sulla storia dell’uomo strettamente legata alla storia della tecnologia
Tra i tanti convegni, workshop e talk che si sono tenuti alla Milano Digital Week (qui al completo), ce n’è uno che ha lasciato a bocca aperta i presenti (un numero elevato). Si è tornati a casa con la consapevolezza di aver imparato da un grande professore e con molti spunti su cui riflettere. Si tratta di Carlo Sini, filosofo e accademico che, in Triennale ha tenuto l’incontro ‘Uomo, macchina, automa: Il sogno dell’automa, della macchina pensante, è antico, ma mai come oggi suscita speranze e timori, desideri e riprovazioni‘.
Le domande giuste
Il professore giunge a capovolgere i termini del problema: “Non si tratta di chiedersi se la tecnologia stia intaccando la nostra umanità, ma come la tecnica ci ha originariamente resi umani, a partire dalle nostre prime protesi “tecniche”: il linguaggio e la scrittura”. Il professore è partito dagli ominidi e dalla loro evoluzione in Homo Sapiens: “Per capire le cose è importante andare più indietro che si può e non più avanti. uomo e tecnica sono la medesima cosa. Sono il medesimo luogo di origine e sviluppo e azione. La tecnica non è diversa dalla storia dell’uomo. Uomo e tecnica sono la medesima cosa. Sono il medesimo luogo di origine, di sviluppo e di azione. La storia della tecnica non è diversa dalla storia dell’uomo”. Da qui, si è proseguito con il parlare di automatismo soprattutto facendo riferimento a chi lo critica: “L’automatismo non va fermato. Perché l’uomo dovrebbe tornare indietro? Serve per migliorare degli strumenti che hanno dei limiti. Non dobbiamo abbassare il livello della tecnica ma dobbiamo alzarlo. Ma serve un pensiero che sappia cosa fare”. Secondo il professor Sini, la cultura è un automa: “La cultura è una macchina e si muove da sola”, ha affermato il professor Sini. “Ci sarà sempre la nascita di nuovi strumenti che sopperiscano al limite di quelli che li precedono. La cultura è un automa.
Dipende tutto dall’uomo
E qui il professore torna alla centralità dell’uomo, del suo volere e della sua conoscenza: “Lo strumento educa la nostra intelligenza, cioè la tira fuori, lo strumento può incrementare le conoscenze e incrementare se stesso. Però, crea anche pericoli. Qui si tratta di calcolare e osservare quali conseguenze porti la tecnica. Non ci sono cose giuste e belle o brutte e cattive a priori. Non è possibile prevedere davvero le conseguenze, perché la previsione viene fatta da strumenti che abbiamo oggi e che ci hanno indotto a questa intelligenza. Ma l’essere umano è, per sua natura, previsionale. Bisogna farlo con saggezza”. Secondo il professore si deve usare l’occhio del presente per renderlo consapevole di quello che non vede, e per questo deve raccoglie i disagi della gente. “Siamo i prodotti della tecnologia, ma possiamo fare un passo al lato e vedere quello che non siamo riusciti a fare. Il problema è che non diventi una parata propagandistica politica ma sia un impegno serio”.
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