L’azienda, partita come una società di telecomunicazioni, è diventata molto di più. Il suo Vision Fund è tra i più attivi al mondo e le mosse di Masayoshi Son tracciano le nuove mappe dell’innovazione globale. Ecco come
Bill Gates, Steve Jobs o Warren Buffett? O magari un pochino di tutti e tre. Negli ultimi anni il fondatore di SoftBank è stato accostato (o autoaccostato) per motivi diversi ai nomi del gotha tecnologico e finanziario mondiale e in particolare statunitense. Ma il suo nome è al cento per cento giapponese. Stiamo parlando di Masayoshi Son, l’uomo che da semplice imprenditore è diventato uno dei principali burattinai del mondo tech grazie anche ai rapporti internazionali economici e politici intessuti nel corso del tempo in giro per il globo.
Masayoshi Son
La politica di SoftBank
Chi si occupa di tecnologia e innovazione non può più fare a meno di occuparsi di SoftBank. È così già da tempo, ma nell’ultimo periodo il colosso giapponese è sempre più iperattivo. Attraverso il suo braccio “armato” Vision Fund, Masayoshi Son gioca su più tavoli contemporaneamente e sta estendendo a macchia d’olio la sua sfera d’influenza, passando dall’intelligenza artificiale al fintech, dalle infrastrutture alle auto dotate di tecnologia a guida autonoma. E dire che nell’ormai lontano 1981 SoftBank sembrava una semplice società di telecomunicazioni, con soli due impiegati part time alle dipendenze di Son.
Ma da qui, con una buona dose di coraggio mista a spregiudicatezza, Son è riuscito a costruire il suo impero. In pochi anni SoftBank arrivò a distribuire l’80 per cento dei software per pc in Giappone. Sin dagli anni Novanta Son inizia a estendere il suo raggio d’azione, tessendo i primi fili di una ramificata tela di rapporti internazionali che gli hanno consentito in tempi più recenti di entrare con prepotenza nei piani di investimento di aziende importanti o di interi Paesi. Nel 1995 investe in Yahoo!, nel 1999 in Alibaba, il gigante cinese guidato (ancora per qualche mese) da Jack Ma. Un ingresso, quello in Alibaba, che ha ripagato ampiamente le aspettative di un lungimirante Son, visto che ora il suo pacchetto del 28 per cento vale circa 140 miliardi di dollari. La diversificazione è sempre stata la parola d’ordine di SoftBank, che nel 2005 diventa proprietaria della squadra professionistica di baseball dei Fukuoka SoftBank Hawks.
L’anno seguente è la volta dell’acquisizione di Vodafone Japan, mentre nel 2008 viene annunciata la collaborazione con Apple per distribuire l’iPhone in Giappone. In tempi più recenti, Son si sta concentrando in particolare sul mondo tech. L’impulso arriva dalla creazione del Vision Fund, il principale fondo di investimento della compagnia. Non solo. Si tratta del fondo di investimento più grande del settore, che si giova di importanti alleanze strategiche e geopolitiche. Basti pensare al ruolo decisivo per la sua creazione del principe ereditario Muhammad bin Salman, che sta trasformando il volto dell’Arabia Saudita con il suo piano Vision 2030 che nei piani dell’erede reale dovrebbe rendere il Paese del Golfo indipendente dal settore petrolifero. Bin Salman ha investito circa 45 miliardi di euro in Vision Fund, con altre ingenti somme arrivate da un fondo sovrano di Abu Dhabi.
Una Silicon Valley virtuale
Numeri da capogiro, che consentono a Son di affacciarsi qua e là condizionando anche interi settori di business. Qualche esempio? Nel 2017 ha comprato le aziende di robotica Boston Dynamics e Shaft, rispondendo alla convinzione di Son secondo cui l’intelligenza artificiale occuperà un ruolo sempre più preponderante sulla società del terzo millennio. Di scuola il caso delle app di trasporto auto, con gli investimenti più che sostanziosi sia in Uber che nei suoi rivali cinesi di Didi Chuxing o gli ex rivali del Sud Est asiatico di Grab. Per non parlare delle ultime mosse di questi giorni, con l’accordo con Toyota per lo sviluppo di auto a guida autonoma.
SoftBank sta creando quella che Son definisce una “Silicon Valley virtuale” in grado di dare un’alternativa rapida ed efficace a startup e aziende che altrimenti verrebbero fagocitate dai soliti colossi made in Usa (Google, Facebook o Amazon) oppure made in China (Alibaba, Tencent o Baidu). L’enorme liquidità e la spregiudicata struttura gerarchicamente snella consente infatti a SoftBank di muoversi con estrema rapidità e risolutezza. Son si sta muovendo da gambler, operando più scommesse contemporaneamente che nei suoi piani dovrebbero portare risultati clamorosi nel giro di un decennio, in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale. Nel frattempo di vedere se riuscirà a passare all’incasso, Son sta disponendo sul tavolo tante carte. Qualcuna potrebbe rivelarsi vincente.