Lavora in una società quotata al Nasdaq come VP dell’IC Design Engineering
«Qui è molto più facile». Parliamo di Los Angeles, dove i vicini di casa sono realtà come SpaceX, Tesla e Rivian. Basta però parlare qualche minuto con Marco Giandalia, un uomo con oltre 20 anni di esperienza nel mondo dei microchip, per capire che la facilità di raccogliere capitali richiede dall’altra parte team forti, con competenze solide per scalare. In qualità di VP dell’IC Design Engineering di Navitas, Giandalia ha raccontato a StartupItalia la propria storia di professionista prima e manager poi. Dagli stabilimenti milanesi della Pirelli fino agli Stati Uniti, dove è entrato a fare parte di una società quotata al Nasdaq con 1,3 miliardi di dollari. Il tema dei semiconduttori resta cruciale sotto tanti punti di vista, al di là della stretta attualità legata alla crisi contingente della filiera. Invisibili, ma soltanto perché sotto la scocca delle decine di dispositivi che utilizziamo ogni giorno, i microchip sono fondamentali per la transizione ecologica.
Pirelli e STMicroelectronics
Ma partiamo dal profilo di Marco Giandalia. «Ho studiato optoelettronica a Palermo. Di base ho una formazione da ingegnere elettronico. L’ateneo, a fine anni ’90, era stato uno dei primi a intravedere la possibilità di lavorare sui laser e sistemi a fibra ottica». Dal Sud la trasferta a Milano, per il suo primo stage in Pirelli. «Lì ho iniziato a mettere in pratica i miei studi». Si era nel pieno della prima ondata di internet, a ridosso dello scoppio della bolla del 2001. Ma per Giandalia l’interesse principale era indirizzato già ai semiconduttori.
«A Milano ho scoperto questo mondo. Subito dopo la laurea ho iniziato a lavorare alla STMicroelectronics come progettista di microchip per sistemi di sicurezza nelle auto. Era l’epoca dei primi ABS e airbag». Innovazioni oggi date per scontate ed essenziali per la salvaguardia di guidatori e passeggeri. Con Navitas, su cui torneremo a breve, Giandalia sarebbe tornato dopo anni a occuparsi di nuovo di automotive, puntando questa volta sui nuovi materiali per favorire la ricarica super veloce delle auto elettriche.
Stati Uniti e la velocità delle decisioni
Ma qual è stata l’occasione per atterrare a El Segundo, in California? Anzitutto nel 2001 Giandalia ha accolto la sfida dentro International Rectifier, contribuendo ad aprire a Pavia un centro di progettazione della società americana (oggi denominata Infineon). «Con un gruppo di colleghi ci occupavamo di microchip ad altissima tensione per la movimentazione di motori elettrici per applicazioni industriali, come ad esempio la robotica». Tanta ricerca e sviluppo e la responsabilità che cresceva, fino a quando nel 2009 l’azienda gli ha chiesto di trasferirsi negli Stati Uniti per seguire il centro di progettazione americano, avviando così un percorso di stampo più manageriale.
L’impatto col mondo americano, così come ci viene spesso raccontato da chi lo ha conosciuto sulla propria pelle e sul proprio business, è sempre raccontato con i medesimi toni. «In termini di orientamento al profitto e di dinamicità, la velocità con cui ci si muove qui è impressionante. Le decisioni si prendono in un lampo e la propensione al rischio è molto più imprenditoriale». In quegli anni, prima della fondazione di Navitas, Giandalia ha avuto modo di incontrare alcune delle società tecnologiche più importanti al mondo come Samsung, Bosch, Panasonic.
«L’enorme disponibilità di capitali alla ricerca di destinazione ha semplificato l’accesso ai capitali ma non ha risolto il problema dell’accesso alle risorse più pregiate: le competenze, le skills più specifiche – ha aggiunto -. Anzi ne ha aggravato il problema. Spesso imprenditori nella fase iniziale dopo la raccolta non spendono o non riescono a spendere nel modo più corretto. Una nuova generazione di Venture Capital sta nascendo negli Stati Uniti cercando di colmare questo gap offrendo non solo capitali ma un misto di capitali e competenze».
Cosa fa Navitas
In quella che è da sempre definita la terra delle opportunità, soprattutto se affacciata sulla costa del Pacifico, è quasi naturale chiudere il cerchio con una startup, quotatasi in Borsa nel giro di appena due anni dalla fondazione basandosi su uno dei settori dove la competizione è globale. Navitas Semiconductor è una società che opera sempre nel campo dei microchip ad altissima tensione. «L’attività ha da subito puntato a sviluppare microchip che utilizzano il nitruro di gallio, materiale composto con caratteristiche più performanti del silicio (il materiale più utilizzato nei microchip, ndr), anche se più costoso. Il nostro goal, poi raggiunto, è stato quello di portare sul mercato una tecnologia di quick charger per la ricarica di batterie di dispositivi come smartphone, tablet e laptop. Abbiamo iniziato in cinque, oggi siamo in 200 con uffici a Shangai e in Europa». Microchip che oggi abitano nei prodotti di Samsung, Dell, Xiaomi e Oppo.
Il ritorno all’automotive
Il prossimo passo sarà un ritorno alle auto per Giandalia. L’obiettivo da raggiungere entro i prossimi due anni guarda infatti alla ricarica delle elettriche. È nota infatti che uno dei freni alla diffusione delle ecar (oltre al costo) sia anche il tempo non indifferente richiesto nelle stazioni di ricarica. I microchip sono la chiave, secondo lui. « Il contenuto elettronico di una elettrica è enorme: dieci volte quello di un’auto tradizionale. Si sposta il baricentro dalla meccanica all’elettronica». Ecco perché rimuovere certe barriere potrebbe permettere una accelerazione della transizione.
Al termine di questo racconto, che ha riassunto in pochi paragrafi una vita professionale di successo, abbiamo chiesto a Marco Giandalia un consiglio per le startup italiane. Oltre ai classici suggerimenti che possono scaturire da un’esperienza in contesti esteri così innovativi e stimolanti. «Quando abbiamo iniziato con Navitas, tutti i membri del team avevano dai 20 ai 25 anni di seniority nel campo dei microchip. È giusto parlare di startup di giovani con idee brillanti, ma l’esecuzione è altrettanto importante. È vitale avere all’interno del gruppo di fondatori almeno una figura che possa portare grande esperienza».
Plus9
Giandalia fa inoltre parte di Plus9. «Plus9 nasce per unire questi tre punti – ha concluso – in partnership con i migliori programmi di accelerazione delle più prestigiose università italiane vuole offrire al talento italiano le migliori skills dei migliori che hanno già fatto il medesimo percorso per avere accesso ai migliori programmi di accelerazione ed ai più quotati pool di investitori statunitensi. Plus9 si inserisce nella prima fase di vita della startup con l’obiettivo di trasformare una società italiana o europea early-stage in una società americana early-stage, dandole accesso ai principali incubatori».